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RIFLESSIONI

LA FEDE DEL SOLDATO ROMANO

 

LUCA 7 Questo capitolo inizia con un altro accurato racconto di una guarigione. In questo caso si tratta del servo di un centurione romano. Anche se Gesù non ebbe contatti personali con il servo lo guarì ugualmente. Luca racconta poi la risurrezione dalla morte del figlio della vedova di Nain. E’ l’unico scrittore dei Vangeli che mette in evidenza il fatto che Gesù abbia risuscitato due persone dalla morte (l’altra era la figlia di Iairo, cap. 8:54-55). In questo capitolo troviamo anche la prima delle 18 parabole che solo Luca riporta. Scaturisce dalla visita di Gesù alla casa di un Fariseo dove una donna Gli unge i piedi. La semplice parabola finale dei due debitori rivela che questa donna di strada era meglio di Simone, il Fariseo. Iniziamo ora l’analisi del capitolo leggendo i primi dieci versetti: “Dopo che egli ebbe terminato tutti questi discorsi davanti al popolo che l’ascoltava, entrò in Capernaum. Un centurione aveva un servo, molto stimato, che era infermo e stava per morire; avendo udito parlare di Gesù, gli mandò degli anziani dei Giudei per pregarlo che venisse a guarire il suo servo. Essi, presentatisi a Gesù, lo pregavano con insistenza, dicendo: “Egli merita che tu gli conceda questo; perché ama la nostra nazione ed è lui che ci ha costruito la sinagoga”. Gesù s’incamminò con loro; ormai non si trovava più molto lontano dalla casa, quando il centurione mandò degli amici a dirgli: “Signore, non darti quest’incomodo, perché io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; perciò non mi sono neppure ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io sono uomo sottoposto all’autorità altrui, e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: “Vai”, ed egli va; a un altro: “Vieni”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo”, ed egli lo fa”. Udito questo, Gesù restò meravigliato di lui; e, rivolgendosi alla folla che lo seguiva, disse: “Io vi dico che neppure in Israele ho trovato una così gran fede!” E quando gli inviati furono tornati a casa, trovarono il servo guarito. Luca 7:1-10 C’erano molti soldati romani in città. Un centurione era un ufficiale Romano che aveva sotto di sé cento uomini. Apparentemente questo era un uomo di fede. Il suo amore per la nazione giudea è evidenziato dal fatto che aveva fatto costruire una sinagoga per loro a Capernaum. Era un ufficiale con autorità, poteva dire a un soldato: “Fai questo o vai li” e il soldato avrebbe ubbidito. Egli riconobbe che Gesù aveva quel tipo d autorità e di potenza, e che doveva soltanto dire una parola perché il suo servo fosse guarito. Gesù si meraviglia della fede di quest’uomo ed è interessante notare che solo in due occasioni Gesù si meraviglia. Si meraviglia della fede del centurione e dell’incredulità di Israele.

 

A chi diamo ascolto?

 

«Cosí dice l’Eterno degli eserciti: Non ascoltate le parole dei profeti che vi profetizzano. Essi vi fanno diventare spregevoli; vi espongono le visioni del loro cuore e non ciò che procede dalla bocca dell’Eterno. Dicono del continuo a quelli che mi disprezzano: ,L’Eterno ha detto: Avrete pace’ e a tutti quelli che camminano nella caparbietà del proprio cuore: ,Nessun male verrà su di voi’. Ma chi ha assistito al consiglio dell’Eterno? Chi ha visto, chi ha udito la sua parola? Chi ha prestato attenzione alla sua parola e l’ha udita? Ecco, la tempesta dell’Eterno si scatena furiosamente, una tempesta spaventevole si abbatterà sul capo degli empi. L’ira dell’Eterno non si acqueterà finché non abbia eseguito e compiuto i disegni del suo cuore; negli ultimi giorni lo capirete perfettamente.

