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ROMANI CAP.1

ROMANI capitolo 1
Introduzione
Ritengo utile, prima di iniziare l’analisi del testo e dei contenuti della lettera di Paolo ai Romani,
dare una visione d’insieme alle Epistole del Nuovo Testamento ed in particolare a quelle scritte
dall’Apostolo Paolo.
Iniziamo col dire che l’importanza delle Epistole di Paolo nel Nuovo Testamento non può essere mai
abbastanza sottolineata.
Questi suoi scritti rappresentano infatti un metodo di rivelazione diverso da quelli precedenti.
Fino a quel momento Dio aveva comunicato con l’uomo in vari modi: attraverso il Pentateuco, cioè
la Legge data a Mosè; attraverso la storia; attraverso la Poesia e la Profezia; e attraverso i Vangeli…
Ora ci troviamo davanti ad un altro mezzo di comunicazione: le epistole, la maggior parte delle quali
sono state scritte per l’appunto da Paolo.
Adolf Deissmann ha cercato di fare una distinzione fra le epistole e le lettere, dopo aver esaminato i
papiri ritrovati a Oxyrhynchus in Egitto, egli è giunto alla conclusione che le epistole sono
documenti letterari, mentre le lettere sono documenti non letterari.
Secondo Deissmann, gli scritti di Paolo andrebbero posti nella seconda categoria, e quindi sarebbero
“lettere” piuttosto che “epistole”.
Tuttavia, moltissimi studiosi oggi ritengono che questa distinzione sia completamente falsa.
Le lettere, o epistole, di cui disponiamo, sono così calorose e personali che potrebbero essere arrivate
per posta speciale, a me o a te, oggi stesso.
In esse, sia in quelle scritte da Paolo sia in quelle degli altri apostoli, il Signore parla al lettore in una
maniera del tutto personale.
Nello stesso tempo bisogna distinguerle dalle lettere puramente private, poiché sono state scritte per
uno scopo che potremmo definire “semi pubblico”.
In realtà le epistole costituiscono un nuovo genere, che non trova riscontro nella letteratura
contemporanea.
La loro forma infatti è particolarmente adatta a venire incontro alle particolari esigenze delle prime
comunità cristiane.
Nessuna di loro fu composta per uno scopo puramente letterario, nemmeno l’Epistola ai Romani, che
infatti si presenta come un trattato teologico, come un grande manifesto evangelico per il mondo.
Su un totale di 21 Epistole ben 13 portano la firma dell’apostolo Paolo ed è interessante sottolineare
che le Epistole più vecchie furono scritte prima della stesura dei Vangeli.
Le lettere avevano uno scopo essenzialmente pratico e per questo motivo esse fanno luce sul
carattere delle chiese cristiane dei primi tempi.
C’erano problemi dottrinali e morali derivanti dalla lotta tra i princìpi del cristianesimo e il mondo
pagano circostante; non c’era uniformità organizzativa tra le chiese.
A volte, come nel caso di Corinto esistevano situazioni di disordine.
Le lettere erano il mezzo usato dagli Apostoli, e da Paolo in particolare, per portare chiarezza, ordine
e sostegno spirituale alle chiese.
Esse rappresentano la reazione spontanea degli Apostoli a situazioni che richiedevano un intervento
ed un consiglio immediato.
Sono quindi frutto di una responsabilità oggettiva che gli apostoli sentivano sul loro cuore per le
chiese che essi stessi avevano fondate sul fondamento comune rappresentato da Gesù Cristo.
Le lettere però, nonostante quanto abbiamo appena detto, mantengono una straordinaria validità
anche per il credente di oggi, sono infatti piene di indicazioni, spunti, esortazioni spirituali che
vanno molto al di là del momento contingente che ha portato alla loro stesura.
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Le lettere sono una straordinaria, inesauribile fonte spirituale per tutti coloro che ad esse si
avvicinano con spirito di umiltà e di sottomissione alla parola di Dio.
Se tutto questo è vero in generale lo è, se possibile, a maggior ragione per le lettere di Paolo.
Per Paolo il vangelo era il grande movimento ecumenico e Roma era il centro di quel mondo per il
quale Cristo era morto.
In quest’ottica e con queste premesse possiamo iniziare ad occuparci in maniera più diretta
dell’epistola di Paolo ai Romani.
Possiamo innanzitutto chiederci:
Chi sono le persone alle quali Paolo scrive la lettera? Chi aveva fondato la chiesa di Roma ?
Cercherò di rispondere brevemente a queste domande.
In Romani 15:15-16 l’apostolo fa questa dichiarazione:
“Ma vi ho scritto un po’ arditamente su alcuni punti, per ricordarveli di nuovo, a motivo della
grazia che mi à stata fatta da Dio, di essere un ministro di Cristo Gesù fra gli stranieri, esercitando
il sacro servizio del vangelo di Dio, affinché gli stranieri diventino un offerta gradita, santificata
dallo Spirito Santo”
In questo passo Paolo afferma molto chiaramente di essere l’apostolo dei Gentili, così come
altrettanto chiaramente aveva dichiarato che Simon Pietro era l’apostolo di Israele.
Scrivendo ai Galati 2:8-9 aveva infatti detto;
“perché Colui che aveva operato in Pietro per farlo apostolo dei circoncisi aveva anche operato in
me per farmi apostolo degli stranieri”, riconoscendo la grazia che mi era stata accordata,
Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne, diedero a me e a Barnaba la mano in segno
di comunione perché andassimo noi agli stranieri ed essi ai circoncisi.”
Paolo, dunque, era l’apostolo destinato in modo specifico al lavoro tra i gentili.
(Ricordo che con il termine “gentili” si indicavano coloro che non appartenevano al popolo di Israele
ma alle nazioni straniere.)
Nell’ultimo capitolo della lettera ai Romani, l’autore cita i nomi di persone che conosceva.
Bene, la maggior parte di esse erano gentili.
Da tutto questo possiamo dedurre che la chiesa di Roma era costituita in maggioranza da gentili,
anche se erano sicuramente presenti dei Giudei divenuti Cristiani; ad essi infatti Paolo si rivolge
direttamente con molte allusioni all’Antico testamento e alla storia dei Figli d’Israele.
Per quanto riguarda poi la seconda domanda:
”chi fondò la chiesa di Roma?”, possiamo dire che questo costituisce uno dei problemi irrisolti della
storia della chiesa primitiva.
Non è possibile accettare la tradizione secondo cui il fondatore di questa comunità fu l’Apostolo
Pietro, anche se ciò non esclude che lo stesso sia stato per un certo periodo di tempo in quella città.
Se infatti Pietro fosse stato presente a Roma, Paolo non avrebbe mai scritto questa lettera.
In altri brani della stessa epistola, Paolo sottolinea infatti che non si sarebbe mai recato a Roma, se in
quella città fosse già stata fondata una chiesa, pur essendo ansioso di andarvi.
Infatti è scritto in Romani 1:15: “Così, per quanto dipende da me, sono pronto ad annunziare il
vangelo anche a voi che siete a Roma” .
Paolo dunque voleva andare a Roma per predicare il vangelo.
Ma non sarebbe mai andato a Roma, se qualcun altro vi avesse predicato il vangelo prima di lui.
Infatti in Romani 15:20 afferma:
“avendo l’ambizione di predicare il vangelo là dove non era ancora stato portato il nome di Cristo,
per non costruire sul fondamento altrui.”
Da ciò possiamo sicuramente dedurre che a Roma non c’era stato nessun altro apostolo.
Allora, chi fondò la chiesa di Roma?
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Ebbene, farò un’insolita affermazione: la chiesa di Roma fu fondata dall’apostolo Paolo, il quale lo
fece, se così si può dire, “a distanza”, usando cioè il “controllo remoto” di un apostolo per scriverne
e guidarne il corso.
Cercherò di essere più chiaro. Roma era una città straordinaria. Abbiamo visto che Paolo non c’era
mai stato e, come lui, nessun altro apostolo. Tuttavia, era sorta una chiesa. Ma come?
Ebbene, durante i suoi spostamenti all’interno dell’Impero Romano, Paolo aveva portato molti
uomini e donne a Cristo.
Roma aveva un forte potere d’attrazione ed è probabile che molte delle persone che Paolo aveva
incontrato nel corso dei suoi viaggi fossero andate in quella città in un secondo momento. Forse vi
chiedete come posso fare una simile affermazione.
Ebbene, un esempio lampante ci viene fornito in Atti 18:1-3 dove Paolo è in viaggio verso Corinto.
“Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un ebreo, di nome Aquila,
oriundo del Ponto, giunto di recente dall’Italia insieme con sua moglie Priscilla, perché Claudio
aveva ordinato a tutti i Giudei di lasciare Roma. Egli si unì a loro. Essendo del medesimo mestiere,
andò ad abitare e a lavorare con loro. Infatti, di mestiere, erano fabbricanti di tende..
Aquila e Priscilla abitavano a Roma, ma Paolo li incontra a Corinto, dove si erano rifugiati in seguito
a un’ondata di antisemitismo sfociata in una persecuzione ad opera dell’imperatore Claudio. Più tardi
si recarono ad Efeso con Paolo e diventarono ottimi testimoni di Cristo.
All’epoca in cui Paolo scrisse l’epistola ai Romani, Priscilla ed Aquila erano ritornati a Roma e Paolo
colse l’occasione per mandare loro i suoi saluti.
La storia di questa coppia ci viene rivelata chiaramente nel libro degli Atti.
E per quanto riguarda gli altri? Ebbene, Paolo li conosceva senz’altro. Ciò vuol dire che li aveva
incontrati da qualche parte dell’Impero e li aveva portati a Cristo.
In conclusione, possiamo affermare che Paolo fondò la chiesa di Roma “a distanza”, cioè condusse al
Signore delle persone che, per un motivo o per l’altro, si ritrovarono poi a Roma.
L’apostolo conosceva Roma, sebbene non vi fosse mai stato quando scrisse l’epistola ai Romani.
In effetti, la città era come una grande nave la quale, passando di notte, sollevava delle onde che
andavano ad infrangersi sulle sponde lontane.
La sua influenza può essere paragonata anche a quella di una radio, in quanto penetrava ogni angolo
dell’impero.
Paolo aveva visitato alcune colonie romane, come Filippi e Tessalonica, e lì aveva appreso le leggi,
la lingua, lo stile, la cultura e i costumi romani. Aveva camminato sulle strade romane, aveva
incontrato soldati romani sulle vie principali e nei mercati e aveva dormito nelle prigioni romane.
Era anche comparso davanti ai magistrati romani e aveva goduto dei benefici della cittadinanza
romana.
In poche parole, Paolo conosceva tutto di Roma, sebbene non l’avesse ancora visitata.
E’ da questo punto strategico, quale era la capitale del mondo, che egli doveva predicare all’umanità
perduta il vangelo globale, e cioè il fatto che Dio ha amato il mondo così tanto da dare il Suo unico
Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna.
Roma era come una grande calamita: attirava a sé uomini e donne fin dagli estremi confini del
mondo allora conosciuto. E nell’attraversare in lungo e in largo questo impero colossale, Paolo e
gli altri apostoli avevano portato ai piedi della croce un gran numero di persone.
Molti di questi cristiani, attirati al centro di questo grande “nodo di comunicazione” (il detto
secondo cui “tutte le strade portano a Roma” era più di un semplice modo di dire) giungevano in
questa grande metropoli, e così col tempo vi costituirono una chiesa visibile.
In conclusione, probabilmente nessuno in particolare costituì la chiesa di Roma, ma essa fu formata
da coloro che Paolo e gli altri apostoli avevano condotto a Cristo e che erano giunti a Roma dai
confini dell’impero.
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Di sicuro, non fu Pietro a fondarla e in ogni caso non ebbe niente a che fare con questo, dal momento
che la predicazione che fece il giorno della Pentecoste e quelle successive erano rivolte
esclusivamente ai giudei.
Infatti fu solo alla conversione di Cornelio che si convinse del fatto che anche i gentili erano inclusi
nel corpo dei credenti.
Riassumendo, abbiamo visto che l’autore dell’epistola ai Romani è Paolo. Che egli avrebbe visitato la
città più tardi, sebbene la conoscesse già molto bene, e che Paolo fu indirettamente anche il
fondatore della chiesa di Roma.
Mentre ci avviciniamo a questa grande epistola, mi sento del tutto inadeguato davanti al grande tema
che l’autore affronta, e cioè la giustizia di Dio.
E’ un messaggio duro, chiaro, preciso che purtroppo il mondo non vuole né sentire né tanto meno
accettare, perché preferisce sentir parlare della gloria dell’uomo. Vuole che sia esaltato l’uomo,
invece che Dio.
Ma la realtà è che qualunque ministero o insegnamento che tende ad innalzare l’uomo, che non
dichiara apertamente, come fa Paolo nella sua lettera, la grande verità sulla assoluta depravazione del
genere umano e sul fatto che l’uomo è un essere corrotto e perduto, non potrà né risollevare l’umanità
né offrirle un rimedio.
La Bibbia ci dice chiaramente che l’unico rimedio per il peccato dell’uomo è quello perfetto che
abbiamo in Cristo, quello che Dio ha procurato ad un’umanità perduta.
Il ladrone sulla croce era stato reputato indegno di vivere nell’impero romano e stava per essere
ucciso. Ma il Signore Gesù gli disse che l’avrebbe reso adatto per il cielo Luca 23:43: “…oggi tu
sarai con me in paradiso” .
Dio prende i peccatori perduti – come me e te – e li fa entrare nella Sua famiglia, li rende Suoi figli, e
lo fa perché Cristo è morto sulla croce, non perché ci sia in noi qualche merito.
Questo è il grande messaggio della Bibbia e della lettera ai Romani.
Il commentatore svizzero Godet ha detto che la Riforma Protestante è stata sicuramente il frutto
dell’epistola ai Romani (e anche di quella ai Galati) e che probabilmente ogni grande rinnovamento
spirituale nella chiesa sarà sempre legato, nella causa e nell’effetto, ad una più profonda
conoscenza di questo libro.
Martin Lutero scrisse che l’epistola ai Romani è “il vero capolavoro del Nuovo Testamento e il
Vangelo più puro, che merita di essere non solo imparato a memoria, parola per parola, ma di essere
meditato ogni giorno come il pane quotidiano dell’anima.
Essa non sarà mai letta o studiata abbastanza; più la si medita e più preziosa e gustosa diventa”.
Crisostomo, uno dei primi padri della chiesa, si faceva leggere l’epistola due volte alla settimana, e
fu Coleridge ad affermare che l’epistola ai Romani è lo scritto più profondo che esista.
Un grande scienziato, Michael Faraday, si rivolse a questo libro e scoprì che conferiva la vera fede.
Quando sul letto di morte un giornalista gli chiese a che cosa si aggrappasse in quel momento, egli
rispose: “La mia fede è saldamente posta in Cristo mio Signore che è morto per me e che mi ha
spianato la strada per il cielo”.
Vi ricordo anche che questa epistola, cioè quella ai Romani, ha trasformato la vita di uno stagnino di
Bedford che risponde al nome di John Bunyan.
Sapete, non era un gigante dal punto di vista intellettuale, e neanche un poeta, eppure ha scritto un
libro che, in quanto a vendite, è stato superato soltanto da un altro: la Bibbia. Il libro di Bunyan si
intitola “Il pellegrinaggio del cristiano” ed è la storia di un peccatore salvato per grazia; in pratica, la
sua storia.
Dopo aver letto e studiato l’epistola ai Romani, egli ha associato il significato profondo della lettera
alla sua storia personale, e ne è scaturito il racconto di un pellegrino che è andato alla croce, ha visto
rotolar via il peso del suo peccato e ha cominciato un nuovo viaggio verso la Città Celeste.
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Vorrei ora esortare i credenti a fare qualcosa che recherà ad ognuno dei benefici sorprendenti:
leggete la lettera ai Romani, e fatelo regolarmente.
E’ una lettura che richiede tutte le facoltà intellettuali di cui disponiamo e che in più deve essere
immersa nella preghiera affinché lo Spirito Santo possa impartire i Suoi insegnamenti.
Ogni cristiano dovrebbe impegnarsi a conoscere questo libro, perché esso ha il potere di fondare il
credente nella fede.
Possiamo a questo punto avvicinarci alla lettera vera e propria ed iniziare l’analisi del primo capitolo
dell’epistola ai Romani.
Questo capitolo d’apertura comprende l’introduzione, i motivi missionari del grande apostolo, la
definizione di ‘vangelo’ e la condizione dell’uomo peccatore che ha bisogno del vangelo.
Esso ci dà il ritmo dell’intera epistola.
La lettera ai Romani insegna la totale depravazione dell’uomo, il quale è irrevocabilmente e
disperatamente perduto.
Egli deve ottenere la giustizia di Dio, dal momento che di giustizia propria non ne ha affatto.
E’ interessante sottolineare come questo grande documento della dottrina cristiana, indirizzato alla
chiesa di Roma per preservarla dalle eresie, non abbia raggiunto il suo scopo.
