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LUCA CAP. 15 : IL FIGLIOL PRODIGO , LE 10 DRAMME , IL BUON PASTORE

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NAAMAN : IL LEBBROSO

NAAMAN IL LEBBROSO

 2 Re 5  è uno dei più interessanti capitoli della vita del profeta Eliseo.
Ci parla della guerra in atto tra la Siria ed Israele e di un capitano Siriano, Naaman.
Iniziamo leggendo i primi 4 versetti
Naaman, capo dell’esercito del re di Siria, era un uomo tenuto in grande stima e onore presso il suo
signore, perché per mezzo di lui il SIGNORE aveva reso vittoriosa la Siria; ma quest’uomo, forte e
coraggioso, era lebbroso. Alcune bande di Siri, in una delle loro incursioni, avevano portato
prigioniera dal paese d’Israele una ragazza che era passata al servizio della moglie di Naaman. La
ragazza disse alla sua padrona: “Oh, se il mio signore potesse presentarsi al profeta che sta a
Samaria! Egli lo libererebbe dalla sua lebbra!” Naaman andò dal suo signore, e gli riferì la cosa,
dicendo: “Quella ragazza del paese d’Israele ha detto così e così”.
Il primo versetto che abbiamo letto ci offre un breve ritratto di Naaman.
Era il capitano dell’esercito siriano e benché pagano, era un gran uomo e un uomo d’onore.
Per suo tramite il Signore aveva liberato la Siria; questa è una cosa notevole.
Sono certo che sarete d’accordo con me che questo è un uomo di cui si è servito il Signore.
Scoprirete che in questo mondo il Signore si serve anche di uomini che non sono cristiani.
Ciò vi può sembrare strano ma non c’è bisogno che vi inoltriate tanto nella lettura della Parola di Dio
per scoprire che Egli si servì di uomini come il Faraone, Nabucodonosor, Ciro e Alessandro il
Grande. E qui, viene detto che si servì di Naaman.
Ci viene anche detto che Naaman era un grande uomo di grande valore. Tutte queste doti menzionate
contano nell’alta corte celeste. Dio non le disprezza. Questo pagano era usato da Dio: “Per mezzo di
lui il Signore aveva reso vittoriosa la Siria”.
Ma anche se leggiamo che di lui si dicono tante buone cose, dobbiamo aggiungere questo: “….era
lebbroso”. Oggi al mondo ci sono tante persone di cui si parla molto bene ma che non sono cristiani.
Si può dire che sono ottimi uomini o donne che hanno fatto cose eccellenti.
Però bisogna concludere il discorso dicendo che sono peccatori Romani 3:23 ci dice chiaramente
questo: “Tutti hanno peccato e sono privi della grazia di Dio”.
Non importa quanto siano brave le persone, agli occhi di Dio sono tutti peccatori.
Nei paesi pagani, i lebbrosi non erano esclusi dalla società.
E’ interessante notare che Dio diede ad Israele una legge che stabiliva l’isolamento dei lebbrosi
impedendo così che il male dilagasse. Oggi i lebbrosi vengono accolti in colonie e tenuti lontani dal
resto della società anche se questa malattia, quando è presa in tempo, può essere curata.
La lebbra, nelle Scritture, è un simbolo di peccato. Una ragione è che era incurabile per la scienza
umana. Solo Dio può curare il peccato e salvare un peccatore.
Naaman aveva tante belle doti ma era un peccatore. Egli cercava di nascondere la lebbra che portava
ma non poteva curarla.
Oggi, tante persone passano una mano di bianco sul peccato. Quello di cui hanno bisogno è di
divenire candidi e solo Cristo può farlo.
Subito dopo ci viene parlato di uno di quei personaggi della Bibbia che rimangono sconosciuti, nel
senso che non ci viene detto il nome.
Si tratta di una giovane, una ragazzina ebrea. Anche se non ne conosciamo il nome, la ragazzina è
tanto grande quanto la Regina Ester, quanto Rut la giovane Moabita, quanto Bat-Seba, o Sara, o
Rebecca e Rachele.
Questa giovanetta era “al servizio della moglie di Naaman”, era stata catturata durante un’incursione
e presa in casa come schiava dal capitano Siriano.
Questa giovane ebrea non aveva alcuna importanza nella società, tuttavia un giorno mentre era
insieme alla sua padrona sospirò e disse: “Oh se il mio signore potesse presentarsi al profeta che sta
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a Samaria! Egli lo libererebbe dalla sua lebbra” vedete, come Eliseo si era fatto una bella
reputazione.
La moglie del capitano prese sul serio ciò che la ragazza aveva detto e lo riferì al marito, così la cosa
giunse alle orecchie del Re di Siria che decise di agire. Come troviamo scritto nei versetti che vanno
dal 5 al 8 di questo capitolo che leggiamo.
Il re di Siria gli disse: “Ebbene, va’; io manderò una lettera al re d’Israele”. Egli dunque partì,
prese con sé dieci talenti d’argento, seimila sicli d’oro, e dieci cambi di vestiario; e portò al re
d’Israele la lettera, che diceva: “Quando questa lettera ti sarà giunta, saprai che ti mando Naaman,
mio servitore, perché tu lo guarisca dalla sua lebbra”. Appena il re d’Israele lesse la lettera, si
stracciò le vesti, e disse: “Io sono forse Dio, con il potere di far morire e vivere, ché costui mi
chieda di guarire un uomo dalla lebbra? É cosa certa ed evidente che egli cerca pretesti contro di
me”. Quando Eliseo, l’uomo di Dio, udì che il re si era stracciato le vesti, gli mandò a dire: “Perché
ti sei stracciato le vesti? Quell’uomo venga pure da me, e vedrà che c’è un profeta in Israele”.
2Re 5:5,8
Il re fu ben lieto di sentire che c’era qualche cosa che si potesse fare per l’uomo a cui lui tanto teneva,
e lo inviò subito al re d’Israele con una lettera di presentazione assieme ad una lauta ricompensa.
Tale lettera da parte del re di Siria che chiedeva che il capitano del suo esercito venisse guarito della
lebbra, mise in grande imbarazzo il re d’Israele che esclamò: “Non sono Dio. Non posso guarirlo!”
Infatti il messaggio era stato inviato alla persona sbagliata; avrebbe dovuto essere inviato a Eliseo. Il
re d’Israele disse: “Non posso affermare di poter guarire alcuno”.
Neppure Eliseo sosteneva di essere un guaritore, ma egli era in rapporto con il Grande Medico.
Pertanto il re d’Israele giunse alla conclusione che il re di Siria stava cercando un pretesto per
muovere guerra; perché mai gli avrebbe inviato il capitano del suo esercito con questa richiesta
impossibile? Ma Eliseo venne a sapere tutto ciò e chiese che Naaman fosse mandato da lui.
Leggiamo come andarono le cose in seguito nei versetti  di 2 Re 5:9,10,11,12,13,14,
Naaman dunque venne con i suoi cavalli e i suoi carri, e si fermò alla porta della casa di Eliseo. Ed
Eliseo gli inviò un messaggero a dirgli: “Va’, lavati sette volte nel Giordano; la tua carne tornerà
sana, e tu sarai puro”. Ma Naaman si adirò e se ne andò, dicendo: “Ecco, io pensavo: egli uscirà
senza dubbio incontro a me, si fermerà là, invocherà il nome del SIGNORE, del suo Dio, agiterà la
mano sulla parte malata, e guarirà il lebbroso. I fiumi di Damasco, l’Albana e il Parpar, non sono
forse migliori di tutte le acque d’Israele? Non potrei lavarmi in quelli ed essere guarito?” E,
voltatosi, se n’andava infuriato. Ma i suoi servitori si avvicinarono a lui e gli dissero: “Padre mio,
se il profeta ti avesse ordinato una cosa difficile, tu non l’avresti fatta? Quanto più ora che egli ti ha
detto: “Làvati, e sarai guarito”. Allora egli scese e si tuffò sette volte nel Giordano, secondo la
parola dell’uomo di Dio; e la sua carne tornò come la carne di un bambino; egli era guarito.
2 Re 5:9 ,14
Naaman veniva da una grande regno del nord.
Infatti, la sua nazione in quel tempo stava facendo pressione sulla nazione d’Israele ed aveva già
riportato delle vittorie su Israele, quindi Naaman si aspettava che lo accogliessero con tutti i riguardi
e invece cosa successe?
Eliseo non si degnò neppure di uscire per parlargli direttamente, mandò il suo servo a dirgli che
doveva tuffarsi sette volte nel Giordano e che così sarebbe guarito.
Naaman era seccato poiché era un uomo molto orgoglioso e non era mai stato trattato così.
Il Signore però voleva guarirlo non solo della sua lebbra ma anche del suo orgoglio.
Quando Dio vi salva, vuol togliere dalla vostra vita anche ciò che lo offende e l’orgoglio è proprio
una delle cose che Dio detesta. Si parla tanto del fatto che “Dio ama” ; ma Dio odia, anche.
Non è possibile amare senza odiare, non si può amare il bene senza odiare il male.
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E’ vero che Dio ama l’uomo, ma con parole inconfutabili Dio afferma che odia l’orgoglio nel cuore
umano. I versetti dei Proverbi 6:16-19 elencano sette cose che Dio odia e le prime della lista sono
“Gli occhi alteri, la lingua bugiarda e le mani che spargono sangue innocente”.
Vedete che cosa si trova al primo posto di questo elenco di cose che Dio odia? Uno atteggiamento
altero. Dio ci dice che egli lo odia. Lo odia tanto quanto odia l’omicidio.
Giacomo 4:6 recita: “Anzi egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura dice: Dio resiste
ai superbi e da grazia agli umili” L’orgoglio è la rovina dell’uomo, è un grave peccato.
In Proverbi 16:18 leggiamo: “La superbia precede la rovina e lo spirito altero precede la caduta”.
Proverbi 11:2 dice: “Venuta la superbia viene anche l’infamia ma la saggezza è con gli umili” ed
infine in Proverbi 29:23 leggiamo: “L’orgoglio abbassa l’uomo ma chi è umile di spirito ottiene
gloria”. Ma perché Dio odia l’orgoglio?
La definizione di orgoglio è un’eccessiva auto-stima, un concetto troppo elevato della propria
posizione e dei propri conseguimenti.
Paolo ne parlò così Romani 12:3: “Per la grazia che mi è stata concessa, dico quindi a ciascuno di
voi che non abbia di se un concetto più alto di quello che deve avere, ma abbia di se un concetto
sobrio, secondo la misura di fede che Dio ha assegnata a ciascuno”.
Orgoglio è anche darsi un eccessivo valore e pretendere più di quello che si vale.
Avete mai sentito dire: “Vorrei comprare quell’uomo per quanto vale e venderlo per quanto si crede
di valere”? L’orgoglio è la differenza tra ciò che siete e ciò che credete di essere.
Fu l’orgoglio di Satana che lo fece cadere. Quello fu il suo peccato.
L’orgoglio fu anche il peccato di Edom di cui Dio disse Abdia 4  “Anche se tu facessi il tuo nido in
alto come l’aquila, anche se tu lo mettessi fra le stelle, io ti farò precipitare di lassù, dice il
Signore” . L’orgoglio dell’uomo va contro al piano di Dio e dove si incontrano c’è contrasto.
Non vi è compromesso e si tratta di una collisione frontale.
Vedete, il piano di salvezza del Signore è la suprema risposta all’orgoglio dell’uomo.
Dio abbassa l’uomo, non prende nulla da lui.
Paolo, quando incontrò Gesù, poté dire di se stesso Filippesi 3:7  “Ma ciò che per me era un
guadagno, lo ho considerato come un danno, a causa di Cristo”.
Paolo rinunciò alla religione, rinunciò a tutto ciò che era stato e che riteneva importante e che ora
considerava sudiciume e disse: “me ne sono sbarazzato”. Cristo e orgoglio non si accompagnano.
Non potete essere orgogliosi e allo stesso tempo accettare fiduciosi Cristo come Salvatore.
Se avete fiducia in Lui, lascerete cadere nella polvere tutto il vostro orgoglio.
La storia di Naaman è il più bel esempio che abbiamo di un uomo spogliato del suo orgoglio.
Senz’altro era un gran uomo.
Dio elenca tutte le cose che lo distinguono come uomo di carattere e capacità. Ma era un lebbroso.
Un peccatore. Dio lo guarì non solo della lebbra ma anche del suo orgoglio.
Credetemi, Eliseo lo insultò veramente. Naaman credeva che Eliseo gli sarebbe venuto incontro e, in
piedi, avrebbe invocato il nome del Signore suo Dio, agitato una mano e lo avrebbe guarito dalla
lebbra. Sapete, questa è religione. Sarebbe come se Naaman descrivesse un qualsiasi altro rito che
noi conosciamo. Questa è religione. Quando Dio guarisce, è per fede, ed Egli in questo modo
calpesta il tuo orgoglio.
Non devi seguire una religione, dei riti per farti guarire, devi andare da Dio il Grande Medico.
Le obiezioni di Naaman circa il fiume erano esatte. Chi ha visto quei bei fiumi del Libano lo sa.
Nella città di Byblos c’è un posto chiamato “Biglietti da visita dei Grandi della Terra” perché è il
luogo dove uomini insigni hanno lasciato delle scritte sulle pendici della collina.
Percorrendo a piedi per circa un chilometro la sponda del fiume, si ammirano le belle, limpide acque
scorrere sul greto roccioso.
Il Giordano invece è un fiumiciattolo melmoso, che non regge al confronto con i ruscelli del Libano.
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Quindi potrei essere d’accordo con Naaman che chiese “ma perché mai dovrei bagnarmi nel
Giordano? Perché non immergermi in un corso di acqua limpida?” In questo vi è un insegnamento
per noi tutti. Tante persone odiano venire alla croce di Cristo.
E’ un luogo di ignominia di vergogna. La gente non vuole venire alla Croce.
Vuole invece fare qualche cosa di importante. Ed è quello che voleva fare Naaman.
Oh, l’orgoglio di Naaman! Disse che i fiumi di Damasco erano migliori, e lo erano.
Era offeso dall’impudenza e dall’impertinenza del profeta che gli chiedeva di lavarsi nel Giordano.
Ma amica, amico, dovrai venire alla Croce di Cristo, non puoi presentarti a Gesù e restargli innanzi
con il tuo orgoglio. Non puoi dire che hai qualche cosa su cui appoggiarti quando vieni a lui.
Vieni, come dice un canto “così come sono senza altra ragione se non che il Tuo sangue è stato
versato per me” e versato per ogni persona.
Tutto quello che devi fare è accettare la sua opera sulla Croce.
Mentre Naaman si allontanava infuriato, i suoi servi cercavano di farlo ragionare: “Se il profeta ti
avesse chiesto di fare qualcosa di importante lo avresti fatto”, gli dissero.
Quanti oggi vorrebbero fare qualche cosa d’importante per ottenere la salvezza? Non hai bisogno di
fare nulla, lo ha già fatto Lui per noi e tutto ciò che dobbiamo fare è di riceverlo.
Ci presentiamo come mendicanti e anche Naaman lo ha dovuto fare.
Convinto dalle parole dei suoi servitori Naaman scese al fiume e vi si immerse sette volte, secondo
le istruzioni di Eliseo. Darei qualunque cosa al mondo per aver potuto assistere alla scena.
Credo che ogni volta che usciva dall’acqua si sarà scrutato dicendo più o meno: “Ma questo è
assurdo! Non guarisco – non sto liberandomi della lebbra!”
E poi di nuovo scendeva in acqua. Però si immerse sette volte nel fiume Giordano, e fu guarito.
Quali saranno ora i suoi sentimenti? Leggiamo il seguito nei versetti da 2Re 5: 15 ,19
Poi tornò con tutto il suo séguito dall’uomo di Dio, andò a presentarsi davanti a lui, e disse:
“Ecco, io riconosco adesso che non c’è nessun Dio in tutta la terra, fuorché in Israele. E ora, ti
prego, accetta un regalo dal tuo servo”. Ma Eliseo rispose: “Com’è vero che vive il SIGNORE di
cui sono servo, io non accetterò nulla”. Naaman insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò. Allora
Naaman disse: “Poiché non vuoi, permetti almeno che io, tuo servo, mi faccia dare tanta terra
quanta ne porteranno due muli; poiché il tuo servo non offrirà più olocausti e sacrifici ad altri dèi,
ma solo al SIGNORE. Tuttavia il SIGNORE voglia perdonare una cosa al tuo servo: quando il re,
mio signore, entra nella casa di Rimmon per adorare, e si appoggia al mio braccio, anch’io mi
prostro nel tempio di Rimmon. Voglia il SIGNORE perdonare a me, tuo servo, quando io mi
prostrerò così nel tempio di Rimmon!” Eliseo gli disse: “Va’ in pace!” Egli se ne andò e fece un
buon tratto di strada.
2 Re 5:15,19
Adesso, profondamente grato per la sua guarigione, Naaman insiste perché Eliseo accetti i ricchi
doni che ha portato, come segno della sua riconoscenza. Ma Eliseo non accetta nulla per ciò che Dio
ha compiuto.
Naaman non solo ha accettato la guarigione, ma ora la sua fede è nel Signore Dio d’Israele e nel suo
cuore nasce uno scrupolo in quanto, per la carica che rivestiva, avrebbe dovuto continuare ad entrare
nel tempio dell’idolo Rimmon.
Vi sarebbe entrato col suo corpo, non col suo cuore; così Eliseo lo rassicura.
Eliseo aveva un servo di nome Gheazi, a cui dispiaceva troppo veder sfumare tanti bei doni, quindi
corse dietro a Naaman.
Leggiamo dal versetto 20 al 27
Ma Gheazi, servo di Eliseo, uomo di Dio, disse fra sé: “Ecco, il mio signore è stato troppo generoso
con Naaman, con questo Siro, non accettando dalla sua mano quanto egli aveva portato; com’è vero
che il SIGNORE vive, io voglio corrergli dietro, e avere da lui qualcosa”.
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Così Gheazi corse dietro a Naaman; e quando Naaman vide che gli correva dietro, saltò giù dal
carro per andargli incontro, e gli disse: “Va tutto bene?” Egli rispose: “Tutto bene. Il mio signore
mi manda a dirti: “Ecco, proprio ora mi sono arrivati dalla regione montuosa d’Efraim due giovani
dei discepoli dei profeti; ti prego, dà loro un talento d’argento e due cambi di vestiario”. Naaman
disse: “Ti prego, accetta due talenti!” E gli fece premura; chiuse due talenti d’argento in due sacchi
con due cambi di vestiario, e li caricò addosso a due dei suoi servi, che li portarono davanti a
Gheazi. Giunto alla collina, Gheazi prese i sacchi dalle loro mani, li ripose nella casa, e rimandò
indietro quegli uomini, che se ne andarono. Poi andò a presentarsi davanti al suo signore.
Eliseo gli disse: “Da dove vieni, Gheazi?” Egli rispose: “Il tuo servo non è andato in nessun
luogo”. Ma Eliseo gli disse: “Il mio spirito non era forse presente laggiù, quando quell’uomo si
voltò e scese dal suo carro per venirti incontro? É forse questo il momento di prendere denaro, di
prendere vesti, e uliveti e vigne, pecore e buoi, servi e serve? La lebbra di Naaman s’attaccherà
perciò a te e alla tua discendenza per sempre”. Gheazi uscì dalla presenza di Eliseo, tutto lebbroso,
bianco come la neve.
2 Re 5:20,27
Gheazi approfittò dei buoni sentimenti di Naaman per soddisfare la propria avidità e per farlo
dovette mentire.
Il dono di Naaman fu molto generoso.
Gheazi permise ai servi di portare i doni sino alla torre quindi li prese lui e rimandò indietro i servi
da Naaman in modo che Eliseo non li vedesse.
Una volta nascosti i doni, Gheazi corse nuovamente al lavoro, comportandosi come se nulla fosse.
Come poteva pensare di farla franca conoscendo le doti di Eliseo? Come cioè il Signore gli si
rivelasse in modo tanto preciso?
Infatti non poté nascondere il suo peccato e la punizione fu immediata e tremenda.
La lebbra che aveva lasciato Naaman ricadde su di lui.
Il grande peccato di Naaman fu l’orgoglio.
Il grande peccato di Gheazi fu la cupidigia.
Il peccato è la lebbra dell’anima.
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RIFLESSIONI

LA FEDE DEL SOLDATO ROMANO

 

LUCA 7 Questo capitolo inizia con un altro accurato racconto di una guarigione. In questo caso si tratta del servo di un centurione romano. Anche se Gesù non ebbe contatti personali con il servo lo guarì ugualmente. Luca racconta poi la risurrezione dalla morte del figlio della vedova di Nain. E’ l’unico scrittore dei Vangeli che mette in evidenza il fatto che Gesù abbia risuscitato due persone dalla morte (l’altra era la figlia di Iairo, cap. 8:54-55). In questo capitolo troviamo anche la prima delle 18 parabole che solo Luca riporta. Scaturisce dalla visita di Gesù alla casa di un Fariseo dove una donna Gli unge i piedi. La semplice parabola finale dei due debitori rivela che questa donna di strada era meglio di Simone, il Fariseo. Iniziamo ora l’analisi del capitolo leggendo i primi dieci versetti: “Dopo che egli ebbe terminato tutti questi discorsi davanti al popolo che l’ascoltava, entrò in Capernaum. Un centurione aveva un servo, molto stimato, che era infermo e stava per morire; avendo udito parlare di Gesù, gli mandò degli anziani dei Giudei per pregarlo che venisse a guarire il suo servo. Essi, presentatisi a Gesù, lo pregavano con insistenza, dicendo: “Egli merita che tu gli conceda questo; perché ama la nostra nazione ed è lui che ci ha costruito la sinagoga”. Gesù s’incamminò con loro; ormai non si trovava più molto lontano dalla casa, quando il centurione mandò degli amici a dirgli: “Signore, non darti quest’incomodo, perché io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; perciò non mi sono neppure ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io sono uomo sottoposto all’autorità altrui, e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: “Vai”, ed egli va; a un altro: “Vieni”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo”, ed egli lo fa”. Udito questo, Gesù restò meravigliato di lui; e, rivolgendosi alla folla che lo seguiva, disse: “Io vi dico che neppure in Israele ho trovato una così gran fede!” E quando gli inviati furono tornati a casa, trovarono il servo guarito. Luca 7:1-10 C’erano molti soldati romani in città. Un centurione era un ufficiale Romano che aveva sotto di sé cento uomini. Apparentemente questo era un uomo di fede. Il suo amore per la nazione giudea è evidenziato dal fatto che aveva fatto costruire una sinagoga per loro a Capernaum. Era un ufficiale con autorità, poteva dire a un soldato: “Fai questo o vai li” e il soldato avrebbe ubbidito. Egli riconobbe che Gesù aveva quel tipo d autorità e di potenza, e che doveva soltanto dire una parola perché il suo servo fosse guarito. Gesù si meraviglia della fede di quest’uomo ed è interessante notare che solo in due occasioni Gesù si meraviglia. Si meraviglia della fede del centurione e dell’incredulità di Israele.

 

A chi diamo ascolto?

 

«Cosí dice l’Eterno degli eserciti: Non ascoltate le parole dei profeti che vi profetizzano. Essi vi fanno diventare spregevoli; vi espongono le visioni del loro cuore e non ciò che procede dalla bocca dell’Eterno. Dicono del continuo a quelli che mi disprezzano: ,L’Eterno ha detto: Avrete pace’ e a tutti quelli che camminano nella caparbietà del proprio cuore: ,Nessun male verrà su di voi’. Ma chi ha assistito al consiglio dell’Eterno? Chi ha visto, chi ha udito la sua parola? Chi ha prestato attenzione alla sua parola e l’ha udita? Ecco, la tempesta dell’Eterno si scatena furiosamente, una tempesta spaventevole si abbatterà sul capo degli empi. L’ira dell’Eterno non si acqueterà finché non abbia eseguito e compiuto i disegni del suo cuore; negli ultimi giorni lo capirete perfettamente.

 

Io non ho mandato quei profeti; ma essi sono corsi; non ho parlato loro ma essi hanno profetizzato. Ma se avessero assistito al mio consiglio, allora avrebbero fatto udire le mie parole al mio popolo, e cosí li avrebbero fatti allontanare dalla loro cattiva via e dalla malvagità delle loro azioni. Son io soltanto un DIO da vicino, dice l’Eterno, e non anche un DIO da lontano? Potrebbe uno nascondersi nei nascondigli senza che io lo veda?, dice l’Eterno. Non riempio io il cielo e la terra?, dice l’Eterno.

 

Ho udito ciò che dicono i profeti che profetizzano menzogne nel mio nome, dicendo: ,Ho avuto un sogno, ho avuto un sogno!’. Fino a quando durerà questo nel cuore di questi profeti che profetizzano menzogne e profetizzano l’inganno del loro cuore? Essi pensano di far dimenticare il mio nome al mio popolo con i loro sogni che si raccontano l’un l’altro, come i loro padri dimenticarono il mio nome per Baal. Il profeta che ha avuto un sogno racconti il sogno, ma chi ha la mia parola riferisca la mia parola fedelmente. Che ha da fare la paglia col frumento?, dice l’Eterno. La mia parola non è come il fuoco?, dice l’Eterno, e come un martello che spezza il sasso?» (Geremia 23: 16 a 29)

 

L’uomo che doveva trasmettere un messaggio del genere certamente non avrebbe avuto la vita facile. In più si trattava di un giovane sensibile al quale era stato affidato un compito difficilissimo. All’inizio era restio nell’accettare questo compito pesante ed è vero che diverse volte nel compierlo quasi gli si spezzò il cuore. Nel corso del suo ministero attirò l’odio e il rifiuto di molti mettendo addirittura in pericolo la propria vita. La sua professione gli portò la solitudine e la sofferenza. Credo che nessuno risponderebbe ad un’offerta di lavoro con una tale descrizione!

 

La persona di cui abbiamo parlato si chiamava Geremia ed il suo datore di lavoro era Dio. La sua professione era quella del profeta in Giudea alla fine del settimo secolo avanti Cristo.

 

I profeti dell’antico Israele avevano il compito di proclamare la Parola di Dio al popolo e così pure Geremia. Quando Dio lo chiamò, gli toccò la bocca e disse: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca…»

 

Quest’autorizzazione è importantissima per Geremia perché il contenuto dei suoi messaggi era tutt’altro che piacevole per gli ascoltatori.

 

Gli abitanti della Giudea avevano abbandonato il loro Dio e si erano rivolti agli idoli. Per questa ragione Dio avrebbe mandato forze nemiche anche contro Gerusalemme affinché l’assediassero, come l’aveva già compiuto nei confronti del regno israelita del Nord che ormai da cent’anni era territorio conquistato e soggiogato.