 

Io non ho mandato quei profeti; ma essi sono corsi; non ho parlato loro ma essi hanno profetizzato. Ma se avessero assistito al mio consiglio, allora avrebbero fatto udire le mie parole al mio popolo, e cosí li avrebbero fatti allontanare dalla loro cattiva via e dalla malvagità delle loro azioni. Son io soltanto un DIO da vicino, dice l’Eterno, e non anche un DIO da lontano? Potrebbe uno nascondersi nei nascondigli senza che io lo veda?, dice l’Eterno. Non riempio io il cielo e la terra?, dice l’Eterno.

 

Ho udito ciò che dicono i profeti che profetizzano menzogne nel mio nome, dicendo: ,Ho avuto un sogno, ho avuto un sogno!’. Fino a quando durerà questo nel cuore di questi profeti che profetizzano menzogne e profetizzano l’inganno del loro cuore? Essi pensano di far dimenticare il mio nome al mio popolo con i loro sogni che si raccontano l’un l’altro, come i loro padri dimenticarono il mio nome per Baal. Il profeta che ha avuto un sogno racconti il sogno, ma chi ha la mia parola riferisca la mia parola fedelmente. Che ha da fare la paglia col frumento?, dice l’Eterno. La mia parola non è come il fuoco?, dice l’Eterno, e come un martello che spezza il sasso?» (Geremia 23: 16 a 29)

 

L’uomo che doveva trasmettere un messaggio del genere certamente non avrebbe avuto la vita facile. In più si trattava di un giovane sensibile al quale era stato affidato un compito difficilissimo. All’inizio era restio nell’accettare questo compito pesante ed è vero che diverse volte nel compierlo quasi gli si spezzò il cuore. Nel corso del suo ministero attirò l’odio e il rifiuto di molti mettendo addirittura in pericolo la propria vita. La sua professione gli portò la solitudine e la sofferenza. Credo che nessuno risponderebbe ad un’offerta di lavoro con una tale descrizione!

 

La persona di cui abbiamo parlato si chiamava Geremia ed il suo datore di lavoro era Dio. La sua professione era quella del profeta in Giudea alla fine del settimo secolo avanti Cristo.

 

I profeti dell’antico Israele avevano il compito di proclamare la Parola di Dio al popolo e così pure Geremia. Quando Dio lo chiamò, gli toccò la bocca e disse: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca…»

 

Quest’autorizzazione è importantissima per Geremia perché il contenuto dei suoi messaggi era tutt’altro che piacevole per gli ascoltatori.

 

Gli abitanti della Giudea avevano abbandonato il loro Dio e si erano rivolti agli idoli. Per questa ragione Dio avrebbe mandato forze nemiche anche contro Gerusalemme affinché l’assediassero, come l’aveva già compiuto nei confronti del regno israelita del Nord che ormai da cent’anni era territorio conquistato e soggiogato.

 

Era dunque il compito di Geremia annunciare il giudizio divino imminente, è ciò esigeva tutte le sue forze. Visto che non tentava in alcun modo di mitigare la Parola di Dio, subì il disprezzo dei rei, ministri, sacerdoti e dei suoi colleghi profeti. Con gran sacrificio e fedeltà adempì la sua missione nonostante gli costasse molto accettare la volontà di Dio per la sua vita.

 

Il popolo tuttavia non lo ascoltò e si rifiutò di accettare Geremia quale portavoce di Dio. Il suo messaggio sembrava troppo duro ed era quindi inaccettabile per loro. La questione però è: a chi dava ascolto il popolo di Dio?

 

Gli israeliti avevano in fondo soltanto due possibilità: o ascoltavano i veri profeti o quelli falsi, vale a dire coloro che si erano autodichiarati tali.

 

Purtroppo Geremia dovette affrontare la delusione che la sua “chiesa” continuasse a svuotarsi. Non c’era più nessuno che si voleva ascoltare le prediche sul giudizio perché si preferiva prestare orecchio ai predicatori che portavano messaggi gradevoli.

 

Dio a Sua volta non si rassegnò, ma incaricò Geremia di mettere in guardia il popolo nei riguardi ai profeti falsi. Ricordiamo i primi due versi (16 a 17) del passo biblico che stiamo considerando: «Cosí dice l’Eterno degli eserciti: “Non ascoltate le parole dei profeti che vi profetizzano. Essi vi fanno diventare spregevoli; vi espongono le visioni del loro cuore e non ciò che procede dalla bocca dell’Eterno. Dicono del continuo a quelli che mi disprezzano: ,L’Eterno ha detto: Avrete pace’ e a tutti quelli che camminano nella caparbietà del proprio cuore: ,Nessun male verrà su di voi’.»