La chiesa romana infatti si discostò moltissimo dalla fede che viene esposta nell’epistola.
Del resto, è una delle verità in essa rivelate il fatto che l’uomo non comprende né tanto meno cerca
Dio.
Prima di addentrarci nell’analisi del testo desidero sottolineare che, secondo molti commentatori, la
chiave di questo scritto si trova nei versetti 16 e 17 che dicono :
“ Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque
crede; del Giudeo prima e poi del Greco; poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede,
com’è scritto: “ il giusto per fede vivrà”. Romani 1:16-17
Consiglierei di impararli a memoria, oltre naturalmente a comprendere bene il significato di ogni
singola parola.
Al momento opportuno, le commenteremo una ad una.
ROMANI 1
Leggiamo ora i primi versetti del capitolo ed esattamente i versetti da 1 a 7 di Romani 1:
“Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato a essere apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio, che
egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture riguardo al Figlio suo, nato
dalla stirpe di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di
santità mediante la risurrezione dai morti; cioè Gesù Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale
abbiamo ricevuto grazia e apostolato perché si ottenga l’ubbidienza della fede fra tutti gli stranieri,
per il suo nome fra i quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo a quanti sono in Roma, amati da
Dio, chiamati a essere santi, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo.
Romani 1:1-7
La lettera ai Romani inizia secondo uno schema di saluto molto diffuso a quel tempo,
“X a Y, saluti”.
Infatti troviamo: ”Paolo…….a quanti sono in Roma, amati da Dio….. saluti.”
Questo schema è lo stesso che fa da scheletro alla maggior parte delle lettere del Nuovo
Testamento, anche se variamente sviluppato ed arricchito di accenti cristiani, ma nell’Epistola ai
romani ogni parte del saluto è ampliata; il nome di chi manda la lettera, il nome di quelli che la
ricevono , e persino i saluti.
Paolo inizia presentandosi e mettendo in evidenza, in risalto, la sua autorità nello scrivere, autorità
derivatagli dal fatto di essere Apostolo di Cristo.
In pratica fornisce le sue credenziali.
Come abbiamo letto il brano inizia con la frase:
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“ Paolo, servo di Cristo Gesù…..”
Il nome Paolo deriva dal latino ‘Paulus’, che significa “piccolo”.
Egli era Saulo da Tarso, ma veniva anche chiamato Paolo, come ci viene riferito in Atti 13:9.
”Allora Saulo, detto anche Paolo,…..”
All’inizio della sua lettera Paolo si presenta ai romani come un servo, o “doulos”, schiavo, del
Signore Gesù Cristo. Paolo assunse volentieri questo ruolo.
E’ giusto ricordare che, secondo quanto ci dice la Parola di Dio, il Signore Gesù ci ha amati e ha
dato Sé stesso per noi, ma ciò non significa che Egli voglia forzare la nostra volontà, ci lascia liberi,
deve essere un nostro piacere servirlo. Egli non ci costringe.
Alla città di Gerusalemme Gesù disse Luca 13:34: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i
profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la
chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto”.
In un’altra occasione poi, il Signore esclamò Giovanni 5:40 “eppure non volete venire a me per
avere la vita.”
Anche tu hai il privilegio di scegliere di diventare un servo del Signore Gesù Cristo.
Ma è un atto della tua volontà. Egli non ti obbliga. Sulla strada di Damasco, il Signore disse a Paolo:
“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” e Paolo rispose: “Chi sei tu, Signore?” e Lui disse: “Io sono
Gesù che tu perseguiti”.
In quel momento Paolo Lo riconobbe come suo Salvatore.
Poi chiese: “Che cosa vuoi che io faccia?” Atti 9:4-6. Fu allora che scelse di diventare servo del
Signore Gesù Cristo.
Il primo versetto della lettera ai Romani prosegue dicendo: “Paolo, servo di Gesù Cristo, chiamato a
essere apostolo…”
Siccome l’infinito del verbo “essere” non si trova nel testo originale, possiamo tranquillamente
parlare di Paolo come di un “apostolo chiamato” – laddove il termine “chiamato” funge da aggettivo.
In altre parole, non fu Paolo a decidere di diventare un apostolo, ma fu Dio a sceglierlo.
Paolo sostenne sempre di aver ricevuto la chiamata a questo alto ufficio direttamente dal Signore
Gesù e da Dio Padre come troviamo anche scritto in Galati 1:1. dove leggiamo: “Paolo apostolo
non da parte di uomini né per mezzo di un uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo
ha resuscitato dai morti
Dio stesso lo aveva investito della responsabilità di proclamare il Vangelo nel mondo Gentile nel
momento in cui gli rivelò suo Figlio sulla via di Damasco. Questa scelta era avvenuta prima ancora
che egli nascesse, tutto era stato preordinato da Dio in vista del suo servizio apostolico.
Leggiamo a sostegno di quanto stiamo dicendo i versetti 15 e 16 del primo capitolo dell’epistola di
Paolo ai Galati 1:15-16: “Ma Dio che m’aveva prescelto fin dal seno di mia madre e mi ha
chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché io lo
annunziassi fra gli stranieri”.
Di solito la dignità di Apostolo era ricevuta mediante la chiesa che mandava, adempiendo la volontà
del Cristo vivente; il titolo di “Apostolo” apparteneva in primo luogo ai Dodici, coloro che erano
stati con Gesù durante la Sua vita terrena, ma in seguito fu dato anche ad altri esponenti e predicatori
cristiani; in Atti 14:14 troviamo ad esempio: “Ma gli apostoli Paolo e Barnaba, udito ciò,………..”
Paolo aveva deciso di diventare schiavo di Cristo, ed ora si ritrovava ad essere anche un apostolo
chiamato da Dio, un testimone del Signore Gesù Cristo.
E’ importante sottolineare che solo una persona che sia stata scelta da Dio è il genere di servitore di
cui Egli si potrà servire.
Ricorderete ad esempio che Geremia fu chiamato quando era bambino.
Lo leggiamo in Geremia 1:4-10 La parola del SIGNORE mi fu rivolta in questi termini: “Prima che
io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo
grembo, io ti ho consacrato e ti ho costituito profeta delle nazioni”. Io risposi: “Ahimè, Signore,
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DIO, io non so parlare, perché non sono che un ragazzo”. Ma il SIGNORE mi disse: “Non dire:
“Sono un ragazzo”, perché tu andrai da tutti quelli ai quali ti manderò, e dirai tutto quello che io ti
comanderò. Non li temere, perché io sono con te per liberarti”, dice il SIGNORE. Poi il SIGNORE
stese la mano e mi toccò la bocca; e il SIGNORE mi disse: “Ecco, io ho messo le mie parole nella
tua bocca. Vedi, io ti stabilisco oggi sulle nazioni e sopra i regni, per sradicare, per demolire, per
abbattere, per distruggere, per costruire e per piantare”.
Dio disse invece dei falsi profeti Geremia 23:21: “Io non ho mandato quei profeti, ed essi corrono;
io non ho parlato a loro, ed essi profetizzano”
Geremia fu un profeta chiamato da Dio, così come lo fu Paolo come apostolo , che tradotto significa
“colui che è mandato”.
L’apostolo deve essere un testimone del Cristo risorto. Paolo dichiarò di esserlo quando affermò in
1° Corinzi 15:8: “….e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all’aborto”.
In un’altra occasione chiese in modo retorico 1° Corinzi 9:1: “Non sono libero? Non sono apostolo?
Non ho veduto Gesù, il nostro Signore?…”
Oltre alle dichiarazioni dello stesso Paolo vi sono delle altre prove della sua chiamata come
apostolo, in primo luogo le dichiarazioni fatte dallo stesso Signore risorto ad Anania: “Ma il Signore
gli disse: Va’, perché egli è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai popoli,
ai re, e ai figli d’Israele. Atti 9, 15
In secondo luogo la constatazione che egli possedeva i cosiddetti “doni miracolosi”.
Paolo stesso affermò nella sua lettera ai Corinzi al capitolo 14 di essere in grado di parlare altre
lingue. Inoltre, sappiamo da vari episodi che la Bibbia racconta che possedeva il dono di guarigione;
dono che aveva un’enorme importanza in quel primo secolo per la diffusione dell’evangelo.
Dobbiamo ricordare che il Nuovo Testamento non era ancora stato scritto nella sua interezza e che la
sua diffusione non era certo quella dei nostri giorni.
Quale miglior dimostrazione allora di essere un apostolo di Cristo se non quella di fare con l’aiuto
dello Spirito Santo le stesse opere che egli aveva fatte?