 

Era dunque il compito di Geremia annunciare il giudizio divino imminente, è ciò esigeva tutte le sue forze. Visto che non tentava in alcun modo di mitigare la Parola di Dio, subì il disprezzo dei rei, ministri, sacerdoti e dei suoi colleghi profeti. Con gran sacrificio e fedeltà adempì la sua missione nonostante gli costasse molto accettare la volontà di Dio per la sua vita.

 

Il popolo tuttavia non lo ascoltò e si rifiutò di accettare Geremia quale portavoce di Dio. Il suo messaggio sembrava troppo duro ed era quindi inaccettabile per loro. La questione però è: a chi dava ascolto il popolo di Dio?

 

Gli israeliti avevano in fondo soltanto due possibilità: o ascoltavano i veri profeti o quelli falsi, vale a dire coloro che si erano autodichiarati tali.

 

Purtroppo Geremia dovette affrontare la delusione che la sua “chiesa” continuasse a svuotarsi. Non c’era più nessuno che si voleva ascoltare le prediche sul giudizio perché si preferiva prestare orecchio ai predicatori che portavano messaggi gradevoli.

 

Dio a Sua volta non si rassegnò, ma incaricò Geremia di mettere in guardia il popolo nei riguardi ai profeti falsi. Ricordiamo i primi due versi (16 a 17) del passo biblico che stiamo considerando: «Cosí dice l’Eterno degli eserciti: “Non ascoltate le parole dei profeti che vi profetizzano. Essi vi fanno diventare spregevoli; vi espongono le visioni del loro cuore e non ciò che procede dalla bocca dell’Eterno. Dicono del continuo a quelli che mi disprezzano: ,L’Eterno ha detto: Avrete pace’ e a tutti quelli che camminano nella caparbietà del proprio cuore: ,Nessun male verrà su di voi’.»

 

Qual è la radice del problema riguardo ai falsi profeti?

 

Cos’è «falso» nei profeti falsi? Forse assomigliavano ai veri profeti perché certamente utilizzavano lo stesso linguaggio religioso, per esempio, «così dice il Signore» o «Shalom» (vedi Geremia 23: 17).

 

Parlavano un linguaggio religioso, ma non la Parola di Dio.

 

Erano spigliati nell’affermare che avevano ricevuto «una Parola di Dio», come abbiamo già constatato, utilizzando l’espressione «così dice il Signore» con sfacciata disinvoltura.

 

In più, si vantavano dei propri sogni che secondo loro erano colmi di significati importanti raccontandoli a tutti e pretendendo che Dio avesse parlato per mezzo loro.

 

Dio nondimeno li vide in tutt’altra luce e dichiarò che essi ingannavano il popolo con i loro discorsi vani. Seppure il messaggio sembrasse spirituale, non proveniva da Dio, ma nasceva dal cuore del falso profeta.

 

Predicavano ciò che corrispondeva ai loro desideri.

 

Peggio ancora: proclamavano ciò che il popolo voleva sentire (vedi Michea 2: 11 e 3: 9 a 11).

 

Assicuravano agli israeliti che avevano girato le spalle a Dio che il «Shalom», in altre parole la pace universale di Dio, fosse con loro (vedi Geremia 6: 14 e 23: 17 e 27: 9) e che dunque nessuna disgrazia avrebbe colpito chi aveva ormai un cuore insensibile per la voce divina.

 

Predicavano quindi il contrario di ciò che Geremia aveva annunciato. Parlavano della pace, quando non c’era pace. Cullavano il popolo nella falsa speranza che nulla di grave sarebbe capitato.

 

Palesemente il loro messaggio era privo dell’autorità divina perché questi «profeti» non intrattenevano alcun rapporto con Dio.

 

Non c’era alcun rapporto con Dio.

 

Dio stesso dichiarò che i falsi profeti non facevano parte «del consiglio del Signore», che non avevano affatto ubbidito alla Sua parola, che non avevano ricevuto la Sua chiamata e dunque non conoscevano la Sua voce. Del resto gli israeliti potevano giudicare loro stessi se il messaggio profetico era vero o falso. La prova del vero profeta consisteva nel fatto che i suoi messaggi combaciavano con quelli degli altri veri profeti ed in particolare con la legge di Mosé (vedi Deuteronomio 18:22: «Quando il profeta parla in nome dell’Eterno e la cosa non succede… » Quest’ultima espressione può essere tradotta anche «la cosa non è» rispettivamente «non esiste». Ciò significa che non è valida in confronto ai messaggi dei veri profeti!) I falsi profeti ovviamente non si attenevano a questi criteri, altrimenti avrebbero predicato al popolo affinché si rendesse conto del suo stato immorale per pentirsi e convertirsi.

 

Come se non bastasse che propagavano dottrine false, vivevano nel peccato e lo approvavano nella vita degli altri.

 

Vivevano nel peccato e lo approvavano.

 

Il verso 11, nonché i versi 13 a 14, ne sono la conferma. I falsi profeti erano adulteri ed impostori, e ciò senza sentirsi colpevoli, anzi incoraggiavano altri nella loro iniquità (vedi Isaia 28: 7 e segg.; Michea 3: 5; Geremia 29: 21 a 23).

 

Tutto ciò, insieme ai messaggi falsi ed il loro brutto esempio, doveva per forza contribuire alla decadenza del popolo che fece cadere nell’oblio «il nome del Signore» (verso 27 e vedi Deuteronomio 13: 1 a 4).

 

Fecero dimenticare Dio.

 

Non si riconosceva più la necessità di pentirsi e di ritornare a Dio (verso 14). Non c’è da meravigliarsi, dopotutto non sentivano altro che: «Il tuo modo di vivere va benissimo!»

 

Il punto di vista divino invece è molto diverso, come possiamo dedurre dal nostro passo. Non più per molto osserverà il comportamento dei falsi profeti che seducono il popolo e lo mandano in rovina. Li giudicherà (versi 19 e 20). È da notare che non c’erano falsi profeti soltanto nell’Antico Testamento. Anche nel Nuovo Testamento scopriamo molti passi nelle epistole dove gli autori mettono in guardia contro i «falsi dottori». Il soggetto lo trattano in termini simili a quelli utilizzati nell’Antico Testamento. In Colossesi 2: 23 c’è scritto che i falsi dottori hanno la «sembianza di sapienza» perché danno l’impressione di essere religiosi e umili. Anche loro pretendono di essere spirituali, ma sono lupi travestiti da pecore che propagano concetti falsi e disprezzano Dio vivendo nel peccato e trascinando altri con loro.

 

Non ascoltare menzogne gradevoli!

 

Così come il popolo d’Israele si fece ingannare dalle menzogne dei falsi profeti, anche noi cristiani del 21° secolo dobbiamo affrontare menzogne gradevoli che possono ingannarci.

 

Forse una delle bugie alle quali gli abitanti della Giudea avevano dato ascolto era:

 

* Non è poi così grave, se pecco!

 

Sono quasi certo che nessuno tra noi desideroso di seguire Gesù con tutto il cuore direbbe una cosa del genere. Ma in realtà come ci comportiamo? Non pensiamo ogni tanto:

 

«Visto che Gesù si è addossato il giudizio di Dio per la nostra colpa, non è poi così grave se pecchiamo!» Questa menzogna è particolarmente pericolosa perché contiene un granello di verità. È vero che noi, quali figli di Dio, non saremo più condannati eternamente a causa dei nostri peccati. Il castigo che ci eravamo meritato è ricaduto su Gesù. Per questa ragione si potrebbe in un certo senso veramente dire: «Non è poi così grave…!»

 

In questo modo tuttavia la grazia di Dio è disprezzata e considerata di poco valore. È vero che senz’altro possiamo accettare il dono del perdono e che dobbiamo accettarlo sempre di nuovo. Ciò però dovrebbe spingerci a vivere una vita coerente da seguaci di Gesù per gratitudine ed evitando il peccato. Simile alla nazione d’Israele d’allora dovremmo rappresentare quale popolo di Dio la Sua santità in terra. Certo che è in gioco qualcosa di molto importante, perché non possiamo aspettarci che Dio compia cose grandiose per mezzo nostro, se ci lasciamo ingannare da questa menzogna – ammettendo che si tratti di una falsità seducente.

 

Un’altro inganno piacevole è:

 

* Dio esaudisce tutti i miei desideri.

 

Un predicatore disse una volta: «Spesso ci serviamo di Gesù come se fosse un farmacista che adempie tutte le nostre esigenze sia quelle pie sia quelle meno pie. Se ho un dolorino vado da Gesù che mi guarisce».

 

Questa citazione descrive precisamente l’atteggiamento dei profeti falsi e del popolo d’Israele. I profeti profetizzarono ciò che serbavano nei propri cuori e adattarono il messaggio a piacimento dei loro ascoltatori (vedi Geremia 14: 14).

 

Penso che si tratti di una menzogna molto gradita che ci piace credere. Siamo convinti di sapere cosa è necessario per la nostra felicità servendoci di Dio per i nostri fini e riducendolo così al ruolo d’aiutante.

 

Anzi, è sorprendente ma vero che Dio desidera darti «i desideri del tuo cuore» (Salmo 37: 4). A condizione però che tu «prendi il tuo diletto nell’Eterno», che tu ci tieni a diventare sempre più simile a Gesù. Se ciò si verifica con l’andare del tempo nella tua vita, allora i tuoi desideri personali si conformeranno sempre di più alla volontà di Dio.

 

Penso che esiste una terza menzogna:

 

* Non ho bisogno della Bibbia, Dio mi parla direttamente!

 

Geremia descrive al versetto 25 come i profeti erano occupatissimi a celebrare i loro sogni più recenti esultando: «Ho sognato, ho sognato!»

 

I profeti falsi non si erano curati di condurre una vita integra nel cospetto di Dio e di cercare diligentemente la Sua volontà. Giacché Dio si rifiutò di rivelarsi a loro, interpretarono ogni sogno ed ogni desiderio del loro cuore come volontà di Dio.

 

Credo che anche noi siamo tentati a comportarci nello stesso modo.

 

Non fraintendetemi: Dio, se vuole, parla ancora nei nostri tempi direttamente alle persone, per mezzo di un sogno, di una voce, di una catastrofe, di un consiglio amichevole o altro. Dio si rivela ancor’oggi in «modo straordinario» perché ne ha tutta la libertà.

 

Ma questa voce sottile di Dio, o come la vogliamo chiamare, non ci risparmierà mai lo studio intenso della Parola, vale dire la Bibbia.

 

Naturalmente fa comodo se Dio ci parlasse in modo inequivocabile indicandoci cosa desidera che facciamo in certe situazioni.

 

Tuttavia, Dio ha rivelato così tanto a riguardo della Sua persona, del Suo carattere e della Sua volontà che non ci mancano le conoscenze necessarie. Per questa ragione dovremmo dedicare tutta la nostra vita alla lettura per diventare «investigatori della Bibbia». Ciò significa, leggere con attenzione cosa dice la Parola di Dio e chiedersi cosa significa. Se c’impegniamo con sincerità e devozione, Dio non mancherà di rivelarsi a noi, di plasmare il nostro carattere e di trasformarci!

 

In quel momento comincerà l’avventura, la sfida di mettere in pratica la nostra conoscenza di Dio. È il suo desiderio che maturiamo e che ci sviluppiamo come persone responsabili che fanno le loro scelte in modo naturale e le mettono in atto perché sanno cosa Dio dice nella Sua Parola.

 

Per questa ragione non ci fermiamo all’ammonimento «Non ascoltare le menzogne gradevoli», ma prendiamo sul serio l’incarico espresso nella seguente esortazione chiara:

 

Ascolta la Parola potente di Dio!

 

Invece di ascoltare menzogne, dovremmo concentrarci sulla Parola di Dio! Non sono i propri desideri e concetti su Dio che contano, ma ciò che Egli stesso dice di Sé!

 

I versetti 28 a 29 in Geremia 23 c’insegnano che niente può concorrere alla Parola di Dio. Ogni altra cosa sbiadisce ed è senza forza nei confronti della Sua potenza. La descrizione della Parola di Dio in verso 29 è impressionante.

 

La Parola di Dio non è sempre dolce e gentile, ma può essere dura come un martello. Geremia ne ha sentito le ripercussioni sul proprio corpo. La Parola di Dio ha messo sottosopra la sua vita intera così che ne sono scaturite diverse difficoltà.

 

Viveva, però nella presenza di Dio, teneva l’orecchio vicino alla bocca del Signore ed era poi anche disposto di compiere la volontà divina – malgrado avrebbe desiderato una via più facile.

 

Sono certo che Geremia alla fine della sua vita gioiva nella certezza di aver svolto quello per cui Dio lo aveva chiamato. In fin dei conti, importa solo quello.

 

Lo auguro a ciascuno di noi che impariamo ad essere attenti a chi diamo ascolto, affinché non ci lasciamo ingannare da menzogne gradevoli, ma ascoltiamo la Parola potente di Dio.

 

Ciò trasformerà la nostra vita perché Dio farà di noi persone che vivono secondo la Sua volontà.

 

N. Fastenrath

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MEDITAZIONE : LETTERA DI PAOLO AI GALATI CAP 5….

 

 

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PRIMA LETTERA DI GIOVANNI

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IL VERO ATTEGGIAMENTO NELLA PREGHIERA .

LUCA 18
Veniamo al capitolo 18 dove abbiamo due altre bellissime parabole, entrambi sulla preghiera.
Dopo le parabole Gesù benedice i piccoli bambini, confronta il giovane ricco con 5 dei 10
comandamenti, annuncia ancora la Sua imminente morte, guarisce un cieco all’entrata di Gerico.
Prima di iniziare questo capitolo, voglio dire una parola sul Signore Gesù. Io credo che Egli fosse
Dio manifestato in carne. Io credo anche che Egli non fosse meno di Dio perché era uomo e
viceversa cioè meno uomo perché era Dio. Egli era un uomo perfetto; un vero uomo.
Francamente, se tu fossi stato lì in quei tempi, ti sarebbe piaciuta la sua compagnia. Sarebbe stato un
vero privilegio essere in Sua compagnia e sentirlo ridere. Non mi piace nessuna immagine dipinta
che vedo di lui; gli artisti non lo dipingono mai mentre Egli ride, e io penso che Egli abbia riso molte
volte. Gesù era talmente umano! Nella Sua presenza tu avresti avuto il periodo migliore della tua
vita. Conoscete delle persone, io ne sono sicuro, alle quali state insieme volentieri.
Io conosco vari predicatori in compagnia dei quali gioisco in modo particolare.
Loro accendono il mio spirito e le mie forze mentali, e anche raccontano le barzellette più buffe che
io abbia mai sentito. Io penso che Gesù era bravo in questo.
Arriviamo a un fatto che penso abbia fatto sorridere tante persone.
Propose loro ancora questa parabola per mostrare che dovevano pregare sempre e non stancarsi:
Luca 18:1
Egli concludeva il cap. 17 con un discorso sugli ultimi giorni e il fatto che Egli sarebbe tornato di
nuovo. Lui paragonava gli ultimi giorni con i giorni di Noè, che sarebbero stati giorni difficili –
giorni che non avrebbero condotto alla fede. Ora Lui parla loro di una vita di fede in giorni che sono
privi di fede. E’ questa la ragione perché è così pertinente per i nostri tempi. Stiamo vivendo giorni,
come Egli ha indicato, in cui i cuori degli uomini vengono meno dalla paura.
Ciò che abbiamo in questa prima parabola è un paragrafo pertinente alla preghiera in questa ora
presente. Nota che Egli dice che aveva dato una parabola per questo scopo; cioè perché gli uomini
pregassero sempre, invece di perdersi d’animo.
Egli apre due alternative a ogni persona che vive giorni difficili. Tu ed io dobbiamo fare una di
queste due cose. Devi decidere quale fare. Le persone, nei giorni difficili, o si perdono d’animo o
pregano; ci sono o giorni di paura o giorni di fede.
Durante la 2a Guerra Mondiale, quando i bombardamenti erano molto intensi sulla città di Londra,
apparve un cartello davanti a una delle chiese di Londra dove c’era scritto: “Se le tue ginocchia
tremano, inginocchiati su di esse”. Questo è praticamente ciò che Gesù ha detto: ”Le persone
dovrebbero sempre pregare, e non perdersi d’animo.” E’ lo stesso pensiero che Paolo esprime in
modo un po’ diverso in 1°Tessalonicesi 5:17 :”Non smettete di pregare”.
Questo non vuol dire che devi andare a un incontro di preghiera che dura tutto il giorno o tutta la
notte. La preghiera è un modo di vivere. E’ più un atteggiamento della vita che una azione delle
labbra. Ricorda che Paolo dice ai Romani 8:26 “… lo Spirito intercede egli stesso per noi con
sospiri ineffabili” Cioè, non possiamo tradurlo in parole. E molte volte noi non abbiamo le parole
giuste per pregare, ma non di meno stiamo pregando. Ed è l’intera vita che sta dietro le parole che
vengono dette che fanno efficace una preghiera.
C’era un predicatore famoso, tanti anni fa negli Stati Uniti, che aveva tante espressioni fuori del
comune. Una di queste era: “Se uno prega per il raccolto del granoturco, Dio si aspetta che dica
Amen con una zappa.” Non puoi semplicemente restare sulle tue ginocchia tutto il tempo e pregare
per il raccolto. Questo è una pia stupidaggine. Ma pregare per il raccolto, poi andare al lavoro, è ciò
che il nostro Signore sta dicendo di fare nei giorni in cui uno si sta perdendo d’animo. “Si dovrebbe
sempre pregare, e non perdersi d’animo.”
2
Passiamo alla parabola del giudice ingiusto
Quando Egli raccontava questa storia del giudice ingiusto e della vedova, probabilmente parlava di
qualcosa di ben conosciuto agli ascoltatori di quei tempi.
Loro sapevano esattamente di cosa Egli parlasse. La storia è così:
“In una certa città vi era un giudice, che non temeva Dio e non aveva rispetto per nessuno; e in
quella città vi era una vedova, la quale andava da lui e diceva: “Rendimi giustizia sul mio
avversario”.
Luca 18:2-3
Ora, in quella città c’era un giudice che era senza Dio. Era un politico senza scrupoli, intrigante,
freddo e calcolatore. Tutto ciò che faceva, lo faceva per sè stesso, come vedremo. Da tutto ciò che
faceva doveva trarre il proprio vantaggio, e soddisfare le sue ambizioni. Non temeva Dio. Non c’era
posto per Dio nei pensieri di quest’uomo. E siccome non temeva Dio, se ne fregava degli uomini.
Non aveva rispetto neanche per questa vedova, proprio per niente.
La vedova era stata buttata fuori dalla sua casa. Il riscatto le sarebbe stato precluso, e lei veniva
trattata ingiustamente. Andò da questo giudice famoso, prese posto nel suo ufficio, e chiese alla
segretaria di poter parlare col giudice. La segretaria le disse: ‘Lui è molto indaffarato. Se vuole dire a
me il motivo della sua lamentela…’
Così la vedova le racconta: “Sono una povera vedova. Vivo qui, in periferia della città, e sto per
perdere questa casa. Non è giusto, voglio fare appello al giudice.” La segretaria va nell’ufficio del
giudice e dice : ‘C’è una vedova li fuori…’ ”Va bene, mi sbarazzo di lei in tre secondi. Io sono un
politico, so come trattarla. Falla venire dentro.” Lei entra. Lui l’ascolta per tre minuti. Poi lui dice:
“Mi dispiace, ma questo è fuori dai miei compiti. Vorrei tanto poter fare qualcosa per te, ma non
posso farci niente. Buon giorno.” Il giorno seguente quando lui entra in ufficio, c’è ancora la vedova.
Lui va di fretta nel suo ufficio, chiama la segretaria e le chiede: Cosa fa la vedova di nuovo qui? “Lei
dice che vuole vederti.” “Va a dirle che ho da fare fino a pranzo.” “Questo gliel’ho già detto. Ma lei
si è portata dietro il pranzo al sacco. Dice che rimane finche è necessario.”
La vedova sta li tutto il giorno senza nemmeno vedere il giudice. Lui pensa di essersi liberato di lei,
ma la mattina seguente quando arriva, lei è ancora lì! Fa questo per parecchi giorni, e finalmente lui
dice: “Devo fare qualcosa per questo. Così non può andare avanti.”
Notiamo ora cosa pensa tra sé il giudice leggendo i versetti 4 e 5:
Egli per qualche tempo non volle farlo; ma poi disse fra sé: “Benché io non tema Dio e non abbia
rispetto per nessuno, pure, poiché questa vedova continua a importunarmi, le renderò giustizia,
perché, venendo a insistere, non finisca per rompermi la testa”.
Luca 18:4-5
Vedi, lui pensa ancora a se stesso. Anche se non ci viene detto che la vedova lo avesse minacciato!
Ma il semplice fatto che la vedova stesse seduta nell’ufficio del giudice ogni giorno non andava
bene. Lui era entrato in ufficio, dicendo: “Sto pensando alla povera gente.” ma non lo faceva – stava
pensando solo a se stesso. “Prima che lei mi rompa la testa la ricevo”. Alla sua segretaria dice: “Falla
accomodare. Questa volta dice alla vedova: “Ti darò protezione legale”.
E’ questa la parabola.
Il Signore disse: “Ascoltate quel che dice il giudice ingiusto. Dio non renderà dunque giustizia ai
suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti?
Luca 18:6,7
Ho sentito molti insegnanti della Bibbia dire che questa parabola insegna il valore della preghiera
insistente. Anche se non mi piace contraddire le persone che forse ne sanno più di me, questo non è
così. Questa non è una parabola sull’insistenza della preghiera – come se Dio ti sentisse solo se
insisti abbastanza a lungo. Questa è una parabola di contrasto, non di paragone.
Le parabole erano racconti fatti dal Signore per illustrare delle verità. La parola ‘parabola’ viene da
due parole greche. PARA significa ‘accanto’ e BALLO è un verbo che significa ‘buttare’. Una
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parabola significa qualcosa che viene buttato accanto a qualcos’altro per dirci qualcosa al riguardo.
Per esempio, un metro posto accanto a un tavolo è una parabola per il tavolo – dice quanto è alto il
tavolo. Una parabola è una storia raccontata dal Signore per illustrare delle verità divine. Ci sono due
modi in cui Egli può farlo. Uno è quello del paragone. Ma l’altro è quello del contrasto.
Gesù sta dicendo ‘Quando vieni a Dio in preghiera, tu pensi che Dio sia un giudice ingiusto? Quando
vieni a Lui in preghiera, tu pensi che Egli sia un politico di poco valore? Tu pensi che Dio faccia
qualcosa solamente per motivi politici?’ Amico mio, se tu pensi questo, stai sbagliando. Dio non è un giudice ingiusto.
Se questo giudice ingiusto ha ascoltato una povera vedova perché lei continuava ad andare da lui,
allora perché tu ti scoraggi ad andare a Dio che non è un giudice ingiusto, ma che davvero VUOLE
ascoltare ed esaudire le nostre preghiere? Perché i credenti oggi sono così scoraggiato nella loro vita
di preghiera? Non sai, amico mio, che Egli non è un giudice ingiusto? Non devi attaccarti al suo
mantello e supplicarlo.
Dio VUOLE agire nei tuoi confronti! Se solo avessimo questo atteggiamento, questo cambierebbe la
nostra vita di preghiera – verremmo alla Sua presenza consapevoli che Egli vuole ascoltarci.
Noi agiamo come se Lui fosse un giudice ingiusto, e che dobbiamo insistere perché altrimenti non ci
ascolta per niente. Amico mio, Dio non è un giudice ingiusto.
Parabola del Fariseo e del pubblicano
Ora Gesù da un altra parabola sulla preghiera.
Disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli
altri: “Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l’altro pubblicano.
Luca 18:9-10
Questa è una parabola che ci è familiare. Oh, con quale satira tagliente e ironica Gesù la dava!
Ma Egli non lo fa per ferirli; Egli lo fa per aiutarli. Egli dice che due uomini andavano al tempio per
pregare – un Fariseo e un pubblicano. Non ci sono due più diversi l’uno dall’altro di questi.
Il Fariseo era all’apice delle guide spirituali. Il pubblicano era in fondo. Non c’erano pubblicani e
peccatori, ma peccatori e in fondo i pubblicani. Ed il Fariseo stava su in altro, considerato più gradito
a Dio. Lui va nel tempio per pregare, lui ha accesso al tempio, lui porta il sacrificio.
Mentre stava pregando, il suo sacerdote stava nel Luogo Santo, mettendo incenso sull’altare. Questo
Fariseo ce l’aveva fatta.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: “O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli
altri uomini, … Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo”.
Luca 18:11-12
Non è un modo terribile per iniziare una preghiera? Ed è il modo in cui lo fanno tanti di noi.
Tu dici: “Io non faccio quello.” Si, che lo fai. Io sento preghiere come questa. Oh, non diciamo
esattamente così. Siamo fondamentalisti – abbiamo imparato a dirlo meglio ancora.
Abbiamo la nostra maniera per esprimerlo. ‘Signore, io ti ringrazio che posso darti il mio tempo ed il
mio servizio.’ Quante volte lo sento! Che complimento per il nostro Signore!
Amico, non arriviamo da nessuna parte con la nostra preghiera, se preghiamo così. Dio non ha
bisogno del nostro servizio.
Il Fariseo dice: “O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini”; poi inizia a elencare ciò
che lui non è. “io non sono un ladro” – evidentemente ce n’era uno in giro. “io non sono ingiusto”.
“Io non sono un adultero” E poi vide quel pubblicano e disse ‘E, credimi Signore, non mi va quel
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pubblicano. “Io non sono peccatore come quello lì.” Poi comincia a raccontare al Signore ciò che ha
fatto lui: davvero un ragazzo meraviglioso!
Gesù dice che “lui pregava dentro di se”. In altre parole, stava facendo un soliloquio.
E così questo Fariseo sta parlando tra se e se – lui pensa di parlare a Dio, ma la sua preghiera non è
mai andato oltre il soffitto. Tutto ciò che faceva era parlarsi; si diede una pacca sulla spalla, ed uscì
fiero come un pavone. Dio non ha potuto compiacersi di quella preghiera.
Il pubblicano – oh, lui era un furfante. Lui era un peccatore; era giù in basso, in basso. Lui aveva
tradito la sua nazione, diventando un esattore di tasse per conto dei Romani. Rinnegando la sua
nazione, come Giudeo aveva anche rinnegato la sua religione.
Lui ha girato le spalle a Dio e preso una via a senso unico, per non tornare mai più a Dio.
Perché ha fatto questo? Gli rendeva bene. Lui diceva: “Ci sono dei soldi su questa strada.” Diventava
ricco come pubblicano. Ma questo non riusciva a soddisfare il suo cuore.
Leggi la storia di Levi; o leggi la storia di Zaccheo in Luca 19 – il cuore dei pubblicani era vuoto.
Questo povero pubblicano nella sua miseria e disperazione, sapendo di non avere diritti per entrare
alla presenza di Dio, gridava a Lui.
Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva
il petto, dicendo: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!”
Luca 18:13
“Dio, abbi pietà di me, peccatore!” non è un’espressione adeguata. Te la do nel linguaggio che lui ha
usato. Lui non ha alzato gli occhi verso il cielo, ma si sarebbe battuto il petto dicendo: “O Dio, io
sono un povero pubblicano. Non merito l’accesso alla tua grazia. Oh, se tu solo potessi fare una
grazia per me! Voglio venire a Te.”
Gesù dice, che quell’uomo venne esaudito. Sai, perché venne ascoltato? Perché Gesù Cristo stesso
stava andando alla croce a provvedere grazia per gente come lui.
Giovanni scrive di Gesù in 1°Giovanni 2:2: “Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati, e
non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.”
Sacrificio propiziatorio significa posto in cui trovare grazia. Cristo è un luogo di grazia per i nostri
peccati, e non solo per i nostri, ma per i peccati di tutto il mondo.
La preghiera del pubblicano è stata esaudita. Infatti, oggi non devi chiedere a Dio di essere
misericordioso. Lui lo è già. Tante persone dicono: “Dobbiamo supplicarlo di essere
misericordioso.” Amico mio, cosa vuoi che Egli faccia? Egli diede il Suo Figlio a morire per te. Egli
dice al peccatore più grande che conosci: “Tu puoi venire. C’è un posto di grazia per te.” Anch’io ho
dovuto venire a quel posto di grazia. E se tu sei un figlio di Dio, anche tu sei venuto a quel posto di
grazia dove Egli morì per i tuoi ed i miei peccati sulla croce.
La penale è stata pagata. Il Dio santo è capace di tenere aperte le Sue braccia.
Non devi supplicarlo; non devi prometterGli niente perché Egli sa le tue debolezze; non devi far
parte di niente; non devi neanche essere nessuno. Tu puoi essere come un povero pubblicano.
Tu puoi venire e fidarti di Lui, ed Egli ti salva. Dio è misericordioso.
Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s’innalza
sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato”.
Luca 18:14
Gesù benedice i piccoli bambini.
I piccoli bambini amano stare con il Signore Gesù
Portavano a Gesù anche i bambini, perché li toccasse; ma i discepoli, vedendo, li sgridavano.
Allora Gesù li chiamò a sé e disse: “Lasciate che i bambini vengano a me, e non glielo vietate,
perché il regno di Dio è per chi assomiglia a loro. In verità vi dico: chiunque non accoglierà il
regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto”.
Luca 18:15-17
Anche i discepoli dissero “Non portategli i piccoli bambini. Non disturbatelo”.
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L’impressione era che i bambini non fossero molto importanti. Il Signore Gesù aveva un sentimento
diverso riguardo ai bambini. Non erano un disturbo per lui. I bambini vanno normalmente in modo
naturale dal Signore. Egli non voleva che gli adulti li tenessero lontano da Lui. Dio abbia pietà di
ogni adulto che tiene lontano da Dio un bambino. Riguardo questo soggetto Luca ha già detto nel
cap.17:2: Sarebbe meglio per lui che una macina da mulino gli fosse messa al collo e fosse gettato
nel mare, piuttosto che scandalizzare uno solo di questi piccoli. Vedi, i piccoli ti seguiranno. Si
fidano completamente di te. Loro faranno qualsiasi cosa tu vuoi da loro. Dio abbia pietà di te se non
li porti a Dio! I bambini vengono a Lui in modo naturale. Qualcuno forse dice: “Ma i bambini hanno
una natura peccatrice”. Si, E’ vero. Ma il piccolo non ha ancora raggiunto l’età della responsabilità;
l’unica decisione che può prendere è quella che gli viene suggerita. Questa è la natura di un piccolo
bambino. Certo, il piccolo crescerà e svilupperà una propria volontà. Ed è lì che iniziano le
difficoltà! Ma mentre è ancora malleabile, assicurati che venga a Cristo.
Gesù mette il giovane ricco di fronte a 5 dei 10 comandamenti
Il racconto del giovane ricco viene riportato anche in Matteo 9:16-30 ed in Marco 10:17-31.
E’ una storia meravigliosa. Qui Gesù fa un inchiesta sulla condotta del giovane ricco.
Uno dei capi lo interrogò, dicendo: “Maestro buono, che devo fare per ereditare la vita eterna?”
Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio.
Luca 18:18-19
Il Signore Gesù Cristo guida questo giovane a vedere che se Gesù è buono, lo è perché Egli è Dio.
Questa è la ragione per cui Gesù gli chiede di seguirlo. Lo avrebbe portato ad accettare Gesù come
avevano fatto i discepoli – “il Cristo, il Figlio del Dio vivente.”
Tu conosci i comandamenti: non commettere adulterio; non uccidere; non rubare; non dir falsa
testimonianza; onora tuo padre e tua madre”. Ed egli rispose: “Tutte queste cose io le ho osservate
fin dalla mia gioventù”. Gesù, udito questo, gli disse: “Una cosa ti manca ancora: vendi tutto
quello che hai, e distribuiscilo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”.
Luca 18:20-22
Gesù proietta sul giovane la seconda sezione dei 10 comandamenti che sono etichettati ‘proibito’.
Questa sezione ha a che fare con la relazione dell’uomo con l’uomo.
La prima sezione ha a che fare con la relazione dell’uomo con Dio ed è etichettata ‘pietà’.
Questo giovane poteva osservare la seconda sezione, ma non la prima. Lui aveva bisogno di una
relazione con Dio, che evidentemente gli mancava.
Le ricchezze erano la pietra d’inciampo per lui;. per un altro può essere qualcos’altro.
E’ impossibile per qualsiasi persona entrare nel Regno del Cielo attraverso le ricchezze o qualsiasi
altro mezzo umano. Solo Dio poteva far passare un cammello attraverso la cruna di un ago, e solo
Dio può rigenerare una persona.
Ma egli, udite queste cose, ne fu afflitto, perché era molto ricco. Gesù, vedendolo così triste, disse:
“Quanto è difficile, per quelli che hanno delle ricchezze, entrare nel regno di Dio! Perché è più
facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di
Dio”. Quelli che udirono dissero: “Chi dunque può essere salvato?” Egli rispose: “Le cose
impossibili agli uomini sono possibili a Dio”.
Pietro disse: “Ecco, noi abbiamo lasciato le nostre cose e ti abbiamo seguito”. Ed egli disse loro:
“Vi dico in verità che non c’è nessuno che abbia lasciato casa, o moglie, o fratelli, o genitori, o figli
per amor del regno di Dio, il quale non ne riceva molte volte tanto in questo tempo, e nell’età futura
la vita eterna”.
Luca 18:23-30
Nonostante le mancanze nella vita del giovane, viene detto che Gesù lo amava comunque.
Le ricchezze separano questo giovane da Gesù. Se avesse seguito Gesù, sarebbe andato alla croce per
la redenzione, perché in quel tempo Gesù era molto vicino alla croce. Chi era questo giovane? Io non
so chi fosse. Forse tu oggi sei come lui. Io non lo so.
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Avrà seguito il Signore più tardi? Speriamo. Vuoi seguire il Signore? Egli ti ama.
Gesù guarisce il cieco all’ingresso di Gerico
Prima di guardare a quest’episodio, dovrei dire che dei critici della Bibbia trovano in questo una
contraddizione perché Matteo parla di due ciechi, mentre Marco e Luca ne menzionano soltanto uno.
Comunque, se tu leggi con attenzione questo passo, vedrai che Matteo e Marco ovviamente si
riferiscono a una guarigione avvenuta mentre Gesù esce da Gerico. Bartimeo, il più attivo dei due,
colui che gridava: “Gesù, figlio di Davide”, viene specificatamente menzionato da Marco.
La guarigione descritta da Luca avviene prima che Gesù entrasse in Gerico. Anche quest’uomo usa
la forma familiare “Figlio di Davide”.
Com’egli si avvicinava a Gerico, un cieco che sedeva presso la strada, mendicando, udì la folla che
passava, e domandò che cosa fosse. Gli fecero sapere che passava Gesù il Nazareno.
Luca 18:35-37
Chiamando Gesù “Figlio di Davide”, lui riconosce la Sua Regalità.
Lui sapeva che Gesù era in grado di guarirlo e così era impossibile farlo stare zitto.
Lui sapeva ciò che voleva, e aveva una gran fede in Gesù. Il modo in cui Gesù tratta con quest’uomo
è dolce e entusiasmante.
Allora egli gridò: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!” E quelli che precedevano, lo
sgridavano perché tacesse; ma lui gridava più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” Gesù,
fermatosi, comandò che il cieco fosse condotto a lui; e, quando gli fu vicino, gli domandò: “Che
vuoi che io ti faccia?” Egli disse: “Signore, che io ricuperi la vista”. E Gesù gli disse: “Ricupera la
vista; la tua fede ti ha salvato”. Nello stesso momento ricuperò la vista, e lo seguiva glorificando
Dio; e tutto il popolo, visto ciò, diede lode a Dio.
Luca 18:38-43
Una volta guarito, lui segue Gesù con gli occhi aperti. Cosa vedrà tra pochi giorni? Lui vedrà Gesù
morire sulla croce.
Moltissime persone con una vista perfetta non hanno ancora visto la morte di Gesù sulla croce in
relazione alle loro vite e il perdono dei loro peccati. Se tu non lo hai ancora fatto – guarda e vivi!