 

Qual è la radice del problema riguardo ai falsi profeti?

 

Cos’è «falso» nei profeti falsi? Forse assomigliavano ai veri profeti perché certamente utilizzavano lo stesso linguaggio religioso, per esempio, «così dice il Signore» o «Shalom» (vedi Geremia 23: 17).

 

Parlavano un linguaggio religioso, ma non la Parola di Dio.

 

Erano spigliati nell’affermare che avevano ricevuto «una Parola di Dio», come abbiamo già constatato, utilizzando l’espressione «così dice il Signore» con sfacciata disinvoltura.

 

In più, si vantavano dei propri sogni che secondo loro erano colmi di significati importanti raccontandoli a tutti e pretendendo che Dio avesse parlato per mezzo loro.

 

Dio nondimeno li vide in tutt’altra luce e dichiarò che essi ingannavano il popolo con i loro discorsi vani. Seppure il messaggio sembrasse spirituale, non proveniva da Dio, ma nasceva dal cuore del falso profeta.

 

Predicavano ciò che corrispondeva ai loro desideri.

 

Peggio ancora: proclamavano ciò che il popolo voleva sentire (vedi Michea 2: 11 e 3: 9 a 11).

 

Assicuravano agli israeliti che avevano girato le spalle a Dio che il «Shalom», in altre parole la pace universale di Dio, fosse con loro (vedi Geremia 6: 14 e 23: 17 e 27: 9) e che dunque nessuna disgrazia avrebbe colpito chi aveva ormai un cuore insensibile per la voce divina.

 

Predicavano quindi il contrario di ciò che Geremia aveva annunciato. Parlavano della pace, quando non c’era pace. Cullavano il popolo nella falsa speranza che nulla di grave sarebbe capitato.

 

Palesemente il loro messaggio era privo dell’autorità divina perché questi «profeti» non intrattenevano alcun rapporto con Dio.

 

Non c’era alcun rapporto con Dio.

 

Dio stesso dichiarò che i falsi profeti non facevano parte «del consiglio del Signore», che non avevano affatto ubbidito alla Sua parola, che non avevano ricevuto la Sua chiamata e dunque non conoscevano la Sua voce. Del resto gli israeliti potevano giudicare loro stessi se il messaggio profetico era vero o falso. La prova del vero profeta consisteva nel fatto che i suoi messaggi combaciavano con quelli degli altri veri profeti ed in particolare con la legge di Mosé (vedi Deuteronomio 18:22: «Quando il profeta parla in nome dell’Eterno e la cosa non succede… » Quest’ultima espressione può essere tradotta anche «la cosa non è» rispettivamente «non esiste». Ciò significa che non è valida in confronto ai messaggi dei veri profeti!) I falsi profeti ovviamente non si attenevano a questi criteri, altrimenti avrebbero predicato al popolo affinché si rendesse conto del suo stato immorale per pentirsi e convertirsi.

 

Come se non bastasse che propagavano dottrine false, vivevano nel peccato e lo approvavano nella vita degli altri.

 

Vivevano nel peccato e lo approvavano.

 

Il verso 11, nonché i versi 13 a 14, ne sono la conferma. I falsi profeti erano adulteri ed impostori, e ciò senza sentirsi colpevoli, anzi incoraggiavano altri nella loro iniquità (vedi Isaia 28: 7 e segg.; Michea 3: 5; Geremia 29: 21 a 23).

 

Tutto ciò, insieme ai messaggi falsi ed il loro brutto esempio, doveva per forza contribuire alla decadenza del popolo che fece cadere nell’oblio «il nome del Signore» (verso 27 e vedi Deuteronomio 13: 1 a 4).

 

Fecero dimenticare Dio.