Paolo aveva questo dono. Egli poteva perfino risuscitare i morti, così come ci rivelano alcuni episodi
della Bibbia in cui sia Pietro sia Paolo mettono in pratica ciò. Oggi quando Dio guarisce, lo fa
direttamente; non conferisce più, se non in casi eccezionali, questo dono agli uomini.
L’uomo di oggi non ha più bisogno di conoscere la potenza e la grazia di Dio attraverso queste
manifestazioni miracolose, a lui è stata data la Parola di Dio, la Bibbia.
Essa è pienamente sufficiente a far conoscere il Padre, Il Figlio ed il piano meraviglioso di salvezza
per l’uomo.
Non dimentichiamo poi che, per chi ha creduto al messaggio dell’evangelo, esiste la testimonianza
dello Spirito Santo che attesta e sostiene le verità dell’Evangelo nel suo cuore.
Riepilogando, Paolo è un servo di Gesù Cristo e un apostolo ‘chiamato’.
Ma il primo versetto che abbiamo letto ci dice anche che è “messo a parte per il vangelo di Dio”.
Altre versioni traducono “separato per” Dio.
Notate che la parola ‘separato’ non è seguita dalla preposizione ‘da’, ma da ‘per’.
Paolo era separato per portare ai Gentili il Vangelo di Dio.
La parola “messo a parte”, “separato” è meravigliosa.
Esistono dei termini che racchiudono in sé due significati completamente opposti fra loro. Questo è
uno di essi. Paolo era un cristiano “separato”, ma separato ‘per’ qualcosa e non ‘da’ qualcosa.
Abbiamo già sottolineato che Paolo era stato chiamato a questo prima ancora della sua nascita; tutta
la ricchezza e la varietà di prerogative che Paolo godeva per eredità (giudaica, greca, romana) e per
educazione, era stata preordinata da Dio in vista del suo servizio per Lui.
Era stato messo a parte per il “vangelo di Dio”.
Ma che cos’era questo vangelo?
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Era ed è la lieta proclamazione della morte e della risurrezione di Suo Figlio, e della conseguente
amnistia e liberazione che uomini e donne possono godere per mezzo della fede in Lui.
Possiamo notare che Paolo dice che il vangelo è di Dio, suo è il lieto annuncio, l’uomo non ha creato
il vangelo.
Quando io e voi siamo apparsi sulla scena, il vangelo esisteva già da 20 secoli.
Il Signore non ha aspettato, non ha indugiato, per vedere se gli uomini avessero un piano migliore.
Il vangelo è Suo, ha avuto origine da Lui. Noi possiamo prenderlo o lasciarlo.
Il vangelo, ricorda Paolo, non è nuovo di zecca, fu promesso dai profeti durante tutto l’arco del
Vecchio Testamento.
Il suo messaggio è che Dio ama l’uomo e gli offre il modo per essere salvato.
Esso ci porta in una relazione d’amore.
Dio ci ha amati e ha dato Sé stesso per noi. Che cosa meravigliosa!
I versetti da 2 a 6 costituiscono una parentesi che ci dà una definizione di vangelo leggiamoli
Che egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture riguardo al Figlio suo,
nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio can potenza secondo lo
Spirito di santità mediante la risurrezione dai morti; cioè Gesù Cristo, nostro Signore, per mezzo
del quale abbiamo ricevuto grazia e apostolato perché si ottenga l’ubbidienza della fede fra tutti gli
stranieri, per il suo nome – fra i quali siete anche voi chiamati da Gesù Cristo – a quanti siete in
Roma
Romani 1:2-6
Prima di tutto, Paolo ci dice che il vangelo riguarda la persona di Gesù Cristo.
La parola “riguardo” è la preposizione greca “peri” – usata anche nei termini ‘periscopio’ e
‘perimetro’, e significa “ciò che circonda”.
Tutto il vangelo concerne Gesù Cristo. E’ esattamente ciò che Lui ha fatto. “Riguarda il Figlio di
Dio, Gesù Cristo, nostro Signore”.
Ritroviamo qui il pieno titolo di Gesù. Egli è il Figlio di Dio, Gesù, il Cristo, nostro Signore.
Questo è il Suo meraviglioso nome.
Oggi si sente spesso dire che abbiamo bisogno della religione di Gesù. Ma dobbiamo ricordarci che
Egli non aveva nessuna religione. Non ne aveva bisogno, perché è Dio.
Quello che ci serve invece è una religione ‘su’ Gesù, che Lo ‘racchiuda’, che riguardi esclusivamente
ciò che Egli ha fatto.
Gesù Cristo è veramente Dio. Egli, nella sua divinità, non può adorare; deve essere adorato.
Qualcuno potrebbe replicare: “Ma anche Lui ha pregato”.
Sì, è vero, ma questo è avvenuto perché ha preso il posto dell’uomo.
La sua preghiera serviva ad avvicinare l’uomo a Dio.
Per esempio, è scritto che presso la tomba di Lazzaro Giovanni 11:41-42: “Gesù, alzati gli occhi al
cielo, disse: “Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito. Io sapevo bene che tu mi esaudisci sempre,
ma ho detto questo a motivo della folla che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato.”
Gesù pregò per venire incontro alla nostra fede, ma era e rimane il Signore Gesù Cristo, Dio
incarnato.
Notiamo, facendo nostre le espressioni di Paolo, che Gesù è anche del seme di Davide, secondo la
carne. Questa frase ci rivela l’umanità di Gesù, parla della Sua famiglia umana, ma il versetto che
segue ci ricorda anche che Egli, in virtù della potenza di Dio manifestata nella resurrezione, dimostrò
la Sua deità, dimostrò di essere veramente il Figlio di Dio.
Notiamo che Gesù viene dichiarato Figlio di Dio “mediante la resurrezione dai morti”.
La resurrezione dimostra tutto. E’ la resurrezione che Lo dichiara Figlio di Dio.
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Attraverso tutta la Bibbia il Signore Gesù Cristo viene presentato nella potenza della Sua
resurrezione. Prima lo vediamo nei panni di un uomo, che cammina sulla terra, che viene disprezzato
e rifiutato.
Lo vediamo perfino nei momenti di debolezza, mentre siede presso un pozzo per riposare e dorme su
una barca in mezzo al mare nel pieno di una tempesta. E alla fine, coperto di ignominia e vergogna,
viene messo a morte su una croce. Ma, sebbene fosse un uomo di dolore e familiare col patire, venne
il momento in cui risuscitò dalla morte.
La sua resurrezione dimostra che Egli aveva ragione quando disse Giovanni 8:23: “…Voi siete di
quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo; io non sono di questo mondo”
I giorni in cui camminava sulle strade polverose di Israele sono finiti; Egli è tornato dal regno dei
morti con grande potenza. La sua resurrezione prova che Egli è il Figlio di Dio con potenza.
Se fino a quel momento era stato il Figlio di Dio in debolezza ed umiliazione, divenne con la
resurrezione il Figlio di Dio in potenza. Divenne Colui che è designato da Dio stesso ad essere
giudice di tutti noi.
Ricordiamo a questo proposito Atti 10:42 e 17:31
La resurrezione non fece di Gesù il Figlio di Dio; semplicemente rivelò chi Egli fosse in realtà.
“Dichiarato” deriva dalla parola greca ‘horizo’, Gesù viene dichiarato il Figlio di Dio.
Ritroviamo qui la Sua perfetta umanità e la Sua perfetta deità.
Uno dei più antichi “credo” della chiesa afferma che Egli è vero Dio e vero uomo.
Paolo lo dichiarò prima ancora che quel credo fosse scritto.
Gesù Cristo non è più di un uomo per il fatto di essere Dio, e non è meno di Dio per il fatto di essere
un uomo. Egli è il Dio uomo.
Viene dichiarato Figlio di Dio “secondo lo Spirito di santità”. Il riferimento potrebbe essere allo
spirito umano di Gesù, ma, tenendo anche in debito conto il fatto che questa espressione era usata
dal popolo ebraico per indicare lo Spirito Santo, personalmente ritengo che qui ci sia un chiaro
riferimento alla trinità.
C’è un’altra grande verità che emerge da questi versetti e che possiamo sottolineare.
Essi ci fanno vedere Cristo, risorto e seduto alla destra di Dio nel cielo, che intercede oggi per i
credenti e dà loro potenza e conforto.
C’è un Uomo nella gloria, ma la chiesa Lo ha perso di vista. Noi abbiamo bisogno di ritrovare la
nostra consapevolezza di Lui. Hai avuto tu un contatto personale col Cristo vivente oggi?
La resurrezione inoltre ci assicura che Egli un giorno tornerà come Giudice e come Re dei re e
Signore dei signori. Egli schiaccerà il peccato e regnerà su questa terra con giustizia.