 

crc . Vietata la riproduzione
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ROMANI CAP.1

ROMANI capitolo 1
Introduzione
Ritengo utile, prima di iniziare l’analisi del testo e dei contenuti della lettera di Paolo ai Romani,
dare una visione d’insieme alle Epistole del Nuovo Testamento ed in particolare a quelle scritte
dall’Apostolo Paolo.
Iniziamo col dire che l’importanza delle Epistole di Paolo nel Nuovo Testamento non può essere mai
abbastanza sottolineata.
Questi suoi scritti rappresentano infatti un metodo di rivelazione diverso da quelli precedenti.
Fino a quel momento Dio aveva comunicato con l’uomo in vari modi: attraverso il Pentateuco, cioè
la Legge data a Mosè; attraverso la storia; attraverso la Poesia e la Profezia; e attraverso i Vangeli…
Ora ci troviamo davanti ad un altro mezzo di comunicazione: le epistole, la maggior parte delle quali
sono state scritte per l’appunto da Paolo.
Adolf Deissmann ha cercato di fare una distinzione fra le epistole e le lettere, dopo aver esaminato i
papiri ritrovati a Oxyrhynchus in Egitto, egli è giunto alla conclusione che le epistole sono
documenti letterari, mentre le lettere sono documenti non letterari.
Secondo Deissmann, gli scritti di Paolo andrebbero posti nella seconda categoria, e quindi sarebbero
“lettere” piuttosto che “epistole”.
Tuttavia, moltissimi studiosi oggi ritengono che questa distinzione sia completamente falsa.
Le lettere, o epistole, di cui disponiamo, sono così calorose e personali che potrebbero essere arrivate
per posta speciale, a me o a te, oggi stesso.
In esse, sia in quelle scritte da Paolo sia in quelle degli altri apostoli, il Signore parla al lettore in una
maniera del tutto personale.
Nello stesso tempo bisogna distinguerle dalle lettere puramente private, poiché sono state scritte per
uno scopo che potremmo definire “semi pubblico”.
In realtà le epistole costituiscono un nuovo genere, che non trova riscontro nella letteratura
contemporanea.
La loro forma infatti è particolarmente adatta a venire incontro alle particolari esigenze delle prime
comunità cristiane.
Nessuna di loro fu composta per uno scopo puramente letterario, nemmeno l’Epistola ai Romani, che
infatti si presenta come un trattato teologico, come un grande manifesto evangelico per il mondo.
Su un totale di 21 Epistole ben 13 portano la firma dell’apostolo Paolo ed è interessante sottolineare
che le Epistole più vecchie furono scritte prima della stesura dei Vangeli.
Le lettere avevano uno scopo essenzialmente pratico e per questo motivo esse fanno luce sul
carattere delle chiese cristiane dei primi tempi.
C’erano problemi dottrinali e morali derivanti dalla lotta tra i princìpi del cristianesimo e il mondo
pagano circostante; non c’era uniformità organizzativa tra le chiese.
A volte, come nel caso di Corinto esistevano situazioni di disordine.
Le lettere erano il mezzo usato dagli Apostoli, e da Paolo in particolare, per portare chiarezza, ordine
e sostegno spirituale alle chiese.
Esse rappresentano la reazione spontanea degli Apostoli a situazioni che richiedevano un intervento
ed un consiglio immediato.
Sono quindi frutto di una responsabilità oggettiva che gli apostoli sentivano sul loro cuore per le
chiese che essi stessi avevano fondate sul fondamento comune rappresentato da Gesù Cristo.
Le lettere però, nonostante quanto abbiamo appena detto, mantengono una straordinaria validità
anche per il credente di oggi, sono infatti piene di indicazioni, spunti, esortazioni spirituali che
vanno molto al di là del momento contingente che ha portato alla loro stesura.
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Le lettere sono una straordinaria, inesauribile fonte spirituale per tutti coloro che ad esse si
avvicinano con spirito di umiltà e di sottomissione alla parola di Dio.
Se tutto questo è vero in generale lo è, se possibile, a maggior ragione per le lettere di Paolo.
Per Paolo il vangelo era il grande movimento ecumenico e Roma era il centro di quel mondo per il
quale Cristo era morto.
In quest’ottica e con queste premesse possiamo iniziare ad occuparci in maniera più diretta
dell’epistola di Paolo ai Romani.
Possiamo innanzitutto chiederci:
Chi sono le persone alle quali Paolo scrive la lettera? Chi aveva fondato la chiesa di Roma ?
Cercherò di rispondere brevemente a queste domande.
In Romani 15:15-16 l’apostolo fa questa dichiarazione:
“Ma vi ho scritto un po’ arditamente su alcuni punti, per ricordarveli di nuovo, a motivo della
grazia che mi à stata fatta da Dio, di essere un ministro di Cristo Gesù fra gli stranieri, esercitando
il sacro servizio del vangelo di Dio, affinché gli stranieri diventino un offerta gradita, santificata
dallo Spirito Santo”
In questo passo Paolo afferma molto chiaramente di essere l’apostolo dei Gentili, così come
altrettanto chiaramente aveva dichiarato che Simon Pietro era l’apostolo di Israele.
Scrivendo ai Galati 2:8-9 aveva infatti detto;
“perché Colui che aveva operato in Pietro per farlo apostolo dei circoncisi aveva anche operato in
me per farmi apostolo degli stranieri”, riconoscendo la grazia che mi era stata accordata,
Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne, diedero a me e a Barnaba la mano in segno
di comunione perché andassimo noi agli stranieri ed essi ai circoncisi.”
Paolo, dunque, era l’apostolo destinato in modo specifico al lavoro tra i gentili.
(Ricordo che con il termine “gentili” si indicavano coloro che non appartenevano al popolo di Israele
ma alle nazioni straniere.)
Nell’ultimo capitolo della lettera ai Romani, l’autore cita i nomi di persone che conosceva.
Bene, la maggior parte di esse erano gentili.
Da tutto questo possiamo dedurre che la chiesa di Roma era costituita in maggioranza da gentili,
anche se erano sicuramente presenti dei Giudei divenuti Cristiani; ad essi infatti Paolo si rivolge
direttamente con molte allusioni all’Antico testamento e alla storia dei Figli d’Israele.
Per quanto riguarda poi la seconda domanda:
”chi fondò la chiesa di Roma?”, possiamo dire che questo costituisce uno dei problemi irrisolti della
storia della chiesa primitiva.
Non è possibile accettare la tradizione secondo cui il fondatore di questa comunità fu l’Apostolo
Pietro, anche se ciò non esclude che lo stesso sia stato per un certo periodo di tempo in quella città.
Se infatti Pietro fosse stato presente a Roma, Paolo non avrebbe mai scritto questa lettera.
In altri brani della stessa epistola, Paolo sottolinea infatti che non si sarebbe mai recato a Roma, se in
quella città fosse già stata fondata una chiesa, pur essendo ansioso di andarvi.
Infatti è scritto in Romani 1:15: “Così, per quanto dipende da me, sono pronto ad annunziare il
vangelo anche a voi che siete a Roma” .
Paolo dunque voleva andare a Roma per predicare il vangelo.
Ma non sarebbe mai andato a Roma, se qualcun altro vi avesse predicato il vangelo prima di lui.
Infatti in Romani 15:20 afferma:
“avendo l’ambizione di predicare il vangelo là dove non era ancora stato portato il nome di Cristo,
per non costruire sul fondamento altrui.”
Da ciò possiamo sicuramente dedurre che a Roma non c’era stato nessun altro apostolo.
Allora, chi fondò la chiesa di Roma?
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Ebbene, farò un’insolita affermazione: la chiesa di Roma fu fondata dall’apostolo Paolo, il quale lo
fece, se così si può dire, “a distanza”, usando cioè il “controllo remoto” di un apostolo per scriverne
e guidarne il corso.
Cercherò di essere più chiaro. Roma era una città straordinaria. Abbiamo visto che Paolo non c’era
mai stato e, come lui, nessun altro apostolo. Tuttavia, era sorta una chiesa. Ma come?
Ebbene, durante i suoi spostamenti all’interno dell’Impero Romano, Paolo aveva portato molti
uomini e donne a Cristo.
Roma aveva un forte potere d’attrazione ed è probabile che molte delle persone che Paolo aveva
incontrato nel corso dei suoi viaggi fossero andate in quella città in un secondo momento. Forse vi
chiedete come posso fare una simile affermazione.
Ebbene, un esempio lampante ci viene fornito in Atti 18:1-3 dove Paolo è in viaggio verso Corinto.
“Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un ebreo, di nome Aquila,
oriundo del Ponto, giunto di recente dall’Italia insieme con sua moglie Priscilla, perché Claudio
aveva ordinato a tutti i Giudei di lasciare Roma. Egli si unì a loro. Essendo del medesimo mestiere,
andò ad abitare e a lavorare con loro. Infatti, di mestiere, erano fabbricanti di tende..
Aquila e Priscilla abitavano a Roma, ma Paolo li incontra a Corinto, dove si erano rifugiati in seguito
a un’ondata di antisemitismo sfociata in una persecuzione ad opera dell’imperatore Claudio. Più tardi
si recarono ad Efeso con Paolo e diventarono ottimi testimoni di Cristo.
All’epoca in cui Paolo scrisse l’epistola ai Romani, Priscilla ed Aquila erano ritornati a Roma e Paolo
colse l’occasione per mandare loro i suoi saluti.
La storia di questa coppia ci viene rivelata chiaramente nel libro degli Atti.
E per quanto riguarda gli altri? Ebbene, Paolo li conosceva senz’altro. Ciò vuol dire che li aveva
incontrati da qualche parte dell’Impero e li aveva portati a Cristo.
In conclusione, possiamo affermare che Paolo fondò la chiesa di Roma “a distanza”, cioè condusse al
Signore delle persone che, per un motivo o per l’altro, si ritrovarono poi a Roma.
L’apostolo conosceva Roma, sebbene non vi fosse mai stato quando scrisse l’epistola ai Romani.
In effetti, la città era come una grande nave la quale, passando di notte, sollevava delle onde che
andavano ad infrangersi sulle sponde lontane.
La sua influenza può essere paragonata anche a quella di una radio, in quanto penetrava ogni angolo
dell’impero.
Paolo aveva visitato alcune colonie romane, come Filippi e Tessalonica, e lì aveva appreso le leggi,
la lingua, lo stile, la cultura e i costumi romani. Aveva camminato sulle strade romane, aveva
incontrato soldati romani sulle vie principali e nei mercati e aveva dormito nelle prigioni romane.
Era anche comparso davanti ai magistrati romani e aveva goduto dei benefici della cittadinanza
romana.
In poche parole, Paolo conosceva tutto di Roma, sebbene non l’avesse ancora visitata.
E’ da questo punto strategico, quale era la capitale del mondo, che egli doveva predicare all’umanità
perduta il vangelo globale, e cioè il fatto che Dio ha amato il mondo così tanto da dare il Suo unico
Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna.
Roma era come una grande calamita: attirava a sé uomini e donne fin dagli estremi confini del
mondo allora conosciuto. E nell’attraversare in lungo e in largo questo impero colossale, Paolo e
gli altri apostoli avevano portato ai piedi della croce un gran numero di persone.
Molti di questi cristiani, attirati al centro di questo grande “nodo di comunicazione” (il detto
secondo cui “tutte le strade portano a Roma” era più di un semplice modo di dire) giungevano in
questa grande metropoli, e così col tempo vi costituirono una chiesa visibile.
In conclusione, probabilmente nessuno in particolare costituì la chiesa di Roma, ma essa fu formata
da coloro che Paolo e gli altri apostoli avevano condotto a Cristo e che erano giunti a Roma dai
confini dell’impero.
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Di sicuro, non fu Pietro a fondarla e in ogni caso non ebbe niente a che fare con questo, dal momento
che la predicazione che fece il giorno della Pentecoste e quelle successive erano rivolte
esclusivamente ai giudei.
Infatti fu solo alla conversione di Cornelio che si convinse del fatto che anche i gentili erano inclusi
nel corpo dei credenti.
Riassumendo, abbiamo visto che l’autore dell’epistola ai Romani è Paolo. Che egli avrebbe visitato la
città più tardi, sebbene la conoscesse già molto bene, e che Paolo fu indirettamente anche il
fondatore della chiesa di Roma.
Mentre ci avviciniamo a questa grande epistola, mi sento del tutto inadeguato davanti al grande tema
che l’autore affronta, e cioè la giustizia di Dio.
E’ un messaggio duro, chiaro, preciso che purtroppo il mondo non vuole né sentire né tanto meno
accettare, perché preferisce sentir parlare della gloria dell’uomo. Vuole che sia esaltato l’uomo,
invece che Dio.
Ma la realtà è che qualunque ministero o insegnamento che tende ad innalzare l’uomo, che non
dichiara apertamente, come fa Paolo nella sua lettera, la grande verità sulla assoluta depravazione del
genere umano e sul fatto che l’uomo è un essere corrotto e perduto, non potrà né risollevare l’umanità
né offrirle un rimedio.
La Bibbia ci dice chiaramente che l’unico rimedio per il peccato dell’uomo è quello perfetto che
abbiamo in Cristo, quello che Dio ha procurato ad un’umanità perduta.
Il ladrone sulla croce era stato reputato indegno di vivere nell’impero romano e stava per essere
ucciso. Ma il Signore Gesù gli disse che l’avrebbe reso adatto per il cielo Luca 23:43: “…oggi tu
sarai con me in paradiso” .
Dio prende i peccatori perduti – come me e te – e li fa entrare nella Sua famiglia, li rende Suoi figli, e
lo fa perché Cristo è morto sulla croce, non perché ci sia in noi qualche merito.
Questo è il grande messaggio della Bibbia e della lettera ai Romani.
Il commentatore svizzero Godet ha detto che la Riforma Protestante è stata sicuramente il frutto
dell’epistola ai Romani (e anche di quella ai Galati) e che probabilmente ogni grande rinnovamento
spirituale nella chiesa sarà sempre legato, nella causa e nell’effetto, ad una più profonda
conoscenza di questo libro.
Martin Lutero scrisse che l’epistola ai Romani è “il vero capolavoro del Nuovo Testamento e il
Vangelo più puro, che merita di essere non solo imparato a memoria, parola per parola, ma di essere
meditato ogni giorno come il pane quotidiano dell’anima.
Essa non sarà mai letta o studiata abbastanza; più la si medita e più preziosa e gustosa diventa”.
Crisostomo, uno dei primi padri della chiesa, si faceva leggere l’epistola due volte alla settimana, e
fu Coleridge ad affermare che l’epistola ai Romani è lo scritto più profondo che esista.
Un grande scienziato, Michael Faraday, si rivolse a questo libro e scoprì che conferiva la vera fede.
Quando sul letto di morte un giornalista gli chiese a che cosa si aggrappasse in quel momento, egli
rispose: “La mia fede è saldamente posta in Cristo mio Signore che è morto per me e che mi ha
spianato la strada per il cielo”.
Vi ricordo anche che questa epistola, cioè quella ai Romani, ha trasformato la vita di uno stagnino di
Bedford che risponde al nome di John Bunyan.
Sapete, non era un gigante dal punto di vista intellettuale, e neanche un poeta, eppure ha scritto un
libro che, in quanto a vendite, è stato superato soltanto da un altro: la Bibbia. Il libro di Bunyan si
intitola “Il pellegrinaggio del cristiano” ed è la storia di un peccatore salvato per grazia; in pratica, la
sua storia.
Dopo aver letto e studiato l’epistola ai Romani, egli ha associato il significato profondo della lettera
alla sua storia personale, e ne è scaturito il racconto di un pellegrino che è andato alla croce, ha visto
rotolar via il peso del suo peccato e ha cominciato un nuovo viaggio verso la Città Celeste.
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Vorrei ora esortare i credenti a fare qualcosa che recherà ad ognuno dei benefici sorprendenti:
leggete la lettera ai Romani, e fatelo regolarmente.
E’ una lettura che richiede tutte le facoltà intellettuali di cui disponiamo e che in più deve essere
immersa nella preghiera affinché lo Spirito Santo possa impartire i Suoi insegnamenti.
Ogni cristiano dovrebbe impegnarsi a conoscere questo libro, perché esso ha il potere di fondare il
credente nella fede.
Possiamo a questo punto avvicinarci alla lettera vera e propria ed iniziare l’analisi del primo capitolo
dell’epistola ai Romani.
Questo capitolo d’apertura comprende l’introduzione, i motivi missionari del grande apostolo, la
definizione di ‘vangelo’ e la condizione dell’uomo peccatore che ha bisogno del vangelo.
Esso ci dà il ritmo dell’intera epistola.
La lettera ai Romani insegna la totale depravazione dell’uomo, il quale è irrevocabilmente e
disperatamente perduto.
Egli deve ottenere la giustizia di Dio, dal momento che di giustizia propria non ne ha affatto.
E’ interessante sottolineare come questo grande documento della dottrina cristiana, indirizzato alla
chiesa di Roma per preservarla dalle eresie, non abbia raggiunto il suo scopo.
La chiesa romana infatti si discostò moltissimo dalla fede che viene esposta nell’epistola.
Del resto, è una delle verità in essa rivelate il fatto che l’uomo non comprende né tanto meno cerca
Dio.
Prima di addentrarci nell’analisi del testo desidero sottolineare che, secondo molti commentatori, la
chiave di questo scritto si trova nei versetti 16 e 17 che dicono :
“ Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque
crede; del Giudeo prima e poi del Greco; poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede,
com’è scritto: “ il giusto per fede vivrà”. Romani 1:16-17
Consiglierei di impararli a memoria, oltre naturalmente a comprendere bene il significato di ogni
singola parola.
Al momento opportuno, le commenteremo una ad una.
ROMANI 1
Leggiamo ora i primi versetti del capitolo ed esattamente i versetti da 1 a 7 di Romani 1:
“Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato a essere apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio, che
egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture riguardo al Figlio suo, nato
dalla stirpe di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di
santità mediante la risurrezione dai morti; cioè Gesù Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale
abbiamo ricevuto grazia e apostolato perché si ottenga l’ubbidienza della fede fra tutti gli stranieri,
per il suo nome fra i quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo a quanti sono in Roma, amati da
Dio, chiamati a essere santi, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo.
Romani 1:1-7
La lettera ai Romani inizia secondo uno schema di saluto molto diffuso a quel tempo,
“X a Y, saluti”.
Infatti troviamo: ”Paolo…….a quanti sono in Roma, amati da Dio….. saluti.”
Questo schema è lo stesso che fa da scheletro alla maggior parte delle lettere del Nuovo
Testamento, anche se variamente sviluppato ed arricchito di accenti cristiani, ma nell’Epistola ai
romani ogni parte del saluto è ampliata; il nome di chi manda la lettera, il nome di quelli che la
ricevono , e persino i saluti.
Paolo inizia presentandosi e mettendo in evidenza, in risalto, la sua autorità nello scrivere, autorità
derivatagli dal fatto di essere Apostolo di Cristo.
In pratica fornisce le sue credenziali.
Come abbiamo letto il brano inizia con la frase:
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“ Paolo, servo di Cristo Gesù…..”
Il nome Paolo deriva dal latino ‘Paulus’, che significa “piccolo”.
Egli era Saulo da Tarso, ma veniva anche chiamato Paolo, come ci viene riferito in Atti 13:9.
”Allora Saulo, detto anche Paolo,…..”
All’inizio della sua lettera Paolo si presenta ai romani come un servo, o “doulos”, schiavo, del
Signore Gesù Cristo. Paolo assunse volentieri questo ruolo.
E’ giusto ricordare che, secondo quanto ci dice la Parola di Dio, il Signore Gesù ci ha amati e ha
dato Sé stesso per noi, ma ciò non significa che Egli voglia forzare la nostra volontà, ci lascia liberi,
deve essere un nostro piacere servirlo. Egli non ci costringe.
Alla città di Gerusalemme Gesù disse Luca 13:34: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i
profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la
chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto”.
In un’altra occasione poi, il Signore esclamò Giovanni 5:40 “eppure non volete venire a me per
avere la vita.”
Anche tu hai il privilegio di scegliere di diventare un servo del Signore Gesù Cristo.
Ma è un atto della tua volontà. Egli non ti obbliga. Sulla strada di Damasco, il Signore disse a Paolo:
“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” e Paolo rispose: “Chi sei tu, Signore?” e Lui disse: “Io sono
Gesù che tu perseguiti”.
In quel momento Paolo Lo riconobbe come suo Salvatore.
Poi chiese: “Che cosa vuoi che io faccia?” Atti 9:4-6. Fu allora che scelse di diventare servo del
Signore Gesù Cristo.
Il primo versetto della lettera ai Romani prosegue dicendo: “Paolo, servo di Gesù Cristo, chiamato a
essere apostolo…”
Siccome l’infinito del verbo “essere” non si trova nel testo originale, possiamo tranquillamente
parlare di Paolo come di un “apostolo chiamato” – laddove il termine “chiamato” funge da aggettivo.
In altre parole, non fu Paolo a decidere di diventare un apostolo, ma fu Dio a sceglierlo.
Paolo sostenne sempre di aver ricevuto la chiamata a questo alto ufficio direttamente dal Signore
Gesù e da Dio Padre come troviamo anche scritto in Galati 1:1. dove leggiamo: “Paolo apostolo
non da parte di uomini né per mezzo di un uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo
ha resuscitato dai morti
Dio stesso lo aveva investito della responsabilità di proclamare il Vangelo nel mondo Gentile nel
momento in cui gli rivelò suo Figlio sulla via di Damasco. Questa scelta era avvenuta prima ancora
che egli nascesse, tutto era stato preordinato da Dio in vista del suo servizio apostolico.
Leggiamo a sostegno di quanto stiamo dicendo i versetti 15 e 16 del primo capitolo dell’epistola di
Paolo ai Galati 1:15-16: “Ma Dio che m’aveva prescelto fin dal seno di mia madre e mi ha
chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché io lo
annunziassi fra gli stranieri”.
Di solito la dignità di Apostolo era ricevuta mediante la chiesa che mandava, adempiendo la volontà
del Cristo vivente; il titolo di “Apostolo” apparteneva in primo luogo ai Dodici, coloro che erano
stati con Gesù durante la Sua vita terrena, ma in seguito fu dato anche ad altri esponenti e predicatori
cristiani; in Atti 14:14 troviamo ad esempio: “Ma gli apostoli Paolo e Barnaba, udito ciò,………..”
Paolo aveva deciso di diventare schiavo di Cristo, ed ora si ritrovava ad essere anche un apostolo