 

Non si riconosceva più la necessità di pentirsi e di ritornare a Dio (verso 14). Non c’è da meravigliarsi, dopotutto non sentivano altro che: «Il tuo modo di vivere va benissimo!»

 

Il punto di vista divino invece è molto diverso, come possiamo dedurre dal nostro passo. Non più per molto osserverà il comportamento dei falsi profeti che seducono il popolo e lo mandano in rovina. Li giudicherà (versi 19 e 20). È da notare che non c’erano falsi profeti soltanto nell’Antico Testamento. Anche nel Nuovo Testamento scopriamo molti passi nelle epistole dove gli autori mettono in guardia contro i «falsi dottori». Il soggetto lo trattano in termini simili a quelli utilizzati nell’Antico Testamento. In Colossesi 2: 23 c’è scritto che i falsi dottori hanno la «sembianza di sapienza» perché danno l’impressione di essere religiosi e umili. Anche loro pretendono di essere spirituali, ma sono lupi travestiti da pecore che propagano concetti falsi e disprezzano Dio vivendo nel peccato e trascinando altri con loro.

 

Non ascoltare menzogne gradevoli!

 

Così come il popolo d’Israele si fece ingannare dalle menzogne dei falsi profeti, anche noi cristiani del 21° secolo dobbiamo affrontare menzogne gradevoli che possono ingannarci.

 

Forse una delle bugie alle quali gli abitanti della Giudea avevano dato ascolto era:

 

* Non è poi così grave, se pecco!

 

Sono quasi certo che nessuno tra noi desideroso di seguire Gesù con tutto il cuore direbbe una cosa del genere. Ma in realtà come ci comportiamo? Non pensiamo ogni tanto:

 

«Visto che Gesù si è addossato il giudizio di Dio per la nostra colpa, non è poi così grave se pecchiamo!» Questa menzogna è particolarmente pericolosa perché contiene un granello di verità. È vero che noi, quali figli di Dio, non saremo più condannati eternamente a causa dei nostri peccati. Il castigo che ci eravamo meritato è ricaduto su Gesù. Per questa ragione si potrebbe in un certo senso veramente dire: «Non è poi così grave…!»

 

In questo modo tuttavia la grazia di Dio è disprezzata e considerata di poco valore. È vero che senz’altro possiamo accettare il dono del perdono e che dobbiamo accettarlo sempre di nuovo. Ciò però dovrebbe spingerci a vivere una vita coerente da seguaci di Gesù per gratitudine ed evitando il peccato. Simile alla nazione d’Israele d’allora dovremmo rappresentare quale popolo di Dio la Sua santità in terra. Certo che è in gioco qualcosa di molto importante, perché non possiamo aspettarci che Dio compia cose grandiose per mezzo nostro, se ci lasciamo ingannare da questa menzogna – ammettendo che si tratti di una falsità seducente.

 

Un’altro inganno piacevole è:

 

* Dio esaudisce tutti i miei desideri.

 

Un predicatore disse una volta: «Spesso ci serviamo di Gesù come se fosse un farmacista che adempie tutte le nostre esigenze sia quelle pie sia quelle meno pie. Se ho un dolorino vado da Gesù che mi guarisce».

 

Questa citazione descrive precisamente l’atteggiamento dei profeti falsi e del popolo d’Israele. I profeti profetizzarono ciò che serbavano nei propri cuori e adattarono il messaggio a piacimento dei loro ascoltatori (vedi Geremia 14: 14).

 

Penso che si tratti di una menzogna molto gradita che ci piace credere. Siamo convinti di sapere cosa è necessario per la nostra felicità servendoci di Dio per i nostri fini e riducendolo così al ruolo d’aiutante.

 

Anzi, è sorprendente ma vero che Dio desidera darti «i desideri del tuo cuore» (Salmo 37: 4). A condizione però che tu «prendi il tuo diletto nell’Eterno», che tu ci tieni a diventare sempre più simile a Gesù. Se ciò si verifica con l’andare del tempo nella tua vita, allora i tuoi desideri personali si conformeranno sempre di più alla volontà di Dio.

 

Penso che esiste una terza menzogna:

 

* Non ho bisogno della Bibbia, Dio mi parla direttamente!