Giudicherà l’umanità, come disse Paolo ai sofisticati ed eloquenti filosofi ateniesi Atti 17:29-31:
“… non dobbiamo credere che la divinità sia simile a oro, ad argento o a pietra scolpita dall’arte e
dall’immaginazione umana. Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli
uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno nel quale giudicherà il
mondo con giustizia per mezzo dell’uomo ch’egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti
risuscitandolo dai morti”.
Siccome Gesù Cristo è risorto dai morti, un giorno tu ed io dovremo comparire davanti a Lui: questa
è una solenne realtà.
Starai alla Sua presenza come una persona che ha confidato in Lui come suo Salvatore o come una
persona che deve essere giudicata?
Se non lo hai ricevuto come tuo Salvatore, su te grava l’inevitabile condanna di Dio, perché la tua
giustizia non è sufficiente per stare alla Sua presenza. Sei condannato alla perdizione eterna, a meno
che tu non Lo accetti come tuo Salvatore.
La resurrezione garantisce il fatto che ognuno di noi dovrà comparire davanti al Signore Gesù Cristo.
Siamo arrivati ai versetti 5 e 6 di Romani 1, versetti che ci dicono:
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per mezzo del quale abbiamo ricevuto grazia e apostolato perché si ottenga l’ubbidienza della fede
fra tutti gli stranieri, per il suo nome – fra i quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –
Romani 1:5-6
“Grazia e apostolato” sono termini molto significativi.
La “grazia” infatti è il metodo di salvezza usato da Dio.
Nessuno di noi avrebbe mai potuto essere salvato, se Dio non fosse stato “pieno di grazia”.
Sebbene il termine “apostolato” si riferisse in modo specifico a Paolo e agli altri che erano
tecnicamente apostoli, ogni credente in realtà è una persona “mandata”.
La parola in greco è “apostole”, che significa “mandare fuori”.
Ogni credente dunque dovrebbe essere un testimone, una persona mandata all’esterno con un
messaggio, un messaggio importante.
Se tu sei un credente, cosa stai facendo perché la Parola di Dio venga conosciuta oggi? Si tratta di
una questione che riguarda chi ha ricevuto grazia e apostolato.
Siamo stati graziati ed abbiamo ottenuto Apostolato affinché, ci dice Paolo, si ottenga l’obbedienza
alla fede fra le nazioni, per il Suo nome.
Questa epistola ai Romani si apre con il concetto di ubbidienza e vedremo si chiuderà con lo stesso
concetto.
Nel capitolo finale infatti Paolo dirà ai Romani:
“La vostra ubbidienza è nota a tutti” Romani 16:19,
e anche “… è rivelato… a tutte le nazioni perché ubbidiscano alla fede.” Romani 16:26.
L’ubbidienza alla fede è molto importante per Dio.
Egli infatti ci salva per fede, non per opere; ma dopo averci salvato, vuole parlare con noi delle
nostre opere, della nostra ubbidienza a Lui.
Tante persone dicono di credere in Dio, ma poi vivono incoerentemente e sembra che servano non
Dio ma Satana.
Amica, amico, la fede che salva ti rende ubbidiente a Gesù Cristo.
Potremmo a questo punto porci una domanda: c’è una differenza fra fede e fede? Certo! La
differenza è nell’oggetto della fede.
Per esempio, io posso credere in Giuseppe Garibaldi; considerarlo un grande uomo, posso pensare a
lui come ad un eroe, come ad uno dei fondatori della nostra patria, allo stesso tempo, credo in Gesù
Cristo. Ora, la mia fede in Giuseppe Garibaldi non ha mai fatto niente per me.
Non ha niente a che vedere con la mia salvezza e non ha quasi alcun effetto sulla mia vita.
La mia fede in Gesù Cristo, invece, è totalmente diversa. “La fede che salva” ci conduce nel luogo
dove ci arrendiamo al Figlio di Dio che ci ama e ha dato sé stesso per noi.
La dottrina corretta è molto importante, ma implica la disciplina e l’operare. Tu non potrai essere il
sale della terra se non metti insieme entrambe le cose.
A proposito, hai mai riflettuto sul fatto che il sale è composto di sodio e cloruro e che ognuno di essi,
preso singolarmente, è velenoso? E tuttavia, combinati insieme, costituiscono un ingrediente molto
utile. La fede e le opere vanno insieme, amica, amico, e fanno di chi crede il sale della terra.
Paolo continua nel suo ragionamento dicendo a tutti noi che i chiamati sono gli eletti, ma sono
anche coloro che hanno sentito, che hanno ascoltato la Sua voce.
Il Signore Gesù lo ha fatto capire chiaramente quando ha detto:
“Le mie pecore ascoltano la mia voce ed io le conosco, ed esse mi seguono” Giovanni 10:27
Se tu stai seguendo qualcun altro o qualcos’altro, vuol dire che non lo hai sentito, che non sei una
delle sue pecore. I chiamati sono coloro che sentono la Sua voce e Lo seguono. E’ molto semplice
come concetto : Lui chiama e tu rispondi. Se hai risposto, sei fra gli eletti, uno dei “chiamati di Gesù
Cristo”.
Paolo evidentemente voleva rassicurare i cristiani romani sul fatto che essi fossero stati chiamati.
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Con questo concetto si chiude la profonda parentesi che l’autore ha aperto nell’introduzione alla
lettera ai Romani.
Possiamo dire che questa parentesi ha quattro caratteristiche:
1°) Paolo ha un messaggio in accordo con le scritture;
2°) il messaggio proviene dal Cristo risorto;
3°) è universale;
4°) si prefigge l’ubbidienza alla fede.
A questo punto, dopo questa parentesi, Paolo torna all’introduzione vera e propria:
a quanti sono in Roma, amati da Dio, chiamati a essere santi, grazia a voi e pace da Dio nostro
Padre, e dal Signore Gesù Cristo.
Romani 1:7
Volevo accentrare la vostra attenzione sull’espressione “Amati da Dio” –
Dio amava quei credenti di Roma. Dio ci ama – che cosa meravigliosa!
L’espressione “chiamati ad essere santi” potrebbe essere tradotta semplicemente con “chiamati santi”,
visto che il verbo “essere” non compare nei migliori manoscritti.
Essi erano “chiamati santi” e questo è in effetti il nome di ogni credente.
Un santo non è una persona che è stata esaltata; ma una persona che esalta Gesù Cristo.
Si diventa santi quando Gesù diventa il Signore della propria vita.
Secondo la Bibbia ci sono solo due generi di persone al mondo: i santi e quelli che non lo sono.
Se tu sei un santo, vuol dire che hai creduto in Cristo; non è il tuo carattere che ti rende tale, ma la
tua fede in Gesù ed il fatto che sei “messo da parte” per Lui, proprio come l’apostolo Paolo che
nell’introduzione si definisce un servo di Gesù Cristo.
“Grazia e pace” costituiscono l’introduzione formale di tutte le lettere di Paolo. “Grazia” (charis) era
la forma di saluto dei gentili mentre “pace” (shalom) era il saluto ebraico. Paolo qui li ha messi
insieme.
Giunti a questo punto possiamo leggere i versetti da 8 a 15 di Romani 1.
In essi Paolo esterna quelli che sono i suoi sentimenti verso i Cristiani di Roma e ringrazia il Signore
per il livello di fede da loro raggiunta.
Prima di tutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la
vostra fede è divulgata in tutto il mondo. Dio, che servo nel mio spirito annunziando il vangelo del
Figlio suo, mi è testimone che faccio continuamente menzione di voi chiedendo sempre nelle mie
preghiere che in qualche modo finalmente, per volontà di Dio, io riesca a venire da voi. Infatti
desidero vivamente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale affinché siate fortificati; o
meglio, perché quando sarò tra di voi ci confortiamo a vicenda mediante la fede che abbiamo in
comune, voi e io. Non voglio che ignoriate, fratelli, che molte volte mi sono proposto di recarmi da
voi (ma finora ne sono stato impedito) per avere qualche frutto anche tra di voi, come fra le altre
nazioni. Io sono debitore verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli
ignoranti; così, per quanto dipende da me, sono pronto ad annunziare il vangelo anche a voi che
siete a Roma.
Romani 1:8-15
Dopo aver presentato se stesso e l’argomento che vuol trattare, Paolo spiega in questi versetti di
Romani 1 lo scopo per cui scrive loro proprio in quel momento.
L’apostolo esprime qui la soddisfazione per il livello di fede da loro raggiunto, rende grazie a Dio
perché la loro fede non è qualcosa di nascosto, ma è qualcosa di palese, di dominio pubblico.