chiamato da Dio, un testimone del Signore Gesù Cristo.
E’ importante sottolineare che solo una persona che sia stata scelta da Dio è il genere di servitore di
cui Egli si potrà servire.
Ricorderete ad esempio che Geremia fu chiamato quando era bambino.
Lo leggiamo in Geremia 1:4-10 La parola del SIGNORE mi fu rivolta in questi termini: “Prima che
io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo
grembo, io ti ho consacrato e ti ho costituito profeta delle nazioni”. Io risposi: “Ahimè, Signore,
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DIO, io non so parlare, perché non sono che un ragazzo”. Ma il SIGNORE mi disse: “Non dire:
“Sono un ragazzo”, perché tu andrai da tutti quelli ai quali ti manderò, e dirai tutto quello che io ti
comanderò. Non li temere, perché io sono con te per liberarti”, dice il SIGNORE. Poi il SIGNORE
stese la mano e mi toccò la bocca; e il SIGNORE mi disse: “Ecco, io ho messo le mie parole nella
tua bocca. Vedi, io ti stabilisco oggi sulle nazioni e sopra i regni, per sradicare, per demolire, per
abbattere, per distruggere, per costruire e per piantare”.
Dio disse invece dei falsi profeti Geremia 23:21: “Io non ho mandato quei profeti, ed essi corrono;
io non ho parlato a loro, ed essi profetizzano”
Geremia fu un profeta chiamato da Dio, così come lo fu Paolo come apostolo , che tradotto significa
“colui che è mandato”.
L’apostolo deve essere un testimone del Cristo risorto. Paolo dichiarò di esserlo quando affermò in
1° Corinzi 15:8: “….e, ultimo di tutti, apparve anche a me, come all’aborto”.
In un’altra occasione chiese in modo retorico 1° Corinzi 9:1: “Non sono libero? Non sono apostolo?
Non ho veduto Gesù, il nostro Signore?…”
Oltre alle dichiarazioni dello stesso Paolo vi sono delle altre prove della sua chiamata come
apostolo, in primo luogo le dichiarazioni fatte dallo stesso Signore risorto ad Anania: “Ma il Signore
gli disse: Va’, perché egli è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai popoli,
ai re, e ai figli d’Israele. Atti 9, 15
In secondo luogo la constatazione che egli possedeva i cosiddetti “doni miracolosi”.
Paolo stesso affermò nella sua lettera ai Corinzi al capitolo 14 di essere in grado di parlare altre
lingue. Inoltre, sappiamo da vari episodi che la Bibbia racconta che possedeva il dono di guarigione;
dono che aveva un’enorme importanza in quel primo secolo per la diffusione dell’evangelo.
Dobbiamo ricordare che il Nuovo Testamento non era ancora stato scritto nella sua interezza e che la
sua diffusione non era certo quella dei nostri giorni.
Quale miglior dimostrazione allora di essere un apostolo di Cristo se non quella di fare con l’aiuto
dello Spirito Santo le stesse opere che egli aveva fatte?
Paolo aveva questo dono. Egli poteva perfino risuscitare i morti, così come ci rivelano alcuni episodi
della Bibbia in cui sia Pietro sia Paolo mettono in pratica ciò. Oggi quando Dio guarisce, lo fa
direttamente; non conferisce più, se non in casi eccezionali, questo dono agli uomini.
L’uomo di oggi non ha più bisogno di conoscere la potenza e la grazia di Dio attraverso queste
manifestazioni miracolose, a lui è stata data la Parola di Dio, la Bibbia.
Essa è pienamente sufficiente a far conoscere il Padre, Il Figlio ed il piano meraviglioso di salvezza
per l’uomo.
Non dimentichiamo poi che, per chi ha creduto al messaggio dell’evangelo, esiste la testimonianza
dello Spirito Santo che attesta e sostiene le verità dell’Evangelo nel suo cuore.
Riepilogando, Paolo è un servo di Gesù Cristo e un apostolo ‘chiamato’.
Ma il primo versetto che abbiamo letto ci dice anche che è “messo a parte per il vangelo di Dio”.
Altre versioni traducono “separato per” Dio.
Notate che la parola ‘separato’ non è seguita dalla preposizione ‘da’, ma da ‘per’.
Paolo era separato per portare ai Gentili il Vangelo di Dio.
La parola “messo a parte”, “separato” è meravigliosa.
Esistono dei termini che racchiudono in sé due significati completamente opposti fra loro. Questo è
uno di essi. Paolo era un cristiano “separato”, ma separato ‘per’ qualcosa e non ‘da’ qualcosa.
Abbiamo già sottolineato che Paolo era stato chiamato a questo prima ancora della sua nascita; tutta
la ricchezza e la varietà di prerogative che Paolo godeva per eredità (giudaica, greca, romana) e per
educazione, era stata preordinata da Dio in vista del suo servizio per Lui.
Era stato messo a parte per il “vangelo di Dio”.
Ma che cos’era questo vangelo?
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Era ed è la lieta proclamazione della morte e della risurrezione di Suo Figlio, e della conseguente
amnistia e liberazione che uomini e donne possono godere per mezzo della fede in Lui.
Possiamo notare che Paolo dice che il vangelo è di Dio, suo è il lieto annuncio, l’uomo non ha creato
il vangelo.
Quando io e voi siamo apparsi sulla scena, il vangelo esisteva già da 20 secoli.
Il Signore non ha aspettato, non ha indugiato, per vedere se gli uomini avessero un piano migliore.
Il vangelo è Suo, ha avuto origine da Lui. Noi possiamo prenderlo o lasciarlo.
Il vangelo, ricorda Paolo, non è nuovo di zecca, fu promesso dai profeti durante tutto l’arco del
Vecchio Testamento.
Il suo messaggio è che Dio ama l’uomo e gli offre il modo per essere salvato.
Esso ci porta in una relazione d’amore.
Dio ci ha amati e ha dato Sé stesso per noi. Che cosa meravigliosa!
I versetti da 2 a 6 costituiscono una parentesi che ci dà una definizione di vangelo leggiamoli
Che egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture riguardo al Figlio suo,
nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio can potenza secondo lo
Spirito di santità mediante la risurrezione dai morti; cioè Gesù Cristo, nostro Signore, per mezzo
del quale abbiamo ricevuto grazia e apostolato perché si ottenga l’ubbidienza della fede fra tutti gli
stranieri, per il suo nome – fra i quali siete anche voi chiamati da Gesù Cristo – a quanti siete in
Roma
Romani 1:2-6
Prima di tutto, Paolo ci dice che il vangelo riguarda la persona di Gesù Cristo.
La parola “riguardo” è la preposizione greca “peri” – usata anche nei termini ‘periscopio’ e
‘perimetro’, e significa “ciò che circonda”.
Tutto il vangelo concerne Gesù Cristo. E’ esattamente ciò che Lui ha fatto. “Riguarda il Figlio di
Dio, Gesù Cristo, nostro Signore”.
Ritroviamo qui il pieno titolo di Gesù. Egli è il Figlio di Dio, Gesù, il Cristo, nostro Signore.
Questo è il Suo meraviglioso nome.
Oggi si sente spesso dire che abbiamo bisogno della religione di Gesù. Ma dobbiamo ricordarci che
Egli non aveva nessuna religione. Non ne aveva bisogno, perché è Dio.
Quello che ci serve invece è una religione ‘su’ Gesù, che Lo ‘racchiuda’, che riguardi esclusivamente
ciò che Egli ha fatto.
Gesù Cristo è veramente Dio. Egli, nella sua divinità, non può adorare; deve essere adorato.
Qualcuno potrebbe replicare: “Ma anche Lui ha pregato”.
Sì, è vero, ma questo è avvenuto perché ha preso il posto dell’uomo.
La sua preghiera serviva ad avvicinare l’uomo a Dio.
Per esempio, è scritto che presso la tomba di Lazzaro Giovanni 11:41-42: “Gesù, alzati gli occhi al
cielo, disse: “Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito. Io sapevo bene che tu mi esaudisci sempre,
ma ho detto questo a motivo della folla che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato.”
Gesù pregò per venire incontro alla nostra fede, ma era e rimane il Signore Gesù Cristo, Dio
incarnato.
Notiamo, facendo nostre le espressioni di Paolo, che Gesù è anche del seme di Davide, secondo la
carne. Questa frase ci rivela l’umanità di Gesù, parla della Sua famiglia umana, ma il versetto che
segue ci ricorda anche che Egli, in virtù della potenza di Dio manifestata nella resurrezione, dimostrò
la Sua deità, dimostrò di essere veramente il Figlio di Dio.
Notiamo che Gesù viene dichiarato Figlio di Dio “mediante la resurrezione dai morti”.
La resurrezione dimostra tutto. E’ la resurrezione che Lo dichiara Figlio di Dio.
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Attraverso tutta la Bibbia il Signore Gesù Cristo viene presentato nella potenza della Sua
resurrezione. Prima lo vediamo nei panni di un uomo, che cammina sulla terra, che viene disprezzato
e rifiutato.
Lo vediamo perfino nei momenti di debolezza, mentre siede presso un pozzo per riposare e dorme su
una barca in mezzo al mare nel pieno di una tempesta. E alla fine, coperto di ignominia e vergogna,
viene messo a morte su una croce. Ma, sebbene fosse un uomo di dolore e familiare col patire, venne
il momento in cui risuscitò dalla morte.
La sua resurrezione dimostra che Egli aveva ragione quando disse Giovanni 8:23: “…Voi siete di
quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo; io non sono di questo mondo”
I giorni in cui camminava sulle strade polverose di Israele sono finiti; Egli è tornato dal regno dei
morti con grande potenza. La sua resurrezione prova che Egli è il Figlio di Dio con potenza.
Se fino a quel momento era stato il Figlio di Dio in debolezza ed umiliazione, divenne con la
resurrezione il Figlio di Dio in potenza. Divenne Colui che è designato da Dio stesso ad essere
giudice di tutti noi.
Ricordiamo a questo proposito Atti 10:42 e 17:31
La resurrezione non fece di Gesù il Figlio di Dio; semplicemente rivelò chi Egli fosse in realtà.
“Dichiarato” deriva dalla parola greca ‘horizo’, Gesù viene dichiarato il Figlio di Dio.
Ritroviamo qui la Sua perfetta umanità e la Sua perfetta deità.
Uno dei più antichi “credo” della chiesa afferma che Egli è vero Dio e vero uomo.
Paolo lo dichiarò prima ancora che quel credo fosse scritto.
Gesù Cristo non è più di un uomo per il fatto di essere Dio, e non è meno di Dio per il fatto di essere
un uomo. Egli è il Dio uomo.
Viene dichiarato Figlio di Dio “secondo lo Spirito di santità”. Il riferimento potrebbe essere allo
spirito umano di Gesù, ma, tenendo anche in debito conto il fatto che questa espressione era usata
dal popolo ebraico per indicare lo Spirito Santo, personalmente ritengo che qui ci sia un chiaro
riferimento alla trinità.
C’è un’altra grande verità che emerge da questi versetti e che possiamo sottolineare.
Essi ci fanno vedere Cristo, risorto e seduto alla destra di Dio nel cielo, che intercede oggi per i
credenti e dà loro potenza e conforto.
C’è un Uomo nella gloria, ma la chiesa Lo ha perso di vista. Noi abbiamo bisogno di ritrovare la
nostra consapevolezza di Lui. Hai avuto tu un contatto personale col Cristo vivente oggi?
La resurrezione inoltre ci assicura che Egli un giorno tornerà come Giudice e come Re dei re e
Signore dei signori. Egli schiaccerà il peccato e regnerà su questa terra con giustizia.
Giudicherà l’umanità, come disse Paolo ai sofisticati ed eloquenti filosofi ateniesi Atti 17:29-31:
“… non dobbiamo credere che la divinità sia simile a oro, ad argento o a pietra scolpita dall’arte e
dall’immaginazione umana. Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli
uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno nel quale giudicherà il
mondo con giustizia per mezzo dell’uomo ch’egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti
risuscitandolo dai morti”.
Siccome Gesù Cristo è risorto dai morti, un giorno tu ed io dovremo comparire davanti a Lui: questa
è una solenne realtà.
Starai alla Sua presenza come una persona che ha confidato in Lui come suo Salvatore o come una
persona che deve essere giudicata?
Se non lo hai ricevuto come tuo Salvatore, su te grava l’inevitabile condanna di Dio, perché la tua
giustizia non è sufficiente per stare alla Sua presenza. Sei condannato alla perdizione eterna, a meno
che tu non Lo accetti come tuo Salvatore.
La resurrezione garantisce il fatto che ognuno di noi dovrà comparire davanti al Signore Gesù Cristo.
Siamo arrivati ai versetti 5 e 6 di Romani 1, versetti che ci dicono:
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per mezzo del quale abbiamo ricevuto grazia e apostolato perché si ottenga l’ubbidienza della fede
fra tutti gli stranieri, per il suo nome – fra i quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –
Romani 1:5-6
“Grazia e apostolato” sono termini molto significativi.
La “grazia” infatti è il metodo di salvezza usato da Dio.
Nessuno di noi avrebbe mai potuto essere salvato, se Dio non fosse stato “pieno di grazia”.
Sebbene il termine “apostolato” si riferisse in modo specifico a Paolo e agli altri che erano
tecnicamente apostoli, ogni credente in realtà è una persona “mandata”.
La parola in greco è “apostole”, che significa “mandare fuori”.
Ogni credente dunque dovrebbe essere un testimone, una persona mandata all’esterno con un
messaggio, un messaggio importante.
Se tu sei un credente, cosa stai facendo perché la Parola di Dio venga conosciuta oggi? Si tratta di
una questione che riguarda chi ha ricevuto grazia e apostolato.
Siamo stati graziati ed abbiamo ottenuto Apostolato affinché, ci dice Paolo, si ottenga l’obbedienza
alla fede fra le nazioni, per il Suo nome.
Questa epistola ai Romani si apre con il concetto di ubbidienza e vedremo si chiuderà con lo stesso
concetto.
Nel capitolo finale infatti Paolo dirà ai Romani:
“La vostra ubbidienza è nota a tutti” Romani 16:19,
e anche “… è rivelato… a tutte le nazioni perché ubbidiscano alla fede.” Romani 16:26.
L’ubbidienza alla fede è molto importante per Dio.
Egli infatti ci salva per fede, non per opere; ma dopo averci salvato, vuole parlare con noi delle
nostre opere, della nostra ubbidienza a Lui.
Tante persone dicono di credere in Dio, ma poi vivono incoerentemente e sembra che servano non
Dio ma Satana.
Amica, amico, la fede che salva ti rende ubbidiente a Gesù Cristo.
Potremmo a questo punto porci una domanda: c’è una differenza fra fede e fede? Certo! La
differenza è nell’oggetto della fede.
Per esempio, io posso credere in Giuseppe Garibaldi; considerarlo un grande uomo, posso pensare a
lui come ad un eroe, come ad uno dei fondatori della nostra patria, allo stesso tempo, credo in Gesù
Cristo. Ora, la mia fede in Giuseppe Garibaldi non ha mai fatto niente per me.
Non ha niente a che vedere con la mia salvezza e non ha quasi alcun effetto sulla mia vita.
La mia fede in Gesù Cristo, invece, è totalmente diversa. “La fede che salva” ci conduce nel luogo
dove ci arrendiamo al Figlio di Dio che ci ama e ha dato sé stesso per noi.
La dottrina corretta è molto importante, ma implica la disciplina e l’operare. Tu non potrai essere il
sale della terra se non metti insieme entrambe le cose.
A proposito, hai mai riflettuto sul fatto che il sale è composto di sodio e cloruro e che ognuno di essi,
preso singolarmente, è velenoso? E tuttavia, combinati insieme, costituiscono un ingrediente molto
utile. La fede e le opere vanno insieme, amica, amico, e fanno di chi crede il sale della terra.
Paolo continua nel suo ragionamento dicendo a tutti noi che i chiamati sono gli eletti, ma sono
anche coloro che hanno sentito, che hanno ascoltato la Sua voce.
Il Signore Gesù lo ha fatto capire chiaramente quando ha detto:
“Le mie pecore ascoltano la mia voce ed io le conosco, ed esse mi seguono” Giovanni 10:27
Se tu stai seguendo qualcun altro o qualcos’altro, vuol dire che non lo hai sentito, che non sei una
delle sue pecore. I chiamati sono coloro che sentono la Sua voce e Lo seguono. E’ molto semplice
come concetto : Lui chiama e tu rispondi. Se hai risposto, sei fra gli eletti, uno dei “chiamati di Gesù
Cristo”.
Paolo evidentemente voleva rassicurare i cristiani romani sul fatto che essi fossero stati chiamati.
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Con questo concetto si chiude la profonda parentesi che l’autore ha aperto nell’introduzione alla
lettera ai Romani.
Possiamo dire che questa parentesi ha quattro caratteristiche:
1°) Paolo ha un messaggio in accordo con le scritture;
2°) il messaggio proviene dal Cristo risorto;
3°) è universale;
4°) si prefigge l’ubbidienza alla fede.
A questo punto, dopo questa parentesi, Paolo torna all’introduzione vera e propria:
a quanti sono in Roma, amati da Dio, chiamati a essere santi, grazia a voi e pace da Dio nostro
Padre, e dal Signore Gesù Cristo.
Romani 1:7
Volevo accentrare la vostra attenzione sull’espressione “Amati da Dio” –
Dio amava quei credenti di Roma. Dio ci ama – che cosa meravigliosa!
L’espressione “chiamati ad essere santi” potrebbe essere tradotta semplicemente con “chiamati santi”,
visto che il verbo “essere” non compare nei migliori manoscritti.
Essi erano “chiamati santi” e questo è in effetti il nome di ogni credente.
Un santo non è una persona che è stata esaltata; ma una persona che esalta Gesù Cristo.
Si diventa santi quando Gesù diventa il Signore della propria vita.
Secondo la Bibbia ci sono solo due generi di persone al mondo: i santi e quelli che non lo sono.
Se tu sei un santo, vuol dire che hai creduto in Cristo; non è il tuo carattere che ti rende tale, ma la
tua fede in Gesù ed il fatto che sei “messo da parte” per Lui, proprio come l’apostolo Paolo che
nell’introduzione si definisce un servo di Gesù Cristo.
“Grazia e pace” costituiscono l’introduzione formale di tutte le lettere di Paolo. “Grazia” (charis) era
la forma di saluto dei gentili mentre “pace” (shalom) era il saluto ebraico. Paolo qui li ha messi
insieme.
Giunti a questo punto possiamo leggere i versetti da 8 a 15 di Romani 1.
In essi Paolo esterna quelli che sono i suoi sentimenti verso i Cristiani di Roma e ringrazia il Signore
per il livello di fede da loro raggiunta.
Prima di tutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la
vostra fede è divulgata in tutto il mondo. Dio, che servo nel mio spirito annunziando il vangelo del
Figlio suo, mi è testimone che faccio continuamente menzione di voi chiedendo sempre nelle mie
preghiere che in qualche modo finalmente, per volontà di Dio, io riesca a venire da voi. Infatti
desidero vivamente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale affinché siate fortificati; o
meglio, perché quando sarò tra di voi ci confortiamo a vicenda mediante la fede che abbiamo in
comune, voi e io. Non voglio che ignoriate, fratelli, che molte volte mi sono proposto di recarmi da
voi (ma finora ne sono stato impedito) per avere qualche frutto anche tra di voi, come fra le altre
nazioni. Io sono debitore verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli
ignoranti; così, per quanto dipende da me, sono pronto ad annunziare il vangelo anche a voi che
siete a Roma.
Romani 1:8-15
Dopo aver presentato se stesso e l’argomento che vuol trattare, Paolo spiega in questi versetti di
Romani 1 lo scopo per cui scrive loro proprio in quel momento.
L’apostolo esprime qui la soddisfazione per il livello di fede da loro raggiunto, rende grazie a Dio
perché la loro fede non è qualcosa di nascosto, ma è qualcosa di palese, di dominio pubblico.
Per questo motivo Paolo annuncia loro di aver più volte ringraziato Dio nelle sue preghiere, e di aver
l’ardente desiderio di andare a Roma per portare loro il suo insegnamento ed il suo incoraggiamento,
ma anche di desiderare di condividere con loro la comunione fraterna nella fede comune in Cristo
Gesù.
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In tutto questo egli era stato fino a quel momento impedito da qualche motivo che noi non
conosciamo, forse dall’editto imperiale del 49 d.C. che impediva l’accesso dei Giudei a Roma, ma
ora sembrava che gli ostacoli fossero finalmente rimossi e che egli avrebbe finalmente potuto far
loro visita.
Paolo sentiva di dover andare a Roma , non per rivendicare la sua autorità apostolica sui credenti di
quella città, ma per l’ardente desiderio di predicare il vangelo e di avere lì dei suoi convertiti, così
come in tutte le altre città che aveva visitato. Sentiva di avere un debito sia verso i Greci che verso i
Barbari, (ricordiamo che per i Greci tutti coloro che non erano Greci erano barbari), sia verso i
sapienti che verso gli ignoranti, un debito frutto dell’incarico ricevuto da Dio stesso, quello di
predicare in ogni posto il Vangelo della salvezza.
Degno di nota in questo brano è il versetto 8 nel quale Paolo dichiara di ringraziare Dio per la loro
fede per mezzo, in virtù, di Cristo Gesù.
Così come la grazia di Dio è trasmessa agli uomini mediante Cristo, (ricordate il versetto 5?) , così è
mediante Cristo che la loro gratitudine è trasmessa a Dio.
In poche parole possiamo dire che Cristo è mediatore sia verso Dio che verso gli uomini.
Possiamo sottolineare inoltre che, come abbiamo visto, Paolo dice che in tutto l’impero correva voce
che molti a Roma si stavano convertendo a Cristo, al punto che la cosa dava fastidio alle autorità.
Poco più tardi infatti cominciò la persecuzione.
Questo deve far riflettere soprattutto coloro che come me si dichiarano Cristiani.
La nostra presenza Cristiana, il nostro gruppo, la nostra chiesa, in che misura incidono sulla realtà
spirituale della società che ci circonda? Che influenza esercita sugli altri?
Qualcuno ha sentito parlare della nostra testimonianza personale?
Vista in quest’ottica la testimonianza che rendeva la chiesa di Roma all’inizio era davvero
esemplare!
I due versetti successivi, il 16 ed il 17 ci forniscono, tra le altre cose, la chiave di lettura di questa
grande epistola ai Romani.
Essi costituiscono la base su cui Paolo costruisce i capitoli successivi, di fatto sono un sunto del
Vangelo secondo Paolo.
Leggiamoli insieme:
Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede;
del Giudeo prima e poi del Greco;
poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: “Il giusto per fede vivrà”.
Romani.1:16-17
“Io non mi vergogno del vangelo”.
Paolo aveva appena detto. “Io sono debitore, io sono pronto”, ora dice: “io non mi vergogno…”.
Sono debitore verso i Greci così come lo sono verso i barbari, Romani compresi; sono debitore
verso i sapienti così come lo sono verso gli ignoranti; per questo motivo sono pronto ad annunciare
il Vangelo dappertutto, anche a voi che siete a Roma, a voi che vivete nella capitale del mondo.
Sono pronto e non ho nulla di cui vergognarmi, anche se il vangelo di Gesù Cristo può sembrare
una pazzia ed uno scandalo, io non mi vergogno di esso, non mi vergogno di annunciarlo perché:
“esso è potenza di Dio per la salvezza”!
Questo parafrasato è il concetto espresso da Paolo nel versetto 16, concetto che lo stesso Paolo
ripeterà in 1°Corinzi 1:17- 25:
“Infatti Cristo non mi ha mandato a battezzare ma ad evangelizzare; non con sapienza di parola,
perché la croce di Cristo non sia resa vana. Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli
che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; infatti sta scritto: “Io farò
perire la sapienza dei saggi e annienterò l’intelligenza degli intelligenti”. Dov’è il sapiente? Dov’è
lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio reso pazza la sapienza di questo
mondo? Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio,
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nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. I Giudei infatti chiedono
miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è
scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto giudei quanto greci,
predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli
uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.”
La parola greca tradotta con “potenza” è dunamis, da cui deriva “dinamite”.
Il vangelo è dunque per Paolo dinamite!
E’ il genere di potenza che il dr. Marvin R. Vincent chiamò energia divina! Il vangelo ha potenza in
sé stesso, una potenza innata.
La sua potenza è rivolta a qualcosa di specifico: “E’ infatti la potenza di Dio per la salvezza”.
E’ questo il fine e l’effetto del vangelo. La salvezza dell’uomo.
“Salvezza” è il termine che racchiude tutto il vangelo, e significa semplicemente “liberazione”.
Essa abbraccia tutto: dalla giustificazione per fede, alla glorificazione eterna.
E’ allo stesso tempo un atto ed un processo. In altre parole, con un solo termine è possibile
affermare contemporaneamente che: “sono stato” salvato, che “sono” salvato e che “sarò” salvato.
Il vangelo è per la salvezza “del giudeo prima, e poi del greco”. Esso è per tutti.
Comprende l’intera razza umana, a prescindere dalle barriere razziali o religiose. Ed è personale; è
indirizzato ad ogni individuo.
Come abbiamo visto il vangelo è universale nel suo scopo, ma Paolo ci dice che è riservato a
“chiunque crede”.
Questa affermazione esclude automaticamente l’elezione e il libero arbitrio. L’unico modo per
procurarsi la salvezza è attraverso la fede personale.
La frase “Del giudeo prima, e poi del greco” non significa che il giudeo abbia la priorità.
Ciò che conta è assicurarsi che nell’evangelizzare il giudeo abbia la stessa opportunità del gentile.
Cronologicamente parlando, il vangelo è giunto prima ai giudei. Se ad esempio ci fossimo trovati a
Gerusalemme il giorno della Pentecoste, avremmo partecipato ad un incontro completamente
giudaico.
E Paolo nei suoi viaggi missionari portava il vangelo prima nelle sinagoghe ebraiche.
Ma in Atti 13:46 ci viene detto: “Ma Paolo e Barnaba dissero con franchezza: ‘Era necessario che
a voi per primi si annunziasse la Parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi ritenete degni
della vita eterna, ecco, ci rivolgiamo agli stranieri (gentili)”.
Il vangelo prese l’avvio a Gerusalemme, una città giudaica, poi si diffuse in Giudea, Samaria e fino ai
confini della terra.
Il dr. Stifler, studioso della Bibbia, richiama la nostra attenzione su tre verità molto pertinenti che
scaturiscono dal versetto che stiamo esaminando:
1°) – l’effetto del vangelo è la salvezza;
2°) – la sua estensione è mondiale, per tutti;
3°) – la condizione per ottenere salvezza è la fede in Gesù Cristo.
Paolo però non si ferma qui e ci dice nel versetto 17 che il Vangelo non è solo la potenza di Dio per
la salvezza dell’uomo, ma anche l’espressione della giustizia di Dio rivelata agli uomini.
La traduzione letterale della frase sarebbe questa:
“Una giustizia di Dio viene rivelata”.
Non dovrebbe essere tradotto con ‘la’ giustizia di Dio, perché la giustizia è un suo attributo e Dio non
condivide questo Suo attributo con nessuno.
E’ ‘una’ giustizia, e viene da Dio; non è la giustizia dell’uomo.
Dio ha già detto che non accetterà la giustizia dell’uomo, perché essa è come un abito sporco ai suoi
occhi, secondo Isaia 64:6. “Tutti quanti siamo diventati come l’uomo impuro, tutta la nostra
giustizia come un abito sporco; tutti quanti appassiamo come foglie e la nostra iniquità ci porta via
come il vento.”
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Paolo parla in questo versetto della giustizia attribuita all’uomo attraverso il sacrificio di Cristo.
Dio colloca un peccatore perduto in Cristo, e lo vede in Lui.
Il credente viene accettato senza riserve, reso puro agli occhi di Dio, il suo peccato è cancellato, ma
tutto questo non è il frutto di ciò che egli è stato in grado di fare, bensì la conseguenza di ciò che
Cristo ha fatto per lui. L’unico modo per procurarsi questa giustizia è attraverso la fede: si tratta di
una giustizia mediante la fede.
Nessuno può ottenerla lavorando; non è possibile fare un deposito di questo; non puoi comprarla.
Puoi solo accettarla per fede.
“E di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha
mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede” Filippesi 3:9
La parola tradotta con “giustizia” è dikaiosune. Essa ricorre novantadue volte nel Nuovo Testamento,
trentasei delle quali nell’epistola ai Romani.
La frase “una giustizia che viene da Dio” si trova otto volte nell’epistola.
La radice “dike” significa semplicemente “giusto”.
‘Giustizia’ e ‘giustificare’ derivano dalla stessa parola.
“Essere giusto” è il suo primo significato, ed è opposto al concetto di “peccato”.
Il dr. Cremer, famoso teologo, dà della giustizia questa appropriata definizione:
“E’ la posizione che Dio richiede e che riesce a superare la prova del Suo giudizio; è il carattere e
l’agire di un uomo approvato da Dio il quale, in virtù di questa giustizia, fa di Dio e della Sua
volontà il suo ideale e standard”.
La giustizia di cui Cremer parla è ciò che Dio richiede, ed è ciò che Dio provvede – è una giustizia
che viene da Dio stesso. “Da fede a fede” significa semplicemente “immerso nella fede”.
Dio ti salva per fede, tu vivi per fede, muori per fede e sarai in cielo per fede. Lasciate che vi illustri
questo concetto con un semplice esempio.
Sono nato un certo numero di anni fa a Milano. Mia madre mi ha detto che quando sono venuto alla
luce, il dottore mi ha preso per le caviglie, mi ha dato uno schiaffetto ed io ho lanciato un urlo che
poteva essere udito in tutta la città.
Sono nato in un mondo immerso nell’atmosfera e quel colpetto mi ha fatto cominciare a respirare. Da
quel giorno e fino ad oggi sto respirando aria. Di aria in aria, di ossigeno in ossigeno.
Diciannove anni dopo sono rinato spiritualmente. Sono stato salvato per fede, e da allora vivo in
un’atmosfera diversa, vivo nella fede in Cristo – di fede in fede.
La frase: “Come è scritto” fa riferimento ad un versetto che si trova nel libro del profeta Abacuc
2:4 dove leggiamo: “Ma il giusto per la sua fede vivrà.”
E’ interessante sottolineare che questo passo viene riportato in tre grandi epistole del Nuovo
Testamento: Romani, Galati, ed Ebrei. “Il giusto vivrà per fede”.
“Giustificazione per fede”, vuol dire che un peccatore che confida in Cristo non solo viene
perdonato perché Cristo è morto, ma anche che davanti a Dio egli è completo in Cristo.
Essa non implica soltanto “sottrazione” di peccato, ma anche “addizione” di giustizia, come è scritto
in Romani 4:25 “Egli è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra
giustificazione” affinché potessimo comparire davanti a Dio completi in Cristo.
Ma attenzione, l’azione di Dio nella giustificazione per fede non è una decisione che arbitrariamente
ignora la Sua santità e la Sua giustizia.
Dal momento che Egli ci salva per grazia, viene automaticamente escluso alcun merito da parte
nostra. Egli ci salva semplicemente sulla base del fatto che confidiamo in Gesù.
Dio però non aprirà la porta posteriore del cielo lasciando sgattaiolare dentro i peccatori quando è
buio, Egli nella Sua santità e nella sua giustizia giudicherà l’uomo che non avrà ritenuto sufficiente
il sacrificio di Cristo per lui.
Ricorda, Cristo è morto per te, è morto per aprirti la strada. Il Signore Gesù è la strada per il cielo.
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Dal momento che ha subito la punizione per il nostro peccato, la salvezza è nostra solamente
mediante la fede nel suo sangue.
Con queste espressioni l’apostolo Paolo annuncerà nel capitolo 3 quanto abbiamo detto finora
Romani 3:25-26: “Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo
sangue, per dimostrare la sua Giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in
passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua Giustizia nel tempo presente
affinché Egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù.” .
Qui si conclude di fatto l’introduzione della lettera.
A questo punto Paolo apre un nuovo paragrafo in cui rivela che l’uomo è peccatore.
Leggiamo insieme i versetti da 18 a 23 di Romani 1:
L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità
con l’ingiustizia; poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio
manifestato loro; infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono
chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi
sono inescusabili, perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato come Dio, né lo
hanno ringraziato; ma si sono dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d’intelligenza si è
ottenebrato. Benché si dichiarino sapienti, sono diventati stolti, e hanno mutato la gloria del Dio
incorruttibile in immagini simili a quelle dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
Romani 1:18-23
Lo scopo di Paolo in questi versetti non è quello dì dimostrare che l’uomo è un peccatore davanti a
Dio. In effetti, questa verità è quasi universalmente riconosciuta.
Il fatto che il mondo sia colpevole davanti alla santità ed alla giustizia di Dio e che tutti abbiano
bisogno del Suo perdono e della sua Salvezza è scontato.
Anche chi nega l’esistenza di Dio non può negare che l’uomo sia mancante e molto lontano da
quello che è il concetto di Giustizia unanimemente riconosciuto.
Perciò leggere i versetti di Paolo con questa aspettativa farebbe perdere il senso principale del
discorso, il punto della situazione.
Ciò che l’apostolo vuole dimostrare è che, oltre che ad una rivelazione della giustizia di Dio, esiste
anche la rivelazione dell’ira’ di Dio contro il peccato dell’uomo.
Insomma, attraverso questi versetti, ma non solo attraverso di essi, l’ira di Dio si rivela.
In effetti, per sapere esattamente che cos’è la salvezza, dobbiamo sapere quanto è cattivo il peccato.
Il dott. Stifler dice nei suoi scritti che: “Il peccato è la misura della salvezza”
Biblicamente l’ira di Dio è il Suo sentimento nei confronti del peccato, e non la Sua punizione.
Comporta l’esercizio di una volontà personale, ma non implica che vi sia qualcosa di vendicativo o
di capriccioso nella natura di Dio.
L’ira di Dio e’ la Sua santa rabbia.
L’ira è l’opposto della giustizia, ed in questo passo viene usata come suo correlativo.
L’affermazione che l’ira di Dio “Si rivela” è la risposta a coloro che sostengono che il Vecchio
Testamento presenti un Dio d’ira, mentre il Nuovo Testamento un Dio d’amore.
In realtà in entrambi i testamenti c’è una continua rivelazione dell’ira di Dio.
Essa si manifesta anche nella società contemporanea.
Essa e’ il costante e persistente dispiacere di Dio nei confronti del peccato. Egli non cambia.
Egli e’ misericordioso, ma la sua misericordia non si manifesta con qualche forma di indulgenza nei
confronti del peccatore ma attraverso la morte di Cristo.
Il vangelo non ha cambiato l’atteggiamento di Dio nei confronti del peccato; ha reso soltanto
possibile l’accettazione del peccatore.
Sul peccatore ricade comunque la giustizia o l’ira di Dio.
Entrambe sono rivelate dal cielo. E questo lo si vede in ogni campo.
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Il giudizio di Dio si rivela dal cielo quotidianamente ed un giorno egli giudicherà il peccato in
maniera definitiva, e con esso l’uomo che volontariamente ha rifiutato il sacrificio espiatorio del suo
Figliolo Cristo Gesù.
Contro cosa si rivela l’ira di Dio? Paolo ci ricorda che essa si rivela “Contro ogni empietà” –
L’empietà è tutto ciò che va contro Dio, tutto ciò che rinnega il Suo carattere.
Ci sono ad esempio tantissime persone che negano l’esistenza di Dio, e questo significa essere empi.
L’empietà è una condizione dell’anima; è peccato.
Ma l’ira di Dio si rivela anche “Contro ogni ingiustizia” –
Mentre l’empietà è contro Dio, l’ingiustizia è contro l’uomo.
Che cosa significa essere ingiusti? Significa rifiutare le regole di Dio.
E’ l’azione dell’anima. L’uomo che ad esempio si ubriaca, esce per strada, non rispetta le regole
stradali e uccide qualcuno… è ingiusto.
Sta peccando contro gli altri uomini.
Un altro esempio ci viene fornito da colui che è disonesto negli affari. Dio odia l’ingiustizia
dell’uomo. La giudicherà.
Così come giudicherà coloro “Che soffocano la verità con l’ingiustizia”, la frase tradotta significa,
letteralmente, che sopprimono la verità con l’ingiustizia.
L’ira di Dio si rivela anche contro chi commette questo.
L’universo in cui viviamo ci rivela due cose di Dio: la Sua persona e la Sua potenza. E questo è
evidente fin dalla creazione del mondo.
Come si possono vedere le cose invisibili? Paolo fa apposta questo paradosso per imprimere nei
lettori il fatto che “la pallida luce della natura” è una menzogna dell’uomo.
La creazione è una luce brillante della rivelazione.
E’ la rivelazione primaria. Il salmista disse Salmo 8:3. “Quando io considero i tuoi cieli, opera delle
tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte…”
E più avanti Salmo 19:1:”I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l’opera delle
sue mani”
La creazione rivela la potenza immutabile e l’esistenza di Dio. “La sua eterna potenza e divinità”
Paolo disse in Atti 14:17:
” …senza però lasciare sé stesso privo di testimonianza, facendo del bene, mandandovi dal cielo
pioggia e stagioni fruttifere, dandovi cibo in abbondanza e letizia nei vostri cuori.
E siccome tutti noi siamo creature (e non figli) di Dio, Paolo disse Atti 17:29:
“Essendo dunque discendenza di Dio, non dobbiamo credere che la divinità sia simile a oro, argento
o pietra scolpita dall’arte e dall’immaginazione umana”
Il dr. James Denny scrive: “C’è qualcosa nell’uomo che afferra il senso di tutto ciò che un senso non
ha, come per sfociare in una istintiva conoscenza di Dio!”
Penso che la posizione più ridicola che l’uomo possa assumere sia quella di ateo.
Quando il salmista scrisse Salmo 14:1: “Lo stolto ha detto in cuor suo: non c’è Dio”
La parola che sta per ‘stolto’ significa ‘folle’. L’uomo che rinnega l’esistenza di Dio è ‘folle’
Per questo Paolo prosegue dicendo che essi sono inescusabili.
La creazione rivela Dio in un modo così evidente che l’uomo non ha scuse.
Questa sezione rivela le basi storiche del peccato dell’uomo. Esso non fu il frutto dell’ignoranza, ma
una ribellione volontaria all’evidenza.
Se consideriamo poi attentamente i versetti successivi in Romani 1, potremo notare che dal Giardino
dell’Eden in poi l’uomo ha compiuto sette passi in discesa. In essi non esiste qui l’idea dell’uomo che
cammina in salita. Questi versetti contraddicono l’ipotesi dell’evoluzione.
L’uomo non sta migliorando né fisicamente, né moralmente, né intellettualmente, né spiritualmente.
La tendenza è verso il basso.
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Naturalmente questo concetto si scontra anche con tutte le antologie religiose che cominciano con
l’uomo che si trova in una condizione molto primitiva, come l’uomo delle caverne dalle facoltà
intellettive minime, e che si evolve intellettualmente cominciando a guardare verso Dio.
Tutto ciò è falso. L’uomo si sta allontanando da Dio sempre più, e probabilmente oggi è più lontano
di quanto non lo sia mai stato nella storia. In realtà, nella tradizione di tutte le tribù primitive risulta
che all’inizio i loro antenati conoscevano Dio.
Il dr. Vincent in ‘Word Studies in the New Testament’ dice a questo proposito:
“Io credo che possa essere dimostrato che qualunque popolo, perfino il più selvaggio, abbia in
qualche periodo della sua vita, conosciuto più dì quanto abbia fatto: conosciuto abbastanza da
permettergli di andare avanti comodamente, prosperare e svilupparsi, se solo avesse fatto ciò che
nessun uomo fa, cioè tutto quello che sapeva di dovere e di poter fare”.
Nessuno è mai vissuto alla luce di tutto ciò che sapeva. Sebbene avessero una conoscenza di Dio, si
sono allontanati da Lui.
“Non lo hanno glorificato come Dio”, dice Paolo, non gli hanno dato il giusto posto e l’uomo ha
cercato di diventare autosufficiente.
Oggi l’uomo ha annunciato che Dio è morto.
All’inizio l’umanità non riteneva che Dio fosse morto; gli ha semplicemente voltato le spalle facendo
dell’uomo il suo dio. Ma non solo non lo hanno glorificato, non lo hanno neanche ringraziato.
L’ingratitudine è uno dei peccati peggiori.
Ricorderete che Gesù guari dieci lebbrosi, ma solo uno di essi tornò indietro per ringraziarlo.
Solo il dieci per cento fu riconoscente. Io credo che oggi la percentuale sia perfino inferiore.
“Sì sono dati a vani ragionamenti”. Si sono perfino inventati una teoria dell’evoluzione.
“Il loro cuore privo di intelligenza si è ottenebrato”. Si sono trasferiti nelle tenebre del paganesimo.
Per rendersi conto di questo basta riflettere sulla nostra società contemporanea.
“Benché si dichiarino sapienti, sono diventati stolti”. La saggezza dell’uomo è stoltezza per Dio.
L’uomo ricerca la verità attraverso i ragionamenti logici, ma giunge a una filosofia che è stolta agli
occhi di Dio. Nel nostro studio della Parola di Dio nell’epistola ai Romani stiamo analizzando
insieme a Paolo i risultati della ribellione dell’uomo a Dio.
Nei restanti versetti di Romani 1 è detto tre volte che Dio li ha abbandonati.
Leggiamoli insieme:
Per questo Dio li ha abbandonati all’impurità, secondo i desideri dei loro cuori, in modo da
disonorare fra di loro i loro corpi; essi, che hanno mutato la verità di Dio in menzogna e hanno
adorato e servito la creatura invece del Creatore, che è benedetto in eterno. Amen. Perciò Dio li ha
abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l’uso naturale in quello che è
contro natura; similmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono
infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri commettendo uomini con uomini atti infami,
ricevendo in loro stessi la meritata ricompensa del proprio traviamento. Siccome non si sono curati
di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è
sconveniente; ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d’invidia, di omicidio,
di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi,
vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati.
Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte,
non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette.
Romani 1:24-32
La degenerazione dell’uomo si può misurare anche in base alla sua perversione sessuale.
Ci sono molte chiese oggi che appoggiano la perversione sessuale, invece di condannarla, ma Dio
dice che li ha abbandonati.
L’idolatria e l’immoralità indecente sono i frutti più amari del rifiuto della rivelazione divina.
18
E’ importante ricordare che Dio era ed è sempre pronto ad accettare un peccatore pentito, ma ciò non
rende giusto il peccato in quanto tale.
L’omosessualità sia maschile che femminile, ad esempio, è chiaramente condannata dalla Parola di
Dio che la classifica come un “abominio davanti all’eterno”.
Essa così come tutti gli altri peccati qui elencati sono il frutto dell’allontanamento dell’uomo da Dio,
del rifiuto cosciente della sua autorità e della ribellione ad essa.
“Dio li ha abbandonati” significa letteralmente “Dio li ha consegnati” – è un atteggiamento
positivo, non passivo. Essi “Che hanno mutato la verità di Dio in menzogna”.
In altre parole, hanno voltato le spalle a Dio e si sono rivolti a Satana, l’autore della menzogna e
padre dell’idolatria. Un tipo di idolatria che li ha condotti nelle profondità più basse del degrado
morale. Si tratta di passioni che riguardano il disonore, la vergogna e la depravazione.
Quando la perversione è entrata nella vita dei greci, la Grecia è decaduta.
Oggi la sua gloria è completamente svanita. Perché? Perché questi erano i suoi peccati.
Chiunque venga a dirmi che si può essere figli di Dio e allo stesso tempo vivere nella perversione,
nel fango melmoso del permissivismo contemporaneo, non fa altro che prendere in giro sé stesso.
Solo se andrà a Cristo, potrà ottenere la liberazione. I versetti poi che vanno dal 29 al 31 dicono:
ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di contesa, di
frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi,
ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati.
Romani 1:29-31
Questi versetti forniscono uno spaventoso elenco di peccati che sono la conseguenza della ribellione
dell’uomo a Dio, essi sono lo specchio di ciò che l’umanità commette anche ai nostri giorni.
E questa è la condizione dell’uomo, non al Cairo, o a Calcutta, o nel cosiddetto terzo mondo, ma
nelle nostre città, in ogni angolo del mondo.
Qualcuno di noi può dire in tutta coscienza di non rientrare in questa descrizione?
Forse qualcuno illude se stesso con questa convinzione, ma la parola di Dio ed in particolare i
capitoli che seguiranno dimostreranno abbondantemente il contrario.
Allora la domanda di Paolo e della Parola di Dio a tutti noi è:
Quanto ancora Dio potrà tollerare questa situazione ed essere paziente?
Ricordiamoci che nel passato Egli ha giudicato grandi nazioni che si muovevano in questa
direzione.
L’uomo ha ricevuto una rivelazione da parte di Dio, ma si compiace di sé stesso, sfidando il giudizio
di Dio su questi peccati. Continua a praticarli e approva coloro che fanno lo stesso.