 

Geremia descrive al versetto 25 come i profeti erano occupatissimi a celebrare i loro sogni più recenti esultando: «Ho sognato, ho sognato!»

 

I profeti falsi non si erano curati di condurre una vita integra nel cospetto di Dio e di cercare diligentemente la Sua volontà. Giacché Dio si rifiutò di rivelarsi a loro, interpretarono ogni sogno ed ogni desiderio del loro cuore come volontà di Dio.

 

Credo che anche noi siamo tentati a comportarci nello stesso modo.

 

Non fraintendetemi: Dio, se vuole, parla ancora nei nostri tempi direttamente alle persone, per mezzo di un sogno, di una voce, di una catastrofe, di un consiglio amichevole o altro. Dio si rivela ancor’oggi in «modo straordinario» perché ne ha tutta la libertà.

 

Ma questa voce sottile di Dio, o come la vogliamo chiamare, non ci risparmierà mai lo studio intenso della Parola, vale dire la Bibbia.

 

Naturalmente fa comodo se Dio ci parlasse in modo inequivocabile indicandoci cosa desidera che facciamo in certe situazioni.

 

Tuttavia, Dio ha rivelato così tanto a riguardo della Sua persona, del Suo carattere e della Sua volontà che non ci mancano le conoscenze necessarie. Per questa ragione dovremmo dedicare tutta la nostra vita alla lettura per diventare «investigatori della Bibbia». Ciò significa, leggere con attenzione cosa dice la Parola di Dio e chiedersi cosa significa. Se c’impegniamo con sincerità e devozione, Dio non mancherà di rivelarsi a noi, di plasmare il nostro carattere e di trasformarci!

 

In quel momento comincerà l’avventura, la sfida di mettere in pratica la nostra conoscenza di Dio. È il suo desiderio che maturiamo e che ci sviluppiamo come persone responsabili che fanno le loro scelte in modo naturale e le mettono in atto perché sanno cosa Dio dice nella Sua Parola.

 

Per questa ragione non ci fermiamo all’ammonimento «Non ascoltare le menzogne gradevoli», ma prendiamo sul serio l’incarico espresso nella seguente esortazione chiara:

 

Ascolta la Parola potente di Dio!

 

Invece di ascoltare menzogne, dovremmo concentrarci sulla Parola di Dio! Non sono i propri desideri e concetti su Dio che contano, ma ciò che Egli stesso dice di Sé!

 

I versetti 28 a 29 in Geremia 23 c’insegnano che niente può concorrere alla Parola di Dio. Ogni altra cosa sbiadisce ed è senza forza nei confronti della Sua potenza. La descrizione della Parola di Dio in verso 29 è impressionante.

 

La Parola di Dio non è sempre dolce e gentile, ma può essere dura come un martello. Geremia ne ha sentito le ripercussioni sul proprio corpo. La Parola di Dio ha messo sottosopra la sua vita intera così che ne sono scaturite diverse difficoltà.

 

Viveva, però nella presenza di Dio, teneva l’orecchio vicino alla bocca del Signore ed era poi anche disposto di compiere la volontà divina – malgrado avrebbe desiderato una via più facile.

 

Sono certo che Geremia alla fine della sua vita gioiva nella certezza di aver svolto quello per cui Dio lo aveva chiamato. In fin dei conti, importa solo quello.

 

Lo auguro a ciascuno di noi che impariamo ad essere attenti a chi diamo ascolto, affinché non ci lasciamo ingannare da menzogne gradevoli, ma ascoltiamo la Parola potente di Dio.

 

Ciò trasformerà la nostra vita perché Dio farà di noi persone che vivono secondo la Sua volontà.