Per questo motivo Paolo annuncia loro di aver più volte ringraziato Dio nelle sue preghiere, e di aver
l’ardente desiderio di andare a Roma per portare loro il suo insegnamento ed il suo incoraggiamento,
ma anche di desiderare di condividere con loro la comunione fraterna nella fede comune in Cristo
Gesù.
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In tutto questo egli era stato fino a quel momento impedito da qualche motivo che noi non
conosciamo, forse dall’editto imperiale del 49 d.C. che impediva l’accesso dei Giudei a Roma, ma
ora sembrava che gli ostacoli fossero finalmente rimossi e che egli avrebbe finalmente potuto far
loro visita.
Paolo sentiva di dover andare a Roma , non per rivendicare la sua autorità apostolica sui credenti di
quella città, ma per l’ardente desiderio di predicare il vangelo e di avere lì dei suoi convertiti, così
come in tutte le altre città che aveva visitato. Sentiva di avere un debito sia verso i Greci che verso i
Barbari, (ricordiamo che per i Greci tutti coloro che non erano Greci erano barbari), sia verso i
sapienti che verso gli ignoranti, un debito frutto dell’incarico ricevuto da Dio stesso, quello di
predicare in ogni posto il Vangelo della salvezza.
Degno di nota in questo brano è il versetto 8 nel quale Paolo dichiara di ringraziare Dio per la loro
fede per mezzo, in virtù, di Cristo Gesù.
Così come la grazia di Dio è trasmessa agli uomini mediante Cristo, (ricordate il versetto 5?) , così è
mediante Cristo che la loro gratitudine è trasmessa a Dio.
In poche parole possiamo dire che Cristo è mediatore sia verso Dio che verso gli uomini.
Possiamo sottolineare inoltre che, come abbiamo visto, Paolo dice che in tutto l’impero correva voce
che molti a Roma si stavano convertendo a Cristo, al punto che la cosa dava fastidio alle autorità.
Poco più tardi infatti cominciò la persecuzione.
Questo deve far riflettere soprattutto coloro che come me si dichiarano Cristiani.
La nostra presenza Cristiana, il nostro gruppo, la nostra chiesa, in che misura incidono sulla realtà
spirituale della società che ci circonda? Che influenza esercita sugli altri?
Qualcuno ha sentito parlare della nostra testimonianza personale?
Vista in quest’ottica la testimonianza che rendeva la chiesa di Roma all’inizio era davvero
esemplare!
I due versetti successivi, il 16 ed il 17 ci forniscono, tra le altre cose, la chiave di lettura di questa
grande epistola ai Romani.
Essi costituiscono la base su cui Paolo costruisce i capitoli successivi, di fatto sono un sunto del
Vangelo secondo Paolo.
Leggiamoli insieme:
Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede;
del Giudeo prima e poi del Greco;
poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: “Il giusto per fede vivrà”.
Romani.1:16-17
“Io non mi vergogno del vangelo”.
Paolo aveva appena detto. “Io sono debitore, io sono pronto”, ora dice: “io non mi vergogno…”.
Sono debitore verso i Greci così come lo sono verso i barbari, Romani compresi; sono debitore
verso i sapienti così come lo sono verso gli ignoranti; per questo motivo sono pronto ad annunciare
il Vangelo dappertutto, anche a voi che siete a Roma, a voi che vivete nella capitale del mondo.
Sono pronto e non ho nulla di cui vergognarmi, anche se il vangelo di Gesù Cristo può sembrare
una pazzia ed uno scandalo, io non mi vergogno di esso, non mi vergogno di annunciarlo perché:
“esso è potenza di Dio per la salvezza”!
Questo parafrasato è il concetto espresso da Paolo nel versetto 16, concetto che lo stesso Paolo
ripeterà in 1°Corinzi 1:17- 25:
“Infatti Cristo non mi ha mandato a battezzare ma ad evangelizzare; non con sapienza di parola,
perché la croce di Cristo non sia resa vana. Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli
che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; infatti sta scritto: “Io farò
perire la sapienza dei saggi e annienterò l’intelligenza degli intelligenti”. Dov’è il sapiente? Dov’è
lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo
mondo? Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio,
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nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. I Giudei infatti chiedono
miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è
scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto giudei quanto greci,
predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli
uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.”
La parola greca tradotta con “potenza” è dunamis, da cui deriva “dinamite”.
Il vangelo è dunque per Paolo dinamite!
E’ il genere di potenza che il dr. Marvin R. Vincent chiamò energia divina! Il vangelo ha potenza in
sé stesso, una potenza innata.
La sua potenza è rivolta a qualcosa di specifico: “E’ infatti la potenza di Dio per la salvezza”.
E’ questo il fine e l’effetto del vangelo. La salvezza dell’uomo.
“Salvezza” è il termine che racchiude tutto il vangelo, e significa semplicemente “liberazione”.
Essa abbraccia tutto: dalla giustificazione per fede, alla glorificazione eterna.
E’ allo stesso tempo un atto ed un processo. In altre parole, con un solo termine è possibile
affermare contemporaneamente che: “sono stato” salvato, che “sono” salvato e che “sarò” salvato.
Il vangelo è per la salvezza “del giudeo prima, e poi del greco”. Esso è per tutti.
Comprende l’intera razza umana, a prescindere dalle barriere razziali o religiose. Ed è personale; è
indirizzato ad ogni individuo.
Come abbiamo visto il vangelo è universale nel suo scopo, ma Paolo ci dice che è riservato a
“chiunque crede”.
Questa affermazione esclude automaticamente l’elezione e il libero arbitrio. L’unico modo per
procurarsi la salvezza è attraverso la fede personale.
La frase “Del giudeo prima, e poi del greco” non significa che il giudeo abbia la priorità.
Ciò che conta è assicurarsi che nell’evangelizzare il giudeo abbia la stessa opportunità del gentile.
Cronologicamente parlando, il vangelo è giunto prima ai giudei. Se ad esempio ci fossimo trovati a
Gerusalemme il giorno della Pentecoste, avremmo partecipato ad un incontro completamente
giudaico.
E Paolo nei suoi viaggi missionari portava il vangelo prima nelle sinagoghe ebraiche.
Ma in Atti 13:46 ci viene detto: “Ma Paolo e Barnaba dissero con franchezza: ‘Era necessario che
a voi per primi si annunziasse la Parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi ritenete degni
della vita eterna, ecco, ci rivolgiamo agli stranieri (gentili)”.
Il vangelo prese l’avvio a Gerusalemme, una città giudaica, poi si diffuse in Giudea, Samaria e fino ai
confini della terra.
Il dr. Stifler, studioso della Bibbia, richiama la nostra attenzione su tre verità molto pertinenti che
scaturiscono dal versetto che stiamo esaminando:
1°) – l’effetto del vangelo è la salvezza;
2°) – la sua estensione è mondiale, per tutti;
3°) – la condizione per ottenere salvezza è la fede in Gesù Cristo.
Paolo però non si ferma qui e ci dice nel versetto 17 che il Vangelo non è solo la potenza di Dio per
la salvezza dell’uomo, ma anche l’espressione della giustizia di Dio rivelata agli uomini.
La traduzione letterale della frase sarebbe questa:
“Una giustizia di Dio viene rivelata”.
Non dovrebbe essere tradotto con ‘la’ giustizia di Dio, perché la giustizia è un suo attributo e Dio non
condivide questo Suo attributo con nessuno.
E’ ‘una’ giustizia, e viene da Dio; non è la giustizia dell’uomo.
Dio ha già detto che non accetterà la giustizia dell’uomo, perché essa è come un abito sporco ai suoi
occhi, secondo Isaia 64:6. “Tutti quanti siamo diventati come l’uomo impuro, tutta la nostra
giustizia come un abito sporco; tutti quanti appassiamo come foglie e la nostra iniquità ci porta via
come il vento.”
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Paolo parla in questo versetto della giustizia attribuita all’uomo attraverso il sacrificio di Cristo.
Dio colloca un peccatore perduto in Cristo, e lo vede in Lui.
Il credente viene accettato senza riserve, reso puro agli occhi di Dio, il suo peccato è cancellato, ma
tutto questo non è il frutto di ciò che egli è stato in grado di fare, bensì la conseguenza di ciò che
Cristo ha fatto per lui. L’unico modo per procurarsi questa giustizia è attraverso la fede: si tratta di
una giustizia mediante la fede.
Nessuno può ottenerla lavorando; non è possibile fare un deposito di questo; non puoi comprarla.
Puoi solo accettarla per fede.