Da crc
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1° GIOVANNI CAP 1

1° GIOVANNI 1
Introduzione
Alcuni studiosi della Bibbia considerano l’epistola di Giovanni come l’ultimo libro della Bibbia
scritto. Certamente le epistole di Giovanni sono le ultime cose che egli scrisse.
Sono chiamate lettere; eppure la prima epistola non è scritta in forma o con lo stile di una lettera,
infatti non c’è saluto all’inizio e nemmeno alla sua conclusione.
Il suo stile è più quello di un sermone.
Ha tutte le qualità del messaggio di un predicatore devoto, che ama, e si preoccupa per un particolare
gruppo di credenti.
Giovanni serviva come anziano o pastore della chiesa di Efeso, che fu fondata da Paolo.
Nella chiesa si è creduto per molti anni che Giovanni scrisse prima il suo Vangelo, poi le sue
epistole, e infine l’Apocalisse, proprio prima della sua morte.
Ad ogni modo, in anni recenti alcuni di noi sono giunti alla convinzione che Giovanni scrisse le
epistole per ultime.
Quindi, scrisse le sue epistole dopo la sua prigionia sull’isola di Patmos. Questo le pone nell’anno
100 circa dopo Cristo. Giovanni morì ad Efeso e fu seppellito lì. La basilica di San Giovanni fu
costruita sopra la tomba di Giovanni da Giustiniano, nel quinto secolo.
Per capire la prima epistola di Giovanni dobbiamo sapere qualche cosa sulla città di Efeso all’inizio
del secondo secolo.
Era molto simile alla tua città o al tuo paese oggi.
C’erano quattro fattori importanti che prevalevano ad Efeso, e in tutto il mondo Romano:
1°) C’era una semplice familiarità con il cristianesimo.
Molti dei credenti erano figli e nipoti dei primi cristiani. Lo splendore iniziale fresco e luminoso
della fede cristiana era sbiadito. La novità se ne era andata. Il brivido e la gloria dei primi giorni si
era dileguato. Oh, quanto era stato eccitante essere un credente in quei giorni, quando Paolo era
venuto in paese e aveva sfidato Diana degli Efesini!
L’intero paese era stato in subbuglio.
In Atti 19 leggiamo degli effetti della predicazione nella sinagoga di Efeso, e anche l’impatto della
sua lezione giornaliera alla scuola di Tiranno per due anni.
Quanto era fervente il loro amore e lo zelo per Cristo, in quei giorni.
Ma molti anni dopo, quando il Signore Gesù Cristo mandò una lettera ai credenti di Efeso, tramite
Giovanni, mentre questi era in esilio sull’Isola di Patmos, disse Apocalisse 2:4:
“Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore”.
Era come Gesù aveva avvisato molti anni prima, Matteo 24:12 “…poiché l’iniquità aumenterà,
l’amore dei più si raffredderà”.
La devozione degli Efesini e la dedizione a Cristo era in declino.
2°) Gli alti standard della “cristianità!” resero i cristiani diversi, ma i figli e i nipoti dei primi
cristiani non volevano essere diversi.
I credenti venivano chiamati “santi”; il significato primario della parola è “messo da parte” per uso
esclusivo di Dio, quello “che appartiene a Dio.”
I vasi e gli utensili nel tempio erano chiamati santi, in quanto erano usati per il servizio reso a Dio.
Il tempio era santo; il Sabato era santo. Ora i Cristiani dovevano essere santi – diversi, messi a parte
per il servizio a Dio.
Ma gli Efesini erano diventati cristiani da catena di montaggio, programmati dal computer dei
compromessi. Erano diventati cristiani di plastica. Erano fatti da uno stampino diverso da quello dei
discepoli ai quali Gesù aveva detto, Giovanni 15:19 “Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello
2
che è suo; poiché non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, perciò io ho scelto voi
in mezzo al mondo, perciò il mondo vi odia” .
E anche nella Sua preghiera a Suo Padre vi sono queste parole Giovanni 17:14: “Io ho dato loro la
tua parola; e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo”.
C’era un cedimento dell’etica giudeo – cristiana ed una indifferenza verso gli standard della Bibbia.
3°) La persecuzione non era il nemico della Cristianità.
Il pericolo per la chiesa di Efeso non era la persecuzione dal di fuori ma la seduzione dall’interno. Lo
stesso Signore Gesù li aveva avvisati di questo Matteo 24:24: “Perché sorgeranno falsi cristi e falsi
profeti, e faranno grandi segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti”
E l’apostolo Paolo aveva detto agli anziani di Efeso Atti 20:29-30: “Io so che dopo la mia partenza
si introdurranno fra di voi lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge; e anche tra voi stessi
sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli”.
La cristianità non era in pericolo di distruzione; era in pericolo di mutamento.
Si stava provando a migliorarla, a darle rispettabilità intellettuale, e farla parlare nei termini della
filosofia popolare.
4°). infine: lo gnosticismo era il vero nemico del cristianesimo e, amico/ amica, lo è ancora. Lo
gnosticismo era la base filosofica dell’Impero Romano.
Lo gnosticismo prese diverse forme. Ad ogni modo, un principio primario passava per questa
filosofia: le cose materiali erano essenzialmente qualcosa di male; solo lo spirito era buono.
Tutto il mondo materiale era considerato del maligno.
Per questo lo gnosticismo disprezzava il corpo. Essi affermavano che nel corpo c’era lo spirito, come
un seme nella terra sporca.
Lo stesso principio è nel liberalismo moderno oggi, che sostiene che c’è un po’ di buono in tutti e
che ogni persona deve sviluppare quella scintilla di buono. Gli gnostici cercavano di far crescere il
“seme”, lo spirito in loro, e cercavano di liberarsi del male che è il corpo.
C’erano due metodi estremi per adempiere questo, praticati dagli Stoici e dagli Epicurei. L’incontro
dell’apostolo Paolo con queste due sette è riportato in Atti 17:18:
“E anche alcuni filosofi epicurei e stoici conversavano con lui. Alcuni dicevano: “Che cosa dice
questo ciarlatano?” E altri: “Egli sembra essere un predicatore di divinità straniere”; perché
annunziava Gesù e la resurrezione.”
Gli stoici erano discepoli di Zeno, ed il loro nome veniva dal portico dipinto di Atene, dove Zeno
insegnava. Erano panteisti che sostenevano che l’uomo saggio avrebbe dovuto essere libero da
passioni, non colpito da gioia o rabbia, e sottomessi alla legge naturale.
Osservavano regole rigide e di auto – disciplina.
Gli Epicurei presero il loro nome da Epicuro che insegnava ad Atene.
Essi accettarono le divinità greche del monte Olimpo. Consideravano il piacere piuttosto che la
verità come lo scopo della vita. Originalmente essi cercavano soddisfazione e gratificazione
intellettuale, non sensuale; ma più tardi insegnarono ai loro seguaci il soddisfare i desideri del corpo
in modo che non se ne sarebbero più preoccupati.
C’erano tante sfumature e differenze tra i due estremi dello Stoicismo e dell’epicureismo, ma tutti
rinnegavano Gesù come Messia.
Io credo che Giovanni avesse in mente loro quando scrisse, in 1°Giovanni 2:22:”Chi è il bugiardo
se non colui che nega che Gesù è il Cristo? Egli è l’anticristo, che nega il Padre e il Figlio.”
Essi rinnegavano l’incarnazione, facendo il ragionamento che Dio non avrebbe potuto prendere un
corpo umano, in quanto tutta la carne è malvagia.
Per questo Giovanni dichiarò distintamente Giovanni 1:14: “E la parola è diventata carne e ha
abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre”.
3
E nell’Epistola scrisse: da questo conoscete lo Spirito di Dio: ogni spirito, il quale riconosce
pubblicamente che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; e ogni spirito che non riconosce
pubblicamente Gesù, non è da Dio, ma è lo spirito dell’anticristo.
Voi avete sentito che deve venire; e ora è già nel mondo. 1° Giovanni 4:2-3
Lo gnosticismo considerava l’incarnazione impossibile, in quanto Dio non poteva unirsi con niente
di malvagio come il corpo. Insegnava che sembrava solo che Gesù avesse un corpo, ma di fatto non
lo aveva. Per esempio, quando camminava non lasciava impronte.
Cerinthus era più sottile nel suo insegnamento. Egli dichiarò che c’era sia un Gesù umano che un
Cristo divino; questa divinità scese su di Lui al Suo battesimo e lo lasciò alla croce.
Infatti, il “Vangelo di Pietro”, che è un libro apocrifo, traduceva le parole di Gesù sulla croce così:
“Forza mia, forza mia, perché mi hai abbandonato?”
I padri della chiesa primitiva avevano combattuto questa eresia e dichiararono che “Egli divenne
quello che noi siamo per farci diventare quello che Lui è”.
È mia ferma opinione che Giovanni scrisse questa epistola per rispondere agli errori dello
gnosticismo.
Effettivamente c’è uno scopo diviso in cinque parti espresso in 1°Giovanni:
1°) “…perché voi pure siate in comunione con noi 1:3
2°) e,… con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo” 1:4,
3°) “perché la nostra gioia sia completa;” 2:1,
4°) “Perché non pecchiate” 5:13,
5°) “perché sappiate che avete la vita eterna” e 5:13, “che credete nel nome del Figlio di Dio”.
La 1°Giovanni è stata chiamata il luogo santo del Nuovo Testamento, perché porta il figlio di Dio
oltre la soglia nella comunione della casa del Padre.
Tutte le altre epistole sono epistole di chiesa, ma questa è un’epistola di famiglia e dovrebbe essere
trattata in tale modo.
La chiesa è un corpo di credenti e siamo benedetti come ci dice Efesini.1:3: “… ci ha benedetti di
ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo”.
Ci viene data questa posizione quando crediamo nel Signore Gesù Cristo. Credere nel Signore Gesù
ci porta nella famiglia di Dio.
Nella famiglia abbiamo una relazione che può essere danneggiata, ma restaurata 1°Giovanni 1:9
“Quando confessiamo i nostri peccati“egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da
ogni iniquità”.
Sono convinto che quest’epistola sia più importante per i credenti nella chiesa che le epistole dirette
alla chiesa. Quando ci si muove in questo libro meraviglioso, si vede crescere la Chiesa.
I credenti hanno bisogno di certezze, e in questa lettera troveremo delle certezze riguardo a Dio e a
Cristo: i motivi, la causa della sua venuta – l’amore – e il suo scopo di togliere i peccati.
Rafforzeremo anche la certezza sulla nostra situazione di cristiani. Giovanni ci dirà che sappiamo
che siamo in Lui – che dimoriamo in Lui ed Egli in noi, poi che siamo da Dio in quanto siamo della
verità, e poi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, che abbiamo perciò la vita eterna.
Essere un cristiano per Giovanni vuol dire essere nato da Dio, conoscerlo, essere in Lui, godere
dell’intima comunione personale con Lui che è la vita eterna.
Giovanni dichiara che lo scopo del suo scritto è spiegare che coloro che credono possono anche
sapere. Non dobbiamo quindi avere dubbi sul nuovo rapporto che abbiamo con Dio.
Questa certezza, darà al credente l’audacia e la franchezza nel suo rapporto con Dio attraverso la
preghiera. E’ quindi molto importante capire questo piccolo libro.
In 1°Giovanni ci sono tre definizioni di Dio: Dio è luce, Dio è amore, e Dio è vita, ed io ho usato
queste espressioni per formare le tre maggiori divisioni di quest’epistola.
Ve li enuncio.
Prima cosa : Dio è Luce.
4
Possiamo vedere come i Figlioli possono avere comunione con Dio camminando nella Luce,
confessando i peccati e con l’intercessione di Cristo come avvocato.
Seconda cosa: Dio è Amore
E vedremo come i figli possono avere comunione l’uno con l’altro, non devono amare il mondo,
possono conoscersi e vivere insieme. Esamineremo l’amore del Padre per i Suoi Figli, come
agiscono le due nature del credente, l’avvertimento contro i falsi insegnanti e, siccome Dio è Amore,
i figli si ameranno.
Terza cosa, Dio è Vita.
Vedremo la vittoria sul mondo e la sicurezza della salvezza.
1°GIOVANNI 1
Passiamo quindi a considerare il primo capitolo il cui soggetto è: Dio è luce.
Sotto l’ampio titolo, Dio è Luce, vediamo prima il prologo di quest’epistola, poi vedremo come i
“figlioli” – così Giovanni chiama i credenti – possono avere comunione con Dio.
Come ho menzionato nell’Introduzione, Giovanni ha scritto per confutare la prima eresia che sorse
nella chiesa, lo gnosticismo.
Gli gnostici avevano una grandissima conoscenza. Essi accettavano la deità di Gesù ma rinnegavano
la sua umanità. Notate come Giovanni presenterà il vero gnosticismo, cioè la vera conoscenza di
Dio.
Iniziamo dal PROLOGO – versetto 1
Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel
che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola della vita
1 Giovanni 1:1
“Quel che era dal principio”. Di che inizio sta parlando Giovanni?
Nelle Scritture ci sono tre principi, due dei quali ci sono molto familiari.
 Il primo si trova in Genesi 1:1: “Nel principio Dio creò i cieli e la terra”.
Questo è un principio senza data. Non sappiamo quando Dio abbia creato i cieli e la terra. Potremmo
leggere libro dopo libro, volume dopo volume, quanto scritto sulla domanda che nasce dal primo
capitolo della Genesi.
Se si mettessero tutti uno in cima all’altro, sono sicuro che raggiungerebbero almeno la cima di un
palazzo. Ma sono convinto che non ci sia nessun teologo o nessuno scienziato che abbia alcuna idea
sul quando Genesi 1:1 abbia effettivamente avuto luogo.
Mi dicono che oggi ci sono degli scienziati cristiani che sostengono che la terra sulla quale viviamo
non sia vecchia come la scienza del passato diceva che fosse.
Molti anni fa si stimava che la terra avesse tra i 3 e i 700.000 anni. Poi la scienza iniziò a parlare in
milioni di anni. Dopo ancora si arrivò a stimare che la terra avesse 2 milioni e mezzo di anni, poi si
parlava di un bilione.
Ora alcuni scienziati si stanno allontanando dalle datazioni più lontane della terra e stanno ponendo
una data più recente.
Bene, Genesi 1:1 andrebbe bene in entrambe le teorie, in una nuova terra o una vecchia terra, in
quanto non è datato.
Tutto quello che Genesi 1:1 dichiara è che Dio creò i cieli e la terra. Fino a quando tu non sarai
pronto ad accettare questo fatto, non sei pronto a leggere oltre nella Parola di Dio, in quanto il resto
della Bibbia si basa su questo primo verso. Dio creò questo universo o è stato un caso? É ridicolo
pensare che l’universo si creò per caso.
Come ha detto qualcuno “La probabilità che la vita si sia originata per caso, è paragonabile alla
probabilità del formarsi di un dizionario in seguito ad un’esplosione della tipografia.”
Amico/ amica, c’è un’intelligenza dietro all’universo nel quale tu ed io viviamo.
5
Tornando alla data dell’inizio, non la conosciamo; ma se hai bisogno di un paio di miliardi di anni
per farlo stare nei tuoi schemi di interpretazione, va bene perché abbiamo a che fare con un Dio di
eternità. Dio ha l’eternità dietro di Lui. Anche se non so cosa Egli stesse facendo prima di creare i
cieli e la terra, so che Egli stava facendo qualche cosa.
Poi Dio creò i cieli e la terra, e lo fece con uno scopo. Sta mettendo a punto un piano nel Suo
universo oggi che è più grande di quanto una mente umana possa capire.
Quando Dio registrò il Suo atto di creazione, non stava cercando di darci uno studio in geologia. Ad
ogni modo, mise molte rocce intorno in modo che tu possa guardarle se sei interessato a cercare di
scoprire una data.
Vi è un secondo principio che troviamo nella Parola di Dio.
È scritto in Giovanni.1:1: “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era
Dio.” Egli aggiunge: “Essa era nel principio con Dio.”
Poi ci è parlato dell’atto della creazione che dice: Giovanni 1:1-3:
“Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta” .
Amico/ amica, vai indietro più che puoi, oltre la creazione, indietro bilioni e trilioni di anni, e
dall’eternità viene il Signore Gesù Cristo. Anche a quei tempi Lui era già nel passato remoto.
Nota che Giovanni ha scritto, “Nel principio era (non è) la Parola.” In altre parole, questo è un
principio che non ha inizio in quanto Egli non ha inizio. “Nel principio era la Parola” significa che
puoi andare indietro nel passato quanto vuoi, mettere giù il tuo paletto dove vuoi, e Dio viene
dall’Eternità per incontrarti.
Questo è grande; è più grande di quanto la mia mente possa comprendere. Sono incapace di capirne
l’immensità fino a che giungo a Giovanni 1:14: “E la Parola è diventata carne…” Questo mi porta
indietro a Betlemme dove Egli nacque, e comincio a capire quel tempo.
 Il terzo principio è quello con il quale abbiamo iniziato in 1° Giovanni 1:1 –
”Quel che era dal principio”, che si riferisce al tempo in cui Cristo venne in questo mondo, a
Betlemme. Quando aveva circa 30 anni, Giovanni lo conobbe. Giovanni e suo fratello Giacomo,
Lo conobbero a Gerusalemme.
Più tardi erano con loro padre e riparavano le reti, quando Gesù passò e li chiamò perché lo seguisse.
Essi lasciarono loro padre e seguirono Gesù.
Ora Giovanni dice, voglio parlarti di Lui, ed egli asserisce la realtà dell’intera personalità di Gesù:
1°) “Quel che abbiamo udito”;
2°) ”abbiamo visto”;
3°) “abbiamo contemplato”;
4°) ”e le nostre mani hanno toccato”.
Giovanni, ovviamente, sta parlando dell’incarnazione di Gesù e della sua vicinanza a Lui quando
Egli era qui sulla terra.
“Quel che abbiamo udito”. Giovanni non sta chiacchierando sulle sue opinioni e le sue speculazioni.
Sta parlando del fatto che ha sentito il Signor Gesù, ha sentito la Sua voce, e che quando Lo ha
ascoltato, ha ascoltato Dio.
“Quel che abbiamo visto con i nostri occhi”. Gli apostoli non solo Lo avevano sentito parlare, ma
Lo avevano anche visto con i loro occhi.
Ai giorni nostri non possiamo vederlo con i nostri occhi fisici, ma possiamo vederlo con l’occhio
della Fede. Pietro ci disse 1°Pietro 1:8 “Benché non Lo abbiate visto, voi lo amate; credendo in Lui,
benché ora non Lo vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa” .
Ed il Signore Gesù disse a Tommaso, il quale disse che non avrebbe creduto che Lui fosse risorto
fino a che non avrebbe potuto vederlo e toccarlo, Giovanni 20:29 “…Perché mi hai visto, tu hai
creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” .
Noi oggi camminiamo per fede, e il Signore può esserci reso reale quanto lo era per Tommaso.
6
“Quel che abbiamo contemplato.” La parola contemplare viene dalla parola greca dalla quale viene
la nostra parola teatro, e che significa “fissare lo sguardo attentamente su”.
Il teatro è un luogo dove ti siedi e guardi, non solo con uno sguardo di sfuggita ma in
contemplazione, una contemplazione fissa, per un paio d’ore. Giovanni sta dicendo che per tre anni
essi contemplarono Gesù.
Fu Giovanni che scrisse Giovanni 3:14, “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna
che il Figlio dell’uomo sia innalzato”..
Durante la marcia nelle zone selvagge, la gente che era stata morsa dai serpenti doveva guardare, per
la guarigione, quel serpente di ottone che era stato eretto su un palo.
Giovanni lo sta applicando al Signore Gesù, e sta dicendo che ora dobbiamo guardare a Lui in fede,
per avere la salvezza. Dopo che lo abbiamo fatto, Lo dobbiamo contemplare, e lo faremo
nell’epistola. Il guardare, salva; il contemplare, santifica. Giovanni1:14 scrisse nel suo vangelo, “E
la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità”
Molti di noi hanno bisogno di fare più che guardare verso di Lui per la salvezza.
Abbiamo bisogno di passare del tempo contemplandolo con l’occhio della fede.
“Le nostre mani hanno toccato”. Giovanni dice che essi fecero più che contemplarlo da lontano;
essi Lo toccarono. Giovanni stesso si inclinò sul suo petto nella stanza dove festeggiarono la Pasqua.
Parlando ai Suoi dopo la Sua resurrezione, Egli disse Luca 24:39-40, “Guardate le mie mani e i
miei piedi, perché sono proprio io; toccatemi e guardate; perché un fantasma non ha carne e ossa
come vedete che ho io. E, detto questo, mostrò loro le mani e i piedi.” .
Un commentatore dice che, quando il Signore Gesù allungò la Sua mano a Tommaso e agli altri
discepoli, essi erano così sorpresi che non lo toccarono. Invece si inginocchiarono riverenti.
Questa sarebbe la cosa normale da fare, ma Giovanni dice chiaro che essi toccarono il Signore.
L’avranno toccato anche prima della sua morte e resurrezione.
Ma quando Giovanni dice che essi Lo toccarono, io penso che egli intende che essi toccarono le Sue
mani e sfiorarono le impronte dei chiodi, il che li convinse che Egli era Dio fatto uomo, la Parola è
diventata carne, Dio è manifestato nella carne.
Dopo la morte di Paolo, nel 67 DC circa, sorse nella chiesa l’eresia chiamata gnosticismo, esso è
l’opposto dell’agnosticismo. L’agnosticismo sostiene che la realtà di Dio è sconosciuta e
probabilmente non si conoscerà mai.
Ci sono molti agnostici ai nostri giorni, come ben saprai. Charles Spurgeon diceva che agnostico non
è altro che la parola greca per ignorante. Così uno potrebbe dire, “Io non credo nella Bibbia, perché
sono un ignorante”. Lo gnostico invece dice, “Io so.” Gli gnostici erano un gruppo che entrò nella
chiesa asserendo di avere una conoscenza superiore, che i semplici cristiani non avevano.
Si consideravano dei super santi, che sapevano più di tutti gli altri.
Gli gnostici vennero con parecchie nuove idee, delle quali ho parlato più dettagliatamente
nell’introduzione.
Uno dei loro insegnamenti eretici era che Gesù fosse solamente e semplicemente un uomo, quando
nacque. Era proprio come un qualsiasi altro essere umano al tempo della nascita, ma al Suo
battesimo, lo Spirito scese su di Lui in quanto era il Messia, e quando era appeso alla croce, lo
Spirito lo lasciò. Giovanni rifiuta questo insegnamento non in termini incerti, quando dice nel
resoconto del suo Vangelo, “La Parola fu fatta carne”. E qui, nella prima epistola, egli dichiara con
enfasi che dopo che Gesù tornò dai morti, Egli era ancora un essere umano. In poche parole
Giovanni dice, “Noi lo abbiamo toccato, Egli era ancora carne ed ossa.” Vedi, Giovanni non sta
parlando di una teoria. Sta parlando di Qualcuno che lui ha sentito, ha visto e ha toccato.
Concludiamo questa descrizione leggendo i versetti 2 e 3 di Giovanni 1
(poiché la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi
annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata), quel che abbiamo visto e
7
udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi; e la nostra
comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. 1 Giovanni 1:2-3
“Poiché la vita è stata manifestata.” Cioè, la vita è stata portata allo scoperto, dove l’uomo la
potesse vedere. Giovanni sta parlando della Parola di Vita, il Signore Gesù Cristo, come abbiamo
visto nel versetto 3.
Una volta una persona chiese ad un predicatore: “Hai parlato di vita eterna. Cos’è la vita eterna?
Mi piacerebbe sapere cosa sia la vita eterna.” Così lui gli citò questo verso: e vi annunziamo la vita
eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata.
Poi gli disse, “La vita eterna di cui sta parlando Giovanni non è altro che Gesù Cristo. Se vuoi una
definizione, vita eterna è una Persona, e quella Persona è Cristo. È così semplice che chiunque lo
può capire. Tu o hai Cristo o non Lo hai. O ti fidi di Cristo, o non ti fidi di Cristo. Se ti fidi di Cristo
hai vita eterna. Se non ti fidi di Cristo non hai vita eterna. Ora, visto che questa è la vita eterna, tu
hai vita eterna?” Egli si girò e se ne andò senza rispondere, evidenziando il fatto che egli non aveva
la vita eterna, e non continuò più sul discorso.
Poi Giovanni dice qualche cosa di meraviglioso. Ci dice come avere comunione con Dio! Una delle
più gloriose prospettive davanti a noi oggi, è che tu ed io possiamo avere comunione con Dio.
Ripete: “Quel che abbiamo visto e udito”; questa è la terza volta che lui ha detto questo, e dovrebbe
essere chiaro nella nostra mente.
Perché, Giovanni, stai ripetendo questo? “Perché voi pure siate in comunione con noi.” Sta dicendo
che i credenti possono avere comunione l’uno con l’altro.
“E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio Suo, Gesù Cristo”. Come potrai avere
comunione con Dio? Ecco un dilemma. Dio è santo. L’uomo non è santo.
Come si può formare un ponte su questo divario?
Come puoi unire Dio e l’uomo o, come lo dice il profeta Amos.3:3,
“Due uomini camminano forse insieme, se prima non si sono accordati?”.
Come avremo comunione? Per scavalcare questo ostacolo apparentemente impossibile, Giovanni
presenterà tre metodi. Due di questi sono metodi ideati dall’uomo, l’altro è il metodo di Dio.
Prima che ci addentriamo nei metodi per scavalcare gli ostacoli verso Dio, lasciami dire due parole
sulla comunione.
Comunione è il greco “koinonia”, e significa “avere in comune o dividere con”.
Comunione cristiana significa condividere le cose di Cristo e per fare questo, dobbiamo conoscere il
Signore Gesù – non solo sapere qualcosa di Lui, ma conoscerlo come personale Salvatore.
Ai giorni nostri abbiamo perso il vero significato della parola comunione. Per molti avere
comunione vuol dire frequentare lo stesso ambiente, fare dei pasti insieme, parlare di tante cose,
avere interessi in comune, cantare la stessa canzone.
Un esempio più vicino alla realtà è quello degli studiosi, che si siedono attorno a un tavolo per
condividere le cose che riguardano un certo argomento di lavoro, una certa persona.
Ora comunione per i credenti significa che ci incontriamo e condividiamo le cose di Cristo. Parliamo
insieme del Signore Gesù Cristo e della Sua Parola.
Questo è il tipo di comunione di cui sta parlando Giovanni quando dice, “perché voi pure siate in
comunione con noi; e la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo”.
Questa comunione è il significato della vita eterna. Come il figlio, che è la vita eterna, era
eternamente col Padre, così noi possiamo avere comunione con loro – Padre e Figlio- e gli uni con gli
altri. La comunione indica la partecipazione comune alla grazia di Dio, che è la salvezza che ci ha
dato Cristo, e la continua presenza in noi dello Spirito Santo.
A farci essere uno è il fatto che siamo tutti di proprietà di Dio, Padre Figlio e Spirito Santo.
La nostra comunione gli uni con gli altri, come credenti, nasce e dipende dalla nostra comunione con
Dio. Gesù aveva espresso questo desiderio nella sua preghiera al Padre: ‘…che siano tutti uno… che
anch’essi siano in noi”. Perché Giovanni dice queste cose?
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Lo leggiamo al versetto 4 di 1 Giovanni 1:
Queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia completa.
1 Giovanni 1:4
Ora questo è il secondo motivo per cui scrive l’epistola:
“Perché la nostra gioia sia completa”. Quanto è meraviglioso avere gioia! non solo una piccola
gioia ma grande gioia perché stiamo sperimentando comunione. Koinonia a volte si riferisce all’atto
della Santa Cena: dare è un atto di comunione, e pregare è un atto di comunione.
Ma in questo capitolo Giovanni sta parlando dell’esperienza della comunione, come quella che Paolo
aveva in mente quando scrisse, Filippesi.3:10 “ Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la
potenza della sua resurrezione, la comunione delle sue sofferenze…” .
Amico/ amica, l’obiettivo ultimo nel predicare è che, tramite la convinzione e il ravvedimento,
uomini e donne possano venire alla salvezza e che possa portare grande gioia ai loro cuori, come
l’eunuco etiope che venne a Cristo con l’aiuto di Filippo.
Non continuò il suo viaggio proclamando che bravo predicatore Filippo fosse stato; proseguì per la
sua via con gioia! Perché? Perché aveva conosciuto Cristo.
Lo scopo dell’epistola di Giovanni è che tu ed io possiamo condividere queste cose meravigliose di
Cristo, che lo Spirito di Dio possa rendere reale a noi il Signore Gesù ed il Padre in un modo tale che
la nostra comunione possa essere piacevole.
Ora torniamo al problema che ho menzionato precedentemente.
Giovanni disse che egli aveva scritto queste cose in modo che possiamo avere comunione e che la
nostra gioia possa così essere completa, e la nostra gioia sarebbe naturalmente completa se
potessimo avere comunione con Dio. Ad ogni modo, c’è un ostacolo da superare.
Giovanni è messo a confronto con un vero dilemma che ogni figlio di Dio riconosce.
La stessa possibilità che ha l’uomo di avere comunione con Dio, è una della più gloriose aspettative
che abbiamo, ma immediatamente le nostre speranze cadono quando ci troviamo davanti a questo
dilemma: versetto 5 di Giovanni
Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che vi annunziamo: Dio è luce, e in lui non ci sono
tenebre.
1 Giovanni 1:5
“Dio è luce, e in lui non ci sono tenebre” significa che Dio è santo, e sappiamo che l’uomo non è
santo, quindi come si può avere un ponte sopra lo stretto, tra un Salvatore meraviglioso e tu
personalmente? Che grande differenza c’è! L’abisso tra noi è profondo. Come possono essere messi
insieme Dio e l’uomo? Infatti l’invocazione descritta in Giobbe.9:33 era per avere un arbitro che
potesse mettere la sua mano su Giobbe e su Dio, e riunirli.
Tramite Isaia.55:8. Dio disse, “Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri…”
Come camminerà con Dio un uomo peccatore?
Giovanni ci dice che Dio è luce. Questa infatti è una definizione di Dio. Ma come avremo mai
comunione con Dio? Sembra che dovremo fare una di queste due cose, o dovremo portare Dio giù al
nostro livello, o dovremo portare l’uomo su, al livello di Dio.
Nessuna di queste può essere fatta, ma ugualmente gli uomini ci hanno provato.
Giovanni espone che avevano realmente sentito la voce di Gesù, lo hanno visto con i loro occhi, lo
hanno contemplato e lo hanno toccato con mano.
Questo parla di incontro intimo con Gesù, non un incontro fugace o a distanza.
Ed è questo che ora annunciano ad altri, di questa comunione che si può avere con Gesù.
Come possiamo superare l’ostacolo ed avvicinarci a Dio?
Vediamo meglio cosa significa che Dio è luce.
La scienza moderna, afferma di non essere proprio sicura di ciò che sia la luce.
È energia o è materia? Cos’è la luce? Oh, la sorgente di luce è una cosa, ma quando accendi la luce
nella tua stanza, l’oscurità nell’angolino diventa luce. Cos’è successo? Cos’è che è avvenuto lì
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nell’angolo e ha fatto sparire l’oscurità? Perché quando la sorgente di luce lì sul soffitto si spegne,
l’oscurità ritorna nell’angolo? Cosa è luce?
Beh, quando Giovanni dice che Dio è luce, sta rivelando molte sfumature sulla persona di Dio.
Anche se non ricopre l’intero spettro degli attributi di Dio, dice molto su di Lui.
Prima di tutto, la luce parla di gloria, di splendore, di bellezza, e di meraviglie di Dio.
Hai visto il cielo d’estate, quando il sole sale su, come una fiammata di gloria?
Due amici erano accampati per passare la notte in un campeggio in alta montagna. Era un luogo
bello, avevano passato la notte in sacchi a pelo, e uno di loro racconta:
“Quando mi svegliai la mattina seguente, il mio amico era lì in piedi, che guardava l’inizio
dell’alba. Gli chiesi cosa stesse facendo sveglio così presto, e fece un’affermazione: “Sto guardando
Dio creare un nuovo giorno.” Oh quale emozione era essere lì e osservare Dio creare un nuovo
giorno!
All’improvviso il sole apparve sopra l’orizzonte, e venne su come marciando in una fiammata di
gloria. Devo confessare che divenne abbastanza caldo più tardi durante la giornata, ma che aurora
stupenda era stata! Dio è luce. Oh, la bellezza, lo splendore e la gloria di Dio!
Un altra caratteristica della luce è che può essere vista, ma si diffonde da sola. Illumina l’oscurità.
É rivelante. Mi lascia vedere le mie mani, ho toccato libri, e vedo che una delle mie mani è sporche,
e dovrò andare a lavarla. Se non fosse stato per la luce, non avrei visto lo sporco.
La luce rivela mancanze e impurità.
Un poeta lo espresse in questo modo:
I nostri pensieri sono aperti alla tua vista e nudi al tuo sguardo; i nostri peccati segreti sono nella
luce del tuo puro volto.
Come dire: “Un peccato segreto quaggiù, è scandalo aperto in cielo.” I nostri peccati sono proprio lì
davanti a Lui, perché Dio è luce.
La luce parla anche della bianca purezza di Dio e della Sua santità senza macchia. Dio si muove
senza ombra perché Lui è luce. Egli è puro. Non solo dà luce, è anche un grandioso depuratore.
Molte signore mettono fuori un abito al sole per pulirlo o per toglierne un odore. Il sole è un grande
agente depuratore. La luce parla della purezza di Dio.
La luce è anche una guida per l’uomo. Indica il sentiero. La luce all’orizzonte guida gli uomini e dà
loro coraggio per continuare ad andare avanti. Dio è luce. Lasciami andare all’altro estremo.
Il buio è attualmente più che una negazione della luce. Non è solo l’opposto della luce. È di fatto
ostile alla luce. La luce e la santità di Dio sono in diretto conflitto con la malvagia oscurità e il caos
del mondo.
Ora ci viene presentato questo dilemma. Io sono una piccola creatura qui giù sulla terra, piena di
peccato. Se vuoi sapere la verità, sono totalmente corrotto. Senza la grazia di Dio che salva, non
sarei altro che una creatura in ribellione contro Dio, con assolutamente niente di buono in me. Dio ha
reso molto chiaro che non trova niente di buono nell’uomo.
Paolo dice in Romani 7:18 “Difatti, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene…”.
Poi aggiunge ancora anche Romani 3:10 “…non c’è nessun giusto, neppure uno”.
Non solo non hanno alcuna bontà innata, ma sono addirittura in ribellione contro Dio.
Paolo prosegue nel discorso per parlarci della ribellione che è nel cuore umano dicendo in Rom 8:7
“Infatti ciò che brama la carne è inimicizia contro Dio, perché non è sottomesso alla legge di Dio e
neppure può esserlo”.
Oggi stiamo vivendo in un mondo che è in ribellione contro il Dio onnipotente. Dio è santo.
Io sono un peccatore. Io sono stato salvato per grazia, sì, ma come avrò comunione con Lui?
Come camminerò con Lui? Gli uomini hanno cercato di farlo in tre diversi modi che sono qui
presentati, e due di questi sono sbagliati.
Il primo metodo è di portare Dio giù, al livello dell’uomo.
Leggiamo al versetto 6 di 1 Giovanni
10
Se diciamo che abbiamo comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non
mettiamo in pratica la verità.
1 Giovanni 1:6
“Se diciamo che abbiamo comunione con lui” ci sono molte persone che sostengono di avere
comunione con Lui quando in realtà non è affatto così.
“Noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità”.
Capisci cosa Giovanni dice in questo versetto? È piuttosto schietto, non credi? Lui dice che noi
mentiamo. Non è cosa carina chiamare un altro bugiardo.
Giovanni dice che se tu dici di avere comunione con Dio e cammini nelle tenebre, cioè nel peccato,
stai mentendo. Sappi che non ho detto io questo ma Dio nella sua Parola.
Noi pensiamo sempre a Giovanni come ad un ragazzo gentile e riccioluto, come veniva dipinto nel
Medioevo. Suppongo che all’artista venne l’idea dei riccioli dal fatto che Giovanni è chiamato
l’apostolo dell’amore. Ma il nostro Signore non lo chiamò mai così. Lui lo chiamò: figlio del tuono!
Giovanni era un pescatore, lui è quello che dice, “Se tu dici di avere comunione con Dio e cammini
nelle tenebre, menti, perché Dio è luce; Dio è santo.”
Non sentiamo parlare così tanto riguardo al peccato tra i cristiani oggi.
Ad esempio spesso si cerca di capire o giustificare l’adulterio o la fornicazione in una qualche
maniera, ma uno dei dieci comandamenti è: “Non commettere adulterio” Esodo 20:14.
Amico/ amica, se camminerai con Dio, camminerai nella luce. E se c’è peccato nella tua vita, non
stai camminando con Lui. Non puoi portare Dio giù al tuo livello, Lui non fa compromessi col
peccato chiamandolo in maniera diversa.
Il versetto 7 di Giovanni 1 continua il discorso dicendo:
Ma se camminiamo nella luce, com’egli è nella luce, abbiamo comunione l’uno con l’altro, e il
sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato.
1 Giovanni 1:7
“Ma se camminiamo nella luce”, cioè, se camminiamo secondo la Parola di Dio.
Uno studioso biblico parla della propria confusione mentale riguardo a questo versetto.
Notando che il purificare del sangue dipende dal camminare nella luce, lo legge come se dicesse, “Se
camminiamo secondo la luce, il sangue di Gesù Cristo Suo Figlio ci purifica da ogni peccato”. Lui
pensava che significasse che se lui fosse stato molto puntiglioso verso ogni comandamento di Dio,
Dio lo avrebbe purificato.
Poi nota che non dice “se noi camminiamo secondo la luce,” ma “se camminiamo nella luce.”
La cosa importante è dove camminiamo, non come camminiamo.
Siamo venuti alla presenza di Dio e abbiamo permesso alla Parola di Dio di illuminare i nostri cuori
peccatori? Dobbiamo camminare nella luce come Lui è nella luce.
Potremo mai arrivare a questo? Saremo mai in grado di camminare chiaramente nella luce come
Colui che chiamiamo “nostro Padre” , di cui è scritto “in Lui non vi è tenebra alcuna”. Questo è il
modello posto davanti a noi, in quanto il Salvatore stesso disse “Siate perfetti, com’è perfetto il
vostro Padre celeste”, e se anche sentiamo di non poter mai competere con la perfezione di Dio,
pure vogliamo ricercarla, e non saremo soddisfatti fino a quando non riusciremo a raggiungerla.
Il giovane artista, quando prende in mano per la prima volta un pennello, può appena sperare di
emulare Raffaello o Michelangelo, ma anche in questo caso, se non ha mai davanti a sé un ideale
nobile, otterrà solo qualcosa di mediocre.
Ma cosa si intende quando si afferma che il credente deve camminare nella luce, come Dio è nella
luce? Possiamo concepire una somiglianza, ma non nella medesima proporzione.
Siamo veramente nella luce, onestamente nella luce, ma non possiamo esserlo in misura uguale a
Gesù. Non posso vivere sul sole, è un luogo troppo luminoso, ma posso camminare alla luce del
sole; e così, anche se non posso raggiungere la perfezione di purezza e verità che appartiene al
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Signore che è infinitamente buono, pure posso mettere davanti a me il Signore, e lottare, con l’aiuto
dello Spirito che dimora in me, in conformità alla Sua immagine.
Noi dobbiamo avere la stessa luce, ed essere certi di possederla, camminare in essa come riesce a
Dio; ma quanto alla Sua santità e alla Sua purezza, questo è riservato al momento in cui entreremo
nella perfezione del Dio Altissimo.
Vedi, è possibile camminare nelle tenebre, pensando che tutto è a posto.
Lasciami illustrare questo pensiero.
Un uomo racconta una sua avventura.
Dopo essere stato a caccia con un amico, ad un certo punto arrivammo ad una biforcazione del
sentiero e lui mi disse, “Io prendo la via di destra e tu quella di sinistra. Ti condurrà intorno alla
collina e dietro alla fattoria. Ci incontreremo lì.” Intanto sembrava che stesse per iniziare a
piovere. Erano scese una o due gocce ma aveva poi smesso. Quando mi incamminai da solo e feci il
giro della collina, notai parecchie caverne nella collina e quando iniziò davvero a piovere sapevo
che mi sarei bagnato; così mi misi in una di quelle caverne. Andai in quella più grande che trovai e
mi sedetti al buio per circa trenta minuti. Iniziai ad avere freddo e decisi che avevo bisogno di un
fuoco; così raccolsi un mucchio di foglie sparse sul pavimento della caverna e accesi un fiammifero.
Presto ebbi un piccolo fuoco e quando mi guardai intorno nella caverna scoprii che non ero solo.
Non sono mai stato in un posto con così tanti ragni e lucertole come ce n’erano lì nella caverna,
dall’altra parte, in un ’angolo, c’era perfino un piccolo serpente tutto arrotolato che mi guardava.
Puoi immaginare quale spavento presi, subito corsi fuori da quel posto deducendo che siccome
quelle creature avevano occupato quella caverna per prime, apparteneva a loro. Procedetti giù
verso la fattoria ed ero bagnato fradicio, ma non sarei rimasto in quella caverna!
Ora lasciami fare questa applicazione. Quella persona era stata seduta comoda per trenta minuti
mentre era al buio, ma quando la luce rivelò cosa c’era nella caverna, non poteva più essere comodo
in quel posto. Vedi, c’è un grande numero di persone che anche quando va in chiesa non ascolta la
Parola di Dio, queste persone sono sedute al buio, sentono qualche esortazione sulla “buona vita” o
un incoraggiamento a fare del loro meglio, e sono ovviamente a loro agio!
Ma se entrassero nella luce della Parola di Dio, vedrebbero che sono peccatori e che non possono
portare giù Dio al loro livello.
Giovanni disse che, se una persona dice di avere comunione con Dio, ma sta vivendo nel peccato, sta
mentendo.
Riconosco che stiamo vivendo in tempi dove gli standard morali stanno cambiando drasticamente, e
la gente razionalizza il proprio peccato e cerca di trovare scuse, ma non può abbassare Dio al proprio
livello. Se stai vivendo nel peccato, Dio non avrà comunione con te. Se pensi diversamente, ti stai
prendendo in giro da solo.
Qualcuno può chiedere “Cosa intendi, ci sono per caso ipocriti anche nella chiesa?” E se vai al
“nocciolo” è proprio questo ciò di cui stiamo parlando, di ipocrisia. Si professa una cosa, “Sto
avendo comunione con Dio”, e contemporaneamente si sta camminando nell’oscurità. Giovanni dice
che chi fa così sta mentendo.
Ora, supponi che sei un figlio di Dio, e stai vivendo nel peccato, ma ora vedi che sei nella luce della
Parola di Dio. Hai perso la salvezza? Certamente no e a questo riguardo voglio farti un esempio.
Quando mi accorgo che ho le mani sporche non le taglio e le butto via non ti pare, ma vado a lavarle
e ritornano pulite e questo succede molte volte nella giornata.
Allo stesso modo Giovanni dice che “Il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato.”
Quella parola purifica è al tempo presente, il sangue di Cristo continua a pulirci da ogni peccato, da
qualunque peccato, da tutto il peccato.
Non hai perso la tua salvezza, ma hai perso la tua comunione con Dio fino a che non sei purificato. Il
testo, abbiamo visto, dice ‘purifica’ e non ‘purificherà’. Tanti pensano che al momento di morire
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possono sperare di essere perdonati. Oh! Ma è infinitamente meglio essere purificati ora, anziché
dipendere dalla possibilità di essere perdonati in punto di morte.
Altri immaginano che il perdono si possa raggiungere soltanto dopo molti anni di cammino cristiano,
invece la remissione dei peccati è una realtà presente, un privilegio attuale, una gioia per ora. Nel
momento in cui il peccatore si affida a Gesù viene completamente perdonato.
Il tempo presente utilizzato nel testo indica anche la continuità; come è stato purificato ieri, viene
purificato oggi e lo sarà anche domani. Sarà sempre così per te; la purificazione è completa.
“Il sangue di Gesù Cristo ci purifica da ogni peccato”, non soltanto dal peccato, ma ricordati
sempre da “ogni peccato”.
Amico/ amica, io non sono in grado di esprimere la straordinaria dolcezza di questa parola, solo lo
Spirito Santo può fartela gustare.
I nostri peccati contro Dio sono innumerevoli, ma che il nostro conto sia piccolo o grande, vale la
medesima ricevuta. Il sangue di Gesù Cristo è un pagamento sia per le “trasgressioni” gravi sia per le
lievi “mancanze”; la nostra iniquità se n’è andata via subito, per sempre.
Se tu sei nella famiglia di Dio e nella tua vita c’è peccato, Dio non ti tratterà come il peccatore che
vive fuori dalla famiglia di Cristo. Egli ti tratterà come un figlio disubbidiente. Ti porterà nell’angolo
per punirti. Ricorda che portò Davide nell’angolo e certamente Anania e Saffira non la passarono
liscia. Il nostro tentativo di portare Dio al nostro livello, semplicemente non funziona.
Ad ogni modo, c’è un altro metodo che è spesso usato per cercare di coprire quel buco tra un Dio
santo ed un uomo peccatore.
Il metodo che è spesso usato è un tentativo di portare l’uomo, al livello di Dio. Dicono che l’uomo
ha raggiunto la perfezione senza peccato e che sta vivendo su quella piattaforma davvero alta. Bene,
Giovanni reagisce a quell’approccio. Ascoltalo – versetto 8
Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi.
1Giovanni 1:8
Questo è ancora peggio che essere un bugiardo. Quando arrivi al punto di dire che non c’è peccato
nella tua vita, in te non c’è nessuna verità. Questo non significa che sei semplicemente un bugiardo;
significa che non hai nemmeno la verità. Certe persone non possono beneficiare della purificazione
che opera il sangue di Cristo semplicemente perché dicono di essere senza peccato.
Peccato, al singolare, si riferisce al principio ereditario del peccato.
Gli eretici che Giovanni sta combattendo stanno dicendo che comunque possa essere la loro condotta
esteriore, non vi è peccato nella loro natura.
Altri pensano che si intenda “essere colpevoli”, perché il peccato è qualcosa che interessa la carne,
poco importante, e non contamina lo spirito. Giovanni rifiuta queste tesi. Se tu fossi illuminato dalla
verità, sembra dire, ti accorgeresti di avere peccato, ma negandolo inganni te stesso, ti stai prendendo
in giro da solo.
Non prendi in giro nessun altro. Prendi in giro solo te stesso.
Uno studente di teologia racconta:
Quando entrai come matricola all’università, il mio compagno di stanza era un giovane uomo che
stava studiando la Bibbia come me. Era un ragazzo dolce, per certi versi. L’unico problema con lui
era…, che era perfetto. Quando trovai la camera che mi era stata assegnata, il mio compagno non
c’era, ma quando entrò, si presentò e mi informò che non aveva commesso un peccato da tanti anni,
non mi ricordo se aveva detto che erano uno, due o tre. Mi sconvolse conoscere una persona che
non peccava. Avevo sperato che sarebbe diventato mio amico, ma non era un amico. Vedi, in ogni
stanza nella quale io abbia vissuto, le cose andavano male ogni tanto. E lì vivevo in una stanza nella
quale eravamo solo in due e uno di noi non poteva fare niente di sbagliato. Quindi se qualche cosa
andava male, indovina di chi era la colpa? Ora io ammetto, che di solito era colpa mia, ma non
sempre. Anche se era un bravo ragazzo, non aveva certo raggiunto il livello di perfezione che diceva
di avere; non era perfetto. Dopo il primo semestre, una matricola poteva trasferirsi dove voleva,
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così gli dissi, “Mi trasferisco.” Era molto l’afflitto e disse, “Oh, no! Dove vai?” Mi chiese: “Ho
conosciuto un ragazzo in fondo al corridoio che è cattivo proprio come me, e mi trasferirò con lui.”
Così mi trasferii e lui dopo non trovò un altro compagno. Il mio nuovo compagno di stanza ed io
andammo d’accordissimo. Siamo ancora amici e passiamo dei bei momenti insieme. Nessuno di noi
è perfetto anche se siamo migliorati un po’ nel corso degli anni.”
Qui termina il racconto di quello studente di teologia. Amico/ amica, se senti di aver raggiunto lo
stato di perfezione, mi dispiace davvero per coloro che ti stanno vicino; per tuo marito o tua moglie,
perché è difficile vivere con qualcuno che pensa di essere perfetto.
L’apostolo Giovanni dice:“Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non
è in noi.” Non possiamo portare noi stessi al livello di Dio. È impossibile raggiungere la perfezione
in questa vita.
Abbiamo visto che ci sono due tentativi dell’uomo di superare gli ostacoli al fine di avere comunione
con il Dio perfetto che “è luce”.
1°) Si tenta di portare Dio a livello dell’uomo cercando di negare che lui è luce. Non ci si
confronta con la SUA luce, non ci si mette nella sua luce, e quindi non si vedono i propri peccati.
2°) Si cerca di innalzare l’uomo a Dio, ossia si nega i propri peccati più dall’inizio e quindi si è
al suo livello. Alcuni chiamano il peccato: un errore poco importante.
Chi credi di prendere in giro quando dici di non avere peccato? Prendi in giro te stesso, e sei l’unica
persona che prendi in giro. Non prendi in giro Dio. Non prendi in giro i tuoi vicini. Non prendi in
giro i tuoi amici. Ma sicuramente prendi in giro te stesso.
E Giovanni dice che la verità non è in una persona come quella, perché non riesce a vedere che è un
peccatore e che non ha raggiunto la perfezione. Eppure tante persone stanno provando quella via,
sforzandosi di coprire il varco tra loro e il Dio santo.
Siccome non puoi abbassare Dio al tuo livello e non puoi portare te stesso al Suo livello, cosa farai?
Giovanni qui ci dà l’alternativa al versetto 9 di Giovanni 1:
Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni
iniquità.
1 Giovanni 1:9
Il giusto atteggiamento verso il peccato non è negarlo, ma confessarlo, così da ricevere il perdono
che Dio ha reso possibile e ci ha promesso.
“Se confessiamo i nostri peccati.” v.9 Qui c’è un altro dei nostri “se.”
Ne abbiamo visti parecchi:
“Se diciamo che abbiamo comunione” v 6;
“Se camminiamo nella luce” v 7;
“Se diciamo di essere senza peccato” v 8.
Ora qui c’è il giusto metodo per portare insieme un uomo peccatore ed un Dio santo: la confessione
dei peccati. Peccare ha il significato di mancare il bersaglio.
Questo è il significato originale della parola. Potremmo quindi dire “fallire” anziché peccare.
Se diciamo a qualcuno che è un fallito rimarrà male, ma se gli diciamo che è un peccatore farà due
cose, o negherà il fatto, oppure dirà “beh, modestia a parte, me la cavo bene”.
In effetti, non manchiamo il bersaglio ogni volta che sbagliamo qualcosa?
Il peccato è tanto negativo quanto concreto. Non consiste soltanto nella trasgressione alla legge di
Dio, ma anche nella mancanza di conformità alla Sua volontà.
Immaginiamo un gruppo di uomini che si sta dirigendo ad un ufficio di reclutamento senza sapere
che l’altezza richiesta è di un metro e settantadue centimetri.
Tutti sono notevolmente al disotto di quell’altezza, ma il più alto si vanta di essere di due centimetri
più alto dei suoi compagni.
Egli verrà respinto, come il più basso di loro, perché non ha raggiunto la misura richiesta.
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Tu puoi esser migliore di tante persone che ti stanno attorno, ma avrai bisogno del perdono e della
salvezza di Cristo al pari del peggiore uomo sulla terra.
Non vantarti di essere migliore degli altri, misurati con Dio.
Se hai peccato, occorre confessarlo.
Non nasconderlo o coprirlo davanti a Dio, ma confessalo con cuore dispiaciuto.
Confessalo subito, senza aspettare un momento particolare, che ti potrebbe sembrare più opportuno.
Inoltre non è sufficiente confessare tutto a Cristo, se hai peccato contro qualcuno devi anche andare a
riconciliarti con lui.
Quando Dio perdona, dimentica, perché Egli è fedele e giusto da perdonare e purificare.
Attraverso il sacrificio avvenuto al Calvario, Dio può essere assolutamente giusto e allo stesso tempo
rendere giusti quelli che credono in Gesù.
Perché Dio è fedele e giusto da perdonarci? Fa parte della sua fedeltà mantenere le promesse, il patto
stipulato.
In Geremia.31:34, Dio dice: “Io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più del loro
peccato”: questa è la fedeltà.
Ma come può essere giusto da rimetterci i peccati, se spesso nella nostra mente la giustizia si associa
con la punizione, non con il perdono?
Non è scritto Esodo.34:7, che Dio non terrà il colpevole per innocente, come può perdonare?
Il Giudice di tutta la terra non può rimettere il peccato alla leggera.
E’ vero, infatti la croce è l’unica base sulla quale può perdonare il peccato, perché là il sangue di
Gesù fu versato per espiare il peccato.
Possiamo quindi dire che perdonando i nostri peccati e purificandoci da essi, Dio onora il Suo patto,
con la fedeltà nei riguardi di quanto ha detto e con la giustizia attraverso ciò che ha compiuto.
In modo più semplice, è fedele nel perdonare perché lo ha promesso e giusto perché il Suo Figliolo è
morto per i nostri peccati.
Quello che ci viene richiesto è la confessione dei nostri peccati.
Non del peccato in generale, ma dei singoli peccati.
Cosa significa il confessare i nostri peccati?
La parola confessare deriva dal verbo greco che significa “dire la stessa cosa”.
Devi dire la stessa cosa che dice Dio.
Quando Dio nella Sua Parola dice che ciò che tu hai fatto è peccato, devi metterti nei panni di Dio e
osservarla dal Suo punto di vista.
E devi dire, “Hai ragione Signore, dico la stessa cosa che tu dici. È peccato.”
È questo ciò che significa confessare i peccati.
Questo, amico/ amica, è uno dei maggiori bisogni che abbiamo.
Questo è il metodo che Dio ha dato ai cristiani, per affrontare il peccato nella loro vita.
Un uomo, a causa di tante esperienze negative, di cui era molto scoraggiato disse al pastore della sua
chiesa. “Voglio servire Dio, ma ho fallito, infatti sono un fallimento totale.”
Il pastore gli disse molto francamente: “Non piangere sulla mia spalla. Vai e parlane a Dio.
Vuole che tu vada da Lui. Raccontagli che hai fallito. Raccontagli che ti sei sbagliato.
Cerca il Suo aiuto. Lui è tuo Padre, tu sei nella famiglia. Tu hai perso la comunione con Dio, ma
puoi riaverla. Se confessi i tuoi peccati, Lui è fedele e giusto per perdonare i tuoi peccati.”
Dopo che noi abbiamo confessato i nostri peccati, cosa fa Dio?
Lui ci purifica completamente.
Nella parabola, il figlio prodigo tornò a casa dal lontano paese maleodorante come un porcile.
Tu non credi certamente che il padre abbia messo una veste nuova su quel ragazzo sporco, che
puzzava tanto, vero? No, gli fece fare prima un bel bagno, fu lavato prima che la veste nuova gli fosse messa addosso.La settimana dopo non disse, “Papà, credo che andrò nel paese lontano e finirò di nuovo nel porcile.”
Non quel ragazzo.
Quando hai confessato il tuo peccato, significa che ti sei allontanato da quel peccato, che lo consideri
sbagliato e non vuoi farlo più. Significa che tu hai detto la stessa cosa che Dio ha detto.
Il peccato è una cosa terribile. Dio lo odia e ora tu lo odi.
La confessione ti riavvicina al Padre. Giovanni conclude questo pensiero, dicendo al versetto 10:
Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi.
1 Giovanni 1:10
Ora, non rendere bugiardo Dio.
Perché non vai dal Signore, amico/ amica, gli apri il tuo cuore e gli parli come non parli con nessun
altro? Raccontagli i tuoi problemi. Raccontagli i tuoi peccati. Raccontagli le tue debolezze.
Confessa tutto a Lui. E dì a tuo Padre che vuoi avere comunione con Lui e che Lo vuoi servire.Egli ha preparato un modo meraviglioso, magnifico, per tornare a Lui!
Da crc