“E di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha
mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede” Filippesi 3:9
La parola tradotta con “giustizia” è dikaiosune. Essa ricorre novantadue volte nel Nuovo Testamento,
trentasei delle quali nell’epistola ai Romani.
La frase “una giustizia che viene da Dio” si trova otto volte nell’epistola.
La radice “dike” significa semplicemente “giusto”.
‘Giustizia’ e ‘giustificare’ derivano dalla stessa parola.
“Essere giusto” è il suo primo significato, ed è opposto al concetto di “peccato”.
Il dr. Cremer, famoso teologo, dà della giustizia questa appropriata definizione:
“E’ la posizione che Dio richiede e che riesce a superare la prova del Suo giudizio; è il carattere e
l’agire di un uomo approvato da Dio il quale, in virtù di questa giustizia, fa di Dio e della Sua
volontà il suo ideale e standard”.
La giustizia di cui Cremer parla è ciò che Dio richiede, ed è ciò che Dio provvede – è una giustizia
che viene da Dio stesso. “Da fede a fede” significa semplicemente “immerso nella fede”.
Dio ti salva per fede, tu vivi per fede, muori per fede e sarai in cielo per fede. Lasciate che vi illustri
questo concetto con un semplice esempio.
Sono nato un certo numero di anni fa a Milano. Mia madre mi ha detto che quando sono venuto alla
luce, il dottore mi ha preso per le caviglie, mi ha dato uno schiaffetto ed io ho lanciato un urlo che
poteva essere udito in tutta la città.
Sono nato in un mondo immerso nell’atmosfera e quel colpetto mi ha fatto cominciare a respirare. Da
quel giorno e fino ad oggi sto respirando aria. Di aria in aria, di ossigeno in ossigeno.
Diciannove anni dopo sono rinato spiritualmente. Sono stato salvato per fede, e da allora vivo in
un’atmosfera diversa, vivo nella fede in Cristo – di fede in fede.
La frase: “Come è scritto” fa riferimento ad un versetto che si trova nel libro del profeta Abacuc
2:4 dove leggiamo: “Ma il giusto per la sua fede vivrà.”
E’ interessante sottolineare che questo passo viene riportato in tre grandi epistole del Nuovo
Testamento: Romani, Galati, ed Ebrei. “Il giusto vivrà per fede”.
“Giustificazione per fede”, vuol dire che un peccatore che confida in Cristo non solo viene
perdonato perché Cristo è morto, ma anche che davanti a Dio egli è completo in Cristo.
Essa non implica soltanto “sottrazione” di peccato, ma anche “addizione” di giustizia, come è scritto
in Romani 4:25 “Egli è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra
giustificazione” affinché potessimo comparire davanti a Dio completi in Cristo.
Ma attenzione, l’azione di Dio nella giustificazione per fede non è una decisione che arbitrariamente
ignora la Sua santità e la Sua giustizia.
Dal momento che Egli ci salva per grazia, viene automaticamente escluso alcun merito da parte
nostra. Egli ci salva semplicemente sulla base del fatto che confidiamo in Gesù.
Dio però non aprirà la porta posteriore del cielo lasciando sgattaiolare dentro i peccatori quando è
buio, Egli nella Sua santità e nella sua giustizia giudicherà l’uomo che non avrà ritenuto sufficiente
il sacrificio di Cristo per lui.
Ricorda, Cristo è morto per te, è morto per aprirti la strada. Il Signore Gesù è la strada per il cielo.
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Dal momento che ha subito la punizione per il nostro peccato, la salvezza è nostra solamente
mediante la fede nel suo sangue.
Con queste espressioni l’apostolo Paolo annuncerà nel capitolo 3 quanto abbiamo detto finora
Romani 3:25-26: “Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo
sangue, per dimostrare la sua Giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in
passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua Giustizia nel tempo presente
affinché Egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù.” .
Qui si conclude di fatto l’introduzione della lettera.
A questo punto Paolo apre un nuovo paragrafo in cui rivela che l’uomo è peccatore.
Leggiamo insieme i versetti da 18 a 23 di Romani 1:
L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità
con l’ingiustizia; poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio
manifestato loro; infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono
chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi
sono inescusabili, perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato come Dio, né lo
hanno ringraziato; ma si sono dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d’intelligenza si è
ottenebrato. Benché si dichiarino sapienti, sono diventati stolti, e hanno mutato la gloria del Dio
incorruttibile in immagini simili a quelle dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
Romani 1:18-23
Lo scopo di Paolo in questi versetti non è quello dì dimostrare che l’uomo è un peccatore davanti a
Dio. In effetti, questa verità è quasi universalmente riconosciuta.
Il fatto che il mondo sia colpevole davanti alla santità ed alla giustizia di Dio e che tutti abbiano
bisogno del Suo perdono e della sua Salvezza è scontato.
Anche chi nega l’esistenza di Dio non può negare che l’uomo sia mancante e molto lontano da
quello che è il concetto di Giustizia unanimemente riconosciuto.
Perciò leggere i versetti di Paolo con questa aspettativa farebbe perdere il senso principale del
discorso, il punto della situazione.
Ciò che l’apostolo vuole dimostrare è che, oltre che ad una rivelazione della giustizia di Dio, esiste
anche la rivelazione dell’ira’ di Dio contro il peccato dell’uomo.
Insomma, attraverso questi versetti, ma non solo attraverso di essi, l’ira di Dio si rivela.
In effetti, per sapere esattamente che cos’è la salvezza, dobbiamo sapere quanto è cattivo il peccato.
Il dott. Stifler dice nei suoi scritti che: “Il peccato è la misura della salvezza”
Biblicamente l’ira di Dio è il Suo sentimento nei confronti del peccato, e non la Sua punizione.
Comporta l’esercizio di una volontà personale, ma non implica che vi sia qualcosa di vendicativo o
di capriccioso nella natura di Dio.
L’ira di Dio e’ la Sua santa rabbia.
L’ira è l’opposto della giustizia, ed in questo passo viene usata come suo correlativo.
L’affermazione che l’ira di Dio “Si rivela” è la risposta a coloro che sostengono che il Vecchio
Testamento presenti un Dio d’ira, mentre il Nuovo Testamento un Dio d’amore.
In realtà in entrambi i testamenti c’è una continua rivelazione dell’ira di Dio.
Essa si manifesta anche nella società contemporanea.
Essa e’ il costante e persistente dispiacere di Dio nei confronti del peccato. Egli non cambia.
Egli e’ misericordioso, ma la sua misericordia non si manifesta con qualche forma di indulgenza nei
confronti del peccatore ma attraverso la morte di Cristo.
Il vangelo non ha cambiato l’atteggiamento di Dio nei confronti del peccato; ha reso soltanto
possibile l’accettazione del peccatore.
Sul peccatore ricade comunque la giustizia o l’ira di Dio.
Entrambe sono rivelate dal cielo. E questo lo si vede in ogni campo.
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Il giudizio di Dio si rivela dal cielo quotidianamente ed un giorno egli giudicherà il peccato in
maniera definitiva, e con esso l’uomo che volontariamente ha rifiutato il sacrificio espiatorio del suo
Figliolo Cristo Gesù.
Contro cosa si rivela l’ira di Dio? Paolo ci ricorda che essa si rivela “Contro ogni empietà” –
L’empietà è tutto ciò che va contro Dio, tutto ciò che rinnega il Suo carattere.
Ci sono ad esempio tantissime persone che negano l’esistenza di Dio, e questo significa essere empi.
L’empietà è una condizione dell’anima; è peccato.
Ma l’ira di Dio si rivela anche “Contro ogni ingiustizia” –
Mentre l’empietà è contro Dio, l’ingiustizia è contro l’uomo.
Che cosa significa essere ingiusti? Significa rifiutare le regole di Dio.
E’ l’azione dell’anima. L’uomo che ad esempio si ubriaca, esce per strada, non rispetta le regole
stradali e uccide qualcuno… è ingiusto.
Sta peccando contro gli altri uomini.
Un altro esempio ci viene fornito da colui che è disonesto negli affari. Dio odia l’ingiustizia
dell’uomo. La giudicherà.
Così come giudicherà coloro “Che soffocano la verità con l’ingiustizia”, la frase tradotta significa,
letteralmente, che sopprimono la verità con l’ingiustizia.
L’ira di Dio si rivela anche contro chi commette questo.
L’universo in cui viviamo ci rivela due cose di Dio: la Sua persona e la Sua potenza. E questo è
evidente fin dalla creazione del mondo.
Come si possono vedere le cose invisibili? Paolo fa apposta questo paradosso per imprimere nei
lettori il fatto che “la pallida luce della natura” è una menzogna dell’uomo.