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Il libro della legge

 

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LA VITE E I TRALCI…..


GIOVANNI 15,16
Iniziamo ora a considerare il capitolo15 del Vangelo secondo Giovanni che contiene una parte del
discorso fatto nella sala della cena, anche se probabilmente il Signore Gesù non lo pronunciò lì.
Si presume che non lo abbia fatto lì perché l’ultima affermazione nel capitolo 14 è “Levatevi,
andiamo via di qui”. Da qualche parte fra quella sala e il Giardino del Getsemani il Signore ha
pronunciato le parole trovate nei capitoli 15 e 16, poi ha fatto la preghiera menzionata al capitolo 17
quando entrò nel giardino.
Molti studiosi ritengono che il Signore pronunciò questo discorso nella Valle di Kidron oppure quasi
sul Monte degli Ulivi, perché sappiamo che a quel tempo c’era un vigneto in quella zona che
ricopriva la valle. Sappiamo anche che c’era la luna piena perché era il tempo della Pasqua. Potrebbe
anche aver pronunciato queste parole mentre attraversarono il vigneto.
Sarebbe stato un luogo appropriato. Un altro suggerimento dato da altri studiosi è quello secondo cui
quella notte Gesù andò al tempio; le porte sarebbero state aperte durante le notti della Pasqua. Quelle
belle porte del Tempio erano in effetti un’attrazione turistica.
Erano state forgiate in Grecia, trasportate attraverso la penisola ellenica, quindi trasportate a
Gerusalemme e poste lì nel Tempio di Erode.
Le porte erano fatte in bronzo e su ognuna c’era in rilievo una vite d’oro.
Che questa vite rappresenti la nazione di Israele risulta evidente dai seguenti versi 
Salmo 80:8,9:
“Portasti fuori dall’Egitto una vite; scacciasti le nazioni per piantarla; tu sgombrasti il terreno ed
essa mise radici e riempì la terra.”
Anche Isaia 5:1-7 ci parla delle stesse cose: Io voglio cantare per il mio amico il cantico del mio
amico per la sua vigna. Il mio amico aveva una vigna sopra una fertile collina: La dissodò, ne tolse
via le pietre, vi piantò delle viti scelte, vi costruì in mezzo una torre, e vi scavò uno strettoio per
pigiare l’uva. Egli si aspettava che facesse uva, invece fece uva selvatica. Ora, abitanti di
Gerusalemme e voi, uomini di Giuda, giudicate fra me e la mia vigna! Che cosa si sarebbe potuto
fare alla mia vigna più di quanto ho fatto per essa? Perché, mentre mi aspettavo che facesse uva, ha
fatto uva selvatica? Ebbene, ora vi farò conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna, le toglierò la
siepe e vi pascoleranno le bestie; abbatterò il suo muro di cinta e sarà calpestata. Ne farò un
deserto; non sarà più né potata né zappata, vi cresceranno i rovi e le spine; darò ordine alle nuvole
che non vi lascino cadere pioggia. Infatti la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele, e gli
uomini di Giuda sono la sua piantagione prediletta; egli si aspettava rettitudine, ed ecco,
spargimento di sangue; giustizia ed ecco grida d’angoscia!
Pure Osea 10:1 aggiunge altre considerazioni:“Israele era una vigna rigogliosa, che dava frutto in
abbondanza; più abbondava il suo frutto, più moltiplicava gli altari; più bello era il suo paese, più
belle faceva le sue statue.” E’ chiaro che la vite è una immagine della nazione di Israele.
Ora, il Signore sta dicendo ai discepoli qualcosa che di più rivoluzionario non hanno mai sentito.
Sembra familiare a noi oggi, ma era strano per le loro orecchie. Ascoltate cosa dice: 1 “Io sono la
vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.
Giovanni 15:1
La parola per vite è alèthinos che significa genuino.
Una cosa può essere vera in contrapposizione ad errore o falsità, oppure una cosa può essere vera,
cioè non contraffatta. In questa versione infatti è tradotto “vera vite”.
Questa parola è stata usata già in precedenza nel Vangelo di Giovanni.
Giovanni Battista era una luce riflessa, ma Gesù Cristo è la vera luce. Mosè diede il pane nel
deserto; ma Gesù Cristo è il vero pane.
Quindi Gesù qui sta dicendo “Io sono la vera vite, la vite genuina”.
Questi discepoli avevano idee basate sulla conoscenza dell’Antico Testamento.
2
Gesù dice loro che la nazione di Israele non è la vera vite. La loro identificazione con la nazione
ebraica e la religione ebraica non sono la cosa essenziale. “Io sono la vera vite”. La cosa importante
ora è che i discepoli siano in relazione con Gesù Cristo. Questo era rivoluzionario!
Il Signore ha usato una meravigliosa parabola ed ha fatto intendere molto chiaramente che non è la
tua identificazione con una religione o con una cerimonia o con una organizzazione che è la cosa
fondamentale. Noi dobbiamo identificarci con Cristo!
Noi siamo in Cristo per il battesimo dello Spirito Santo nel momento in cui abbiamo creduto in
Cristo come nostro Salvatore e siamo nati di nuovo come figlioli di Dio.
“Mio Padre è il vignaiolo”: Anche questa è una parola sorprendente.
Nei brani dell’Antico Testamento, Dio è il proprietario della vigna. Egli è il vignaiolo, il fattore,
colui che si prende cura della vigna. Gesù è la vera vite e il Padre si prende cura di Lui.
Nell’Antico Testamento era stato profetizzato che il Signore Gesù sarebbe cresciuto davanti a Lui
come un germoglio, come una radice in un luogo arido. Pensate quanto spesso il Padre è intervenuto
per salvare Gesù dal maligno che Lo voleva eliminare, togliere di mezzo.
Il Padre è Colui che si è preso cura della vite e si prenderà cura anche dei tralci.
I tralci devono restare uniti alla vite. A quale scopo? Per portare frutto. Ci sono tre parole o frasi che
sono molto importanti e le prenderemo in considerazione mentre andiamo avanti nella lettura.
Leggiamo il versetto 2 di Giovanni 15:
Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne
dia di più.
Giovanni 15:2
“In me”, cioè in Cristo, è ciò che significa essere salvati.
Ci sono parole straordinarie come propiziazione, riconciliazione, redenzione che ricoprono fasi
particolari della salvezza, ma tutta l’essenza della salvezza è nella frase “in Cristo”.
Ci sono solo due gruppi di persone: quelli che sono in Cristo e quelli che non sono in Cristo. Come
si diventa “in Cristo”? Attraverso la nuova nascita. Quando credi in Cristo come Salvatore, diventi
figlio di Dio mediante la fede. Sei nato di nuovo per lo Spirito di Dio.
Lo Spirito Santo fa qualcos’altro: Egli non solo dimora in te, ma anche ti battezza. Questo è ciò che
pone ogni credente nel corpo di Cristo, “ogni tralcio in me”.
Questo brano è indirizzato ai credenti, a quelli che sono già in Cristo. Gesù non sta parlando di come
una persona sia salvata. Non sta parlando proprio di salvezza in questo brano. Piuttosto, Gesù sta
parlando di portare frutto ed è questa l’altra parola che vogliamo evidenziare.
Frutto viene menzionato sei volte nei primi dieci versetti. Scopriremo, mentre andremo avanti, che
ci sono tre gradi del portare frutto; frutto, più frutto, molto frutto. L’intero argomento qui è il portare
frutto. “Ogni tralcio che in me non dà frutto, Egli lo toglie via”. Da dove lo porta via?
Lo porta via dal portare frutto. Sentite cosa descrive il versetto 6 di Giovanni 15
Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si
gettano nel fuoco e si bruciano.
Giovanni 15:6
Qualcuno potrebbe dire: “sembra che si possa perdere la salvezza”.
No, ricorda che questo brano non sta parlando di salvezza, ma di portare frutto. Parla di ciò che è il
risultato dell’essere salvato. Prima di tutto, cos’è il frutto? Non credo che il frutto citato qui si
riferisca al convincere delle anime, delle persone, a seguire Cristo, come molti pensano.
Io credo che quello sia un sottoprodotto, non il frutto stesso. Il frutto è il frutto dello Spirito Santo
Galati 5:22-23. “il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà,
mansuetudine, autocontrollo.” Questo è il frutto nella vita del credente.
Dimorare in Cristo produrrà una preghiera efficace, frutto continuo ed una gioia celeste.
Leggiamo i versetti  Giovanni 15:7,8,9,10,11
3
Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. In
questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli.Vi ho detto
queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa.
Giovanni 15:7,8,11
La preghiera efficace è legata al fatto di dimorare in Gesù Cristo e le Sue parole in noi.
I Suoi discepoli così portano molto frutto e il Padre è glorificato in questo.
Così avremo una gioia perfetta.
Però torniamo alla frase: “Ogni tralcio che in me non porta frutto egli lo toglie via “ Dio vuole dei
frutti nelle nostre vite. Se un tralcio non porta frutto come lo toglie via? Uno dei modi con cui lo
toglie via è di portare via questa persona dal luogo del servizio in cui non porta frutto.
Potremmo essere accantonati, messi da parte perché siamo inutili in quel servizio.
“Ogni tralcio che porta frutto, lo rimonda affinché ne dia di più”: La parola greca è kathairò, che
significa “purificare”. Alcuni considerano la purificazione come ‘potatura’, sì, Dio fa anche questo,
ma in realtà il suo significato è “purificazione”.
Non vi è alcun dubbio che Dio faccia delle potature. Egli si muove nelle nostre vite e porta via quelle
cose che offendono, e a volte fanno soffrire.
Egli rimuove quelle cose che ci paralizzano. Ognuno potrebbe parlare personalmente di questo e
ammettere che fa davvero male. Dio pota ciò che ci impedisce di portare frutto.
Una delle ragioni per cui tanti figli di Dio soffrono per questa potatura è che essi si allontanano tanto
da Dio, dalla sua comunione! Quanto più vicini siamo a Dio, tanto meno soffriremo.
Il Signore castiga, corregge, chi ama. Il Suo castigo non è un segno che Lui è contro di noi; Egli sta
cercando invece, di portare frutto dalle nostre vite. Noi tendiamo a lamentarci ed allontanarci da Lui,
ma se ci avviciniamo sempre di più a Lui, allora non soffriremo così tanto.
In Palestina si può notare che nei vigneti si lasciano crescere le viti fino a terra e si puntellano con
dei sassi. Poiché l’uva si sporca, si lavano i grappoli prima della maturazione. Lo stesso fa il
Signore nelle nostre vite; Egli ci solleva, ci lava in modo che possiamo portare più frutto. Come lo
fa? Torniamo a Giovanni 15:3
Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunziata.
Giovanni 15:3
“Voi siete puri a causa della parola” La purificazione accompagnata dalla Parola di Dio.
La potenza della purificazione della parola di Dio è una cosa meravigliosa. Sentiamo così tanto
parlare dei miracoli moderni nel lavare il bucato, ma non li ho mai trovati così miracolosi. L’unico
vero miracolo del lavaggio è la potenza di purificazione della Parola di Dio. 1°Pietro 1:22-23.
“Avendo purificato le anime vostre con l’ubbidienza alla verità per giungere a un sincero amor
fraterno, amatevi intensamente a vicenda di vero cuore, perché siete stati rigenerati non da seme
corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la Parola vivente e permanente di Dio.”
Noi siamo nati di nuovo attraverso la Parola di Dio, lavati dai nostri peccati. Poi nel nostro cammino
quaggiù noi ci sporchiamo e abbiamo bisogno che la Parola di Dio ci purifichi continuamente. C’è
una ragione per studiare la Bibbia – essere purificati Salmo 119:9: “Come potrà il giovane rendere
pura la sua via? Badando a essa mediante la tua parola”.
Ci sono punti di vista secondo cui tu puoi vivere qualunque stile di vita fin tanto che rimani fondato
nel tuo credo di salvezza tramite la grazia di Dio. Ma Dio usa la Parola di Dio per rivelarci quando
non stiamo camminando secondo la sua volontà.
Il vero test che rivela se una persona è sincera nella sua relazione con Dio è se studia la Parola di Dio
e se si lascia guidare nella sua vita da essa! Dio vuole che noi siamo obbedienti alla Sua Parola.
Queste sono due affermazioni del salmista che scrisse il Salmo 119.
Salmo 119:67 “Prima di essere afflitto, andavo errando, ma ora osservo la tua parola”.
E ancora Salmo 119:71:E’ stata un bene per me l’afflizione subita, perché imparassi i tuoi statuti.”
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Tu ed io abbiamo bisogno di studiare la Parola di Dio e applicarla alle nostre vite, solo così potremo
sperimentare la purezza.Abbiamo visto che in Gesù si porta frutto, ora leggiamo il v. 4:
Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella
vite, così neppure voi, se non dimorate in me.
Giovanni 15:4
Siamo giunti alla terza parola che voglio mettere in evidenza, che è dimorare.
Dimorare in Cristo significa costante comunione con Lui, tutto il tempo. Abbiamo appena parlato
della potenza purificatrice della Parola di Dio. Questo è dimorare.
Dobbiamo essere purificati ogni giorno. Questa è ciò che è successo a Spurgeon, un famoso
predicatore, che si è fermato in mezzo alla strada, si è tolto il cappello e ha pregato.
Uno dei suoi collaboratori lo vide e gli chiese il motivo. Spurgeon gli disse che una nuvola si era
frapposta tra lui e il Signore e voleva rimuoverla immediatamente; si era fermato per confessare un
pensiero peccaminoso. Abbiamo bisogno di confessare i nostri peccati al Signore per dimorare in
Lui, per stare in continua comunione con Lui. Ma per dimorare in Lui, dobbiamo anche osservare i
suoi comandamenti. Continuiamo ora la nostra lettura leggendo i versetti da 10 a 14
Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti
del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e
la vostra gioia sia completa. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io
ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici. Voi siete
miei amici, se fate le cose che io vi comando.
Giovanni 15:10-14
Spesso cantiamo canti che dicono qualcosa come “Gesù è un caro amico” e “Non c’è amico uguale a
Gesù”. Chiamare Gesù mio amico è molto piacevole e sentimentale, ma può essere in un certo senso
sbagliato. Se dico che il presidente della repubblica è mio amico, lo abbasso al mio livello. Se lui
dice che il sono suo amico, allora è un’altra cosa.
Ascolta quello che Gesù dice: “Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando”
Forse non abbiamo bisogno di tutte queste cose sentimentali al giorno d’oggi, ma abbiamo bisogno
di un cuore onesto e desideroso di ubbidire. Facciamo ciò che Gesù ci comanda di fare?
L’obbedienza è fondamentale per dimorare in Lui. Torniamo al versetto 9 di Giovanni 15
Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Giovanni 15:9
Dimorare è una comunione continua. Questa è la relazione tra la vite e i tralci.
Un coltivatore di frutta non deve mai dire ai rami di dimorare sull’albero altrimenti non ci sarà alcun
frutto. Non deve mai stare in piedi di notte per controllarli e non sarà mai arrivato a casa di sorpresa
trovando i rami che gironzolano lontano dagli alberi. Essi dimorano e portano frutto.
Forse pensi che questa cosa sia ridicola. In ogni caso, molti credenti credono di poter vivere come
vogliono, nel peccato, tutta la settimana e al sabato sera, per poi venire a servire il Signore alla
domenica. Molti cercano di vivere così per anni.
Amici, dobbiamo essere in continua comunione con il Signore per portare frutto. Questo significa
che quando ti alzi al mattino, quando sei alla scrivania del tuo ufficio, quando guidi la tua macchina
per le strade, tu dimori in costante comunione. Leggiamo ora tutti insieme i versetti da 5 a 11
Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto;
perché senza di me non potete far nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si
secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. Se dimorate in me e le mie
parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre
mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli. Come il Padre mi ha amato, così anch’io
ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio
amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi ho detto
queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa.
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Giovanni 15:5-11
Poiché noi abbiamo una volontà libera, possiamo rompere la comunione con Dio permettendo al
peccato di entrare nella nostra vita, muovendoci al di fuori della volontà di Dio, o essendo coinvolti
con le cose di questo mondo. Egli vuole che dimoriamo in Lui così portiamo molto frutto.
Notate qui che c’è una somiglianza alla parabola del seminatore.
Ricordate che alcuni semi caddero sulla buona terra e portarono trenta volte tanto, questo è frutto.
Alcuni dei semi portarono sessanta volte tanto, che è frutto, altri semi portarono cento volte tanto,
che è molto frutto. Dio vuole che noi portiamo molto frutto. Voglio dire ancora una volta che il
frutto di cui si sta parlando è il risultato, l’effetto della nostra salvezza.
Non si sta parlando di come essere salvati.
Paolo usa un’altra immagine per questa stessa cosa 1°Corinzi 3:11-14: “Poiché nessuno può porre
altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù. Ora, se uno costruisce su questo
fondamento con oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera di ognuno sarà messa in
luce; perchè il giorno di Cristo la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il
fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno. Se l’opera che uno ha costruito sul fondamento rimane,
egli ne riceverà ricompensa.”
Credo che la ricompensa verrà data solo per il frutto nelle nostre vite, e per portare frutto dobbiamo
dimorare in Cristo. Un tralcio che non dimora “in Cristo” è gettato via come il tralcio e si secca; gli
uomini li raccolgono, li gettano nel fuoco e li bruciano.
Questo è ampliato in 1°Corinzi 3:15 “Se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno, ma egli stesso
sarà salvo, però come attraverso il fuoco”.
Una delle cose più tristi è che oggi quasi ogni credente crede che la normale vita cristiana sia un
fallimento. Pensano che portare molto frutto sia proprio fuori questione, qualcosa di eccezionale e si
accontentano di vivere a un basso livello, accontentandosi di portare poco frutto.
Ricordate che il Signore vuole che produciamo molto frutto.
Ribadiamo il concetto che la promessa di risposta sicura alle preghiere è a una condizione: “Se
dimorate in me e le mie parole dimorano in voi”: significa essere obbedienti al Signore.
Così avremo delle preghiere efficaci. Lo scopo principale del dimorare e della preghiera è che il
Padre possa avere gloria. Questo elimina la preghiera per ragioni egoistiche. La questione è portare
frutto. Dio è glorificato quando portiamo frutto.
Il Signore vuole farci godere la vita. Uno dei frutto dello Spirito è di avere gioia nella nostra vita. Un
credente che porta frutto si divertirà molto nella sua vita. Ci sarà divertimento ad andare allo studio
biblico; ci si divertirà nel servire il Signore e nel fare molte altre cose con piacere.
Una vita in comunione con Cristo è una vita gioiosa. Leggiamo ora i versetti da 12 a 17
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha
amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici. Voi siete miei amici, se fate le cose
che io vi comando. Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore;
ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio. Non
siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate
frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve
lo dia. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
Giovanni 15:12-17
Ricordatevi che in questo discorso Gesù sta parlando ai credenti. Dobbiamo amarci l’un l’altro come
ci ha amato Lui! E’ triste vedere cristiani che non vanno d’accordo o litigano, rifiutando questo
comandamento del Signore. Lo Spirito di Dio non lavora in una tale situazione. Amare come ci ha
amato Gesù significa darGli molta importanza.
Solo lo Spirito di Dio può produrre questo amore nelle nostre vite.
Il test proposto è quello di dare la vita. Siamo disposti a dare la vita per i nostri amici?
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La vita cristiana comunque non è fatta di buoni proponimenti. La vita cristiana è seguire le istruzioni
di Gesù Cristo, e le istruzioni sono chiare. Se segui queste istruzioni, porterai frutto.
Gesù ha dato la sua vita per noi, Egli ci chiede di obbedirgli. Gesù è nostro amico perché è morto per
noi. Lui ha superato il test. Noi siamo Suoi amici quando obbediamo ai Suoi comandamenti. Gesù
non chiede a noi tutti di morire per Lui.
Siamo amici di Gesù se osserviamo tutto quello che ci comanda. Ora ci dice che Egli ci ha aperto il
cuore. Dio si vuole manifestare a noi. Ricordatevi di come aveva cercato Abramo per rivelargli il
Suo piano perché Abramo era Suo amico.
Gesù dice ora che Egli ci ha rivelato le cose di Dio. Questo è ciò che fa un amico.
Da quante persone puoi andare ed aprire il tuo cuore? Una delle cose che dovrebbe caratterizzare un
cristiano è che si può andare da lui e dirgli i propri problemi e ricevere comprensione, aiuto ed
incoraggiamento da lui. Ecco come dovremmo amarci gli uni gli altri.
Notate ora “non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi”: Molto credenti
scoraggiati vanno al Signore dicendo “Signore, tu mi hai chiamato e mi hai scelto ed io sono tuo
figlio, sono sotto la Tua responsabilità”.
Questo ridà coraggio e questa è la fede! Il piccolo gruppo dei discepoli di Gesù sta per sparpagliarsi
nel giro di poche ore. Il Pastore sarà crocifisso e le pecore disperse. Proprio in questo frangente,
Gesù dice loro “Non siete voi che avete scelto me, sono io che ho scelto voi.”
Il Suo grande proposito è che noi portiamo frutto, non un frutto che passa via, ma un frutto che
rimane. Deve essere tutto nella Sua volontà. Se dimoriamo in Gesù, possiamo quindi chiedere nel
Suo nome. Ancora una volta Gesù pone enfasi sul portare frutto, affermando ancora che dovremmo
amarci gli uni gli altri. Questa dovrebbe essere la relazione tra credenti.
C’è anche una relazione col mondo, ed ora Gesù entra in argomento.
Leggiamo i versetti da 18 a 25 di Giovanni 15, che parlano della relazione con il mondo:
“Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo
amerebbe quello che è suo; poiché non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo,
perciò il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detta: “Il servo non è più grande del suo
signore”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola,
osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo ve lo faranno a causa del mio nome, perché non
conoscono colui che mi ha mandato. Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero
colpa; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. Chi odia me, odia anche il Padre mio. Se non
avessi fatto tra di loro le opere che nessun altro ha mai fatte, non avrebbero colpa; ma ora le hanno
viste, e hanno odiato me e il Padre mio. Ma questo è avvenuto affinché sia adempiuta la parola
scritta nella loro legge: “Mi hanno odiato senza motivo”.
Giovanni 15:18,25
Nei versetti precedenti abbiamo visto come i seguaci di Gesù dovevano essere ubbidienti, erano
amati e scelti da Lui. Ma nei confronti del mondo le cose sono diverse.
Osserva ciò che accadrà se sei un figlio di Dio. Il mondo ti odierà. Credo che la popolarità di un
credente possa essere una indicazione di come egli stia rappresentando Cristo al mondo.
Non credo che un credente possa essere troppo popolare nel mondo.
Nessun credente ha il diritto di essere più popolare di Gesù. Attenti a non scendere a compromessi
pur di essere famoso. Il mondo non amerà un vero figlio di Dio.
Il mondo ti amerà se sei del mondo. Non devi comportarti stranamente oppure essere super
spirituale. Il mondo ti odierà se tu sei un figlio di Dio.
E’ difficile questo, specie per i giovani che desiderano molto essere famosi e vivere tranquilli.
Diciamo ai nostri giovani cosa dice il Signore. Non devono aspettarsi di essere famosi agli occhi del
mondo se sono figli di Dio.
7
Non cercate di essere più grandi del vostro Signore. Il servo non deve essere più famoso del Maestro.
E’ detto che il mondo odierà i seguaci di Gesù perché odiano Lui e chi odia Lui odia anche il Padre.
Il mondo non ha scuse per il fatto di rifiutare Gesù.
Ha avuto la possibilità di vedere le opere che Gesù ha compiuto, ma le ha rifiutate.
Chi odia me, odia il Padre, è una frase molto importante. Il mondo non odia l’idea di Dio, qualcosa
di vago lassù. E’ Cristo che essi odiano. Gesù lo dice chiaramente in questo stesso Vangelo di
Giovanni 3:19 l’apostolo Giovanni si esprime così: Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo
e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
“Essi mi hanno odiato senza motivo”. Non c’è motivo per odiare Gesù. La causa è nel cuore pieno
di peccato degli uomini.
Gesù cita questo come adempimento dei Salmi 35:19 e 69:4, quando dice che lo hanno odiato senza
motivo. Essi odiano Gesù Cristo perché li ha messi di fronte alla luce che metteva in evidenza le loro
opere malvagie.
Gesù termina questa sezione negativa in cui si parla di odio dicendo, nei versetti 26 e 27:
Ma quando sarà venuto il Consolatore che io vi manderò da parte del Padre, lo Spirito della verità
che procede dal Padre, egli testimonierà di me; e anche voi mi renderete testimonianza, perché
siete stati con me fin dal principio.
Giovanni 15:26,27
Lo Spirito Santo testimonierà di Cristo. Se il Signore Gesù Cristo è reale per voi, questa è opera
dello Spirito Santo. Un modo per dire se lo Spirito di Dio è all’opera è se Cristo viene glorificato.
Se il Signore Gesù non è reale per te come tu vorresti che fosse, chiedi allo Spirito di Dio di
compiere un’opera nel tuo cuore.
Abbiamo bisogno della realtà di Cristo nei nostri cuori e nelle nostre vite.
Gesù disse ai discepoli che essi avrebbero testimoniato di Lui, ed essi infatti lo fecero.
E’ proprio la testimonianza di Giovanni sul Signore Gesù Cristo che stiamo studiando ora.
Nessuno, al di fuori degli apostoli, poteva testimoniare in tal modo, perché essi sono stati con Gesù
fin dal principio.

 

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