La creazione è una luce brillante della rivelazione.
E’ la rivelazione primaria. Il salmista disse Salmo 8:3. “Quando io considero i tuoi cieli, opera delle
tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte…”
E più avanti Salmo 19:1:”I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l’opera delle
sue mani”
La creazione rivela la potenza immutabile e l’esistenza di Dio. “La sua eterna potenza e divinità”
Paolo disse in Atti 14:17:
” …senza però lasciare sé stesso privo di testimonianza, facendo del bene, mandandovi dal cielo
pioggia e stagioni fruttifere, dandovi cibo in abbondanza e letizia nei vostri cuori.
E siccome tutti noi siamo creature (e non figli) di Dio, Paolo disse Atti 17:29:
“Essendo dunque discendenza di Dio, non dobbiamo credere che la divinità sia simile a oro, argento
o pietra scolpita dall’arte e dall’immaginazione umana”
Il dr. James Denny scrive: “C’è qualcosa nell’uomo che afferra il senso di tutto ciò che un senso non
ha, come per sfociare in una istintiva conoscenza di Dio!”
Penso che la posizione più ridicola che l’uomo possa assumere sia quella di ateo.
Quando il salmista scrisse Salmo 14:1: “Lo stolto ha detto in cuor suo: non c’è Dio”
La parola che sta per ‘stolto’ significa ‘folle’. L’uomo che rinnega l’esistenza di Dio è ‘folle’
Per questo Paolo prosegue dicendo che essi sono inescusabili.
La creazione rivela Dio in un modo così evidente che l’uomo non ha scuse.
Questa sezione rivela le basi storiche del peccato dell’uomo. Esso non fu il frutto dell’ignoranza, ma
una ribellione volontaria all’evidenza.
Se consideriamo poi attentamente i versetti successivi in Romani 1, potremo notare che dal Giardino
dell’Eden in poi l’uomo ha compiuto sette passi in discesa. In essi non esiste qui l’idea dell’uomo che
cammina in salita. Questi versetti contraddicono l’ipotesi dell’evoluzione.
L’uomo non sta migliorando né fisicamente, né moralmente, né intellettualmente, né spiritualmente.
La tendenza è verso il basso.
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Naturalmente questo concetto si scontra anche con tutte le antologie religiose che cominciano con
l’uomo che si trova in una condizione molto primitiva, come l’uomo delle caverne dalle facoltà
intellettive minime, e che si evolve intellettualmente cominciando a guardare verso Dio.
Tutto ciò è falso. L’uomo si sta allontanando da Dio sempre più, e probabilmente oggi è più lontano
di quanto non lo sia mai stato nella storia. In realtà, nella tradizione di tutte le tribù primitive risulta
che all’inizio i loro antenati conoscevano Dio.
Il dr. Vincent in ‘Word Studies in the New Testament’ dice a questo proposito:
“Io credo che possa essere dimostrato che qualunque popolo, perfino il più selvaggio, abbia in
qualche periodo della sua vita, conosciuto più dì quanto abbia fatto: conosciuto abbastanza da
permettergli di andare avanti comodamente, prosperare e svilupparsi, se solo avesse fatto ciò che
nessun uomo fa, cioè tutto quello che sapeva di dovere e di poter fare”.
Nessuno è mai vissuto alla luce di tutto ciò che sapeva. Sebbene avessero una conoscenza di Dio, si
sono allontanati da Lui.
“Non lo hanno glorificato come Dio”, dice Paolo, non gli hanno dato il giusto posto e l’uomo ha
cercato di diventare autosufficiente.
Oggi l’uomo ha annunciato che Dio è morto.
All’inizio l’umanità non riteneva che Dio fosse morto; gli ha semplicemente voltato le spalle facendo
dell’uomo il suo dio. Ma non solo non lo hanno glorificato, non lo hanno neanche ringraziato.
L’ingratitudine è uno dei peccati peggiori.
Ricorderete che Gesù guari dieci lebbrosi, ma solo uno di essi tornò indietro per ringraziarlo.
Solo il dieci per cento fu riconoscente. Io credo che oggi la percentuale sia perfino inferiore.
“Sì sono dati a vani ragionamenti”. Si sono perfino inventati una teoria dell’evoluzione.
“Il loro cuore privo di intelligenza si è ottenebrato”. Si sono trasferiti nelle tenebre del paganesimo.
Per rendersi conto di questo basta riflettere sulla nostra società contemporanea.
“Benché si dichiarino sapienti, sono diventati stolti”. La saggezza dell’uomo è stoltezza per Dio.
L’uomo ricerca la verità attraverso i ragionamenti logici, ma giunge a una filosofia che è stolta agli
occhi di Dio. Nel nostro studio della Parola di Dio nell’epistola ai Romani stiamo analizzando
insieme a Paolo i risultati della ribellione dell’uomo a Dio.
Nei restanti versetti di Romani 1 è detto tre volte che Dio li ha abbandonati.
Leggiamoli insieme:
Per questo Dio li ha abbandonati all’impurità, secondo i desideri dei loro cuori, in modo da
disonorare fra di loro i loro corpi; essi, che hanno mutato la verità di Dio in menzogna e hanno
adorato e servito la creatura invece del Creatore, che è benedetto in eterno. Amen. Perciò Dio li ha
abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l’uso naturale in quello che è
contro natura; similmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono
infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri commettendo uomini con uomini atti infami,
ricevendo in loro stessi la meritata ricompensa del proprio traviamento. Siccome non si sono curati
di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è
sconveniente; ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d’invidia, di omicidio,
di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi,
vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati.
Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte,
non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette.
Romani 1:24-32
La degenerazione dell’uomo si può misurare anche in base alla sua perversione sessuale.
Ci sono molte chiese oggi che appoggiano la perversione sessuale, invece di condannarla, ma Dio
dice che li ha abbandonati.
L’idolatria e l’immoralità indecente sono i frutti più amari del rifiuto della rivelazione divina.
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E’ importante ricordare che Dio era ed è sempre pronto ad accettare un peccatore pentito, ma ciò non
rende giusto il peccato in quanto tale.
L’omosessualità sia maschile che femminile, ad esempio, è chiaramente condannata dalla Parola di
Dio che la classifica come un “abominio davanti all’eterno”.
Essa così come tutti gli altri peccati qui elencati sono il frutto dell’allontanamento dell’uomo da Dio,
del rifiuto cosciente della sua autorità e della ribellione ad essa.
“Dio li ha abbandonati” significa letteralmente “Dio li ha consegnati” – è un atteggiamento
positivo, non passivo. Essi “Che hanno mutato la verità di Dio in menzogna”.
In altre parole, hanno voltato le spalle a Dio e si sono rivolti a Satana, l’autore della menzogna e
padre dell’idolatria. Un tipo di idolatria che li ha condotti nelle profondità più basse del degrado
morale. Si tratta di passioni che riguardano il disonore, la vergogna e la depravazione.
Quando la perversione è entrata nella vita dei greci, la Grecia è decaduta.
Oggi la sua gloria è completamente svanita. Perché? Perché questi erano i suoi peccati.
Chiunque venga a dirmi che si può essere figli di Dio e allo stesso tempo vivere nella perversione,
nel fango melmoso del permissivismo contemporaneo, non fa altro che prendere in giro sé stesso.
Solo se andrà a Cristo, potrà ottenere la liberazione. I versetti poi che vanno dal 29 al 31 dicono:
ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di contesa, di
frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi,
ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati.
Romani 1:29-31
Questi versetti forniscono uno spaventoso elenco di peccati che sono la conseguenza della ribellione
dell’uomo a Dio, essi sono lo specchio di ciò che l’umanità commette anche ai nostri giorni.
E questa è la condizione dell’uomo, non al Cairo, o a Calcutta, o nel cosiddetto terzo mondo, ma
nelle nostre città, in ogni angolo del mondo.
Qualcuno di noi può dire in tutta coscienza di non rientrare in questa descrizione?
Forse qualcuno illude se stesso con questa convinzione, ma la parola di Dio ed in particolare i
capitoli che seguiranno dimostreranno abbondantemente il contrario.
Allora la domanda di Paolo e della Parola di Dio a tutti noi è:
Quanto ancora Dio potrà tollerare questa situazione ed essere paziente?
Ricordiamoci che nel passato Egli ha giudicato grandi nazioni che si muovevano in questa
direzione.
L’uomo ha ricevuto una rivelazione da parte di Dio, ma si compiace di sé stesso, sfidando il giudizio
di Dio su questi peccati. Continua a praticarli e approva coloro che fanno lo stesso.

Da crc

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