 

N. Fastenrath

GIOVANNI 3

Ora leggiamo il primo passo del terzo capitolo del Vangelo di Giovanni dal versetto1 al versetto 21

C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Egli venne di notte da

Gesù, e gli disse: “Rabbì, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio; perché nessuno può

fare questi miracoli che tu fai, se Dio non è con lui”. Gesù gli rispose: “In verità, in verità ti dico

che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio”. Nicodemo gli disse: “Come può un

uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e

nascere?” Gesù rispose: “In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non

può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo

Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: “Bisogna che nasciate di nuovo”. Il vento soffia

dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato

dallo Spirito”. Nicodemo replicò e gli disse: “Come possono avvenire queste cose?”. Gesù gli

rispose: “Tu sei maestro d’Israele e non sai queste cose? In verità, in verità ti dico che noi parliamo

di ciò che sappiamo e testimoniamo di ciò che abbiamo visto; ma voi non ricevete la nostra

testimonianza. Se vi ho parlato delle cose terrene e non credete, come crederete se vi parlerò delle

cose celesti? Nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell’uomo che è

nel cielo. “E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell’uomo sia

innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna. Perché Dio ha tanto amato il mondo, che

ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.

Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia

salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non

ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo e

gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Perché

chiunque fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce, affinché le sue opere non siano

scoperte; ma chi mette in pratica la verità viene alla luce, affinché le sue opere siano manifestate,

perché sono fatte in Dio”.

Giovnni.3:1-21

Esaminiamo il capitolo 3 del Vangelo di Giovanni che possiamo dividere in due parti.

Nella prima viene riportato l’incontro di Gesù con Nicodemo, che abbiamo già letto ieri, e nella

seconda troveremo un’altra testimonianza di Giovanni Battista nei confronti di Gesù.

Nicodemo era un fariseo membro del Sinedrio, facente parte quindi del gruppo di persone che

avevano la guida spirituale del popolo; ma era un uomo sincero e voleva incontrare Gesù per motivi

seri, per questo Giovanni non ne parla in modo ostile come generalmente fa’ nel suo vangelo. Se

analizziamo quanto ci viene detto di lui troviamo che era appunto un Fariseo, cioè apparteneva al

gruppo più importante in Israele. I Farisei credevano nell’ispirazione del Vecchio Testamento, nella

venuta del Messia, nei miracoli e nella resurrezione.

Quindi era un Fariseo, poi ci viene precisato il nome Nicodemo, e da ultimo viene definito un capo

dei giudei, e tutto questo ci parla delle tre maschere che quest’uomo soleva indossare.

Questa è un’immagine dell’uomo moderno. Nicodemo era uno dei Farisei quando era insieme a loro,

e si comportava come uno di loro. Quando non era con i Farisei e camminava per la strada, le

persone si facevano da parte; egli indossava il mantello, le filatterie ( particolari decorazioni del

vestito che lo rendevano riconoscibile), e lo scialle di preghiera e la gente pensava che egli fosse un

capo, una persona importante, e lui avrà di conseguenza assunto un diverso atteggiamento con loro.

Ma il suo nome era Nicodemo e sotto queste due maschere che di solito indossava egli era

semplicemente una persona normale.

Molte persone oggi vivono nello stesso modo di Nicodemo allora. Prendiamo ad esempio un uomo

d’affari, presidente di una società. Quando al mattino va in ufficio, i suoi impiegati lo salutano

cerimoniosamente, ma in realtà non lo conoscono.

A mezzogiorno egli si reca al club per pranzare e giocare a tennis con gli amici, non è più il Dottor

Rossi, ma semplicemente Giovanni Rossi, il rapporto è

più confidenziale e a chi gli chiede come vanno gli affari egli risponde che vanno bene.

Poi alla sera, finito il lavoro, ritorna a casa, si toglie il soprabito, si sdraia in poltrona e si toglie

entrambe le maschere, ora è semplicemente Giovanni e a sua moglie che gli chiede come vanno le

cose egli risponde che gli affari fanno schifo. Questo è egli in realtà.

Nicodemo va dal Signore Gesù indossando una maschera; lui dice “noi sappiamo”.

Chi sono questi noi? I Farisei, quindi lui in quel momento è un fariseo.

Nicodemo fa un apprezzamento sincero, non è un ipocrita e riconosce che Gesù è un maestro venuto

da Dio. Penso che Nicodemo volesse parlare con Gesù del Regno di Dio auspicato dai farisei per

liberarsi dal giogo dei Romani, anche se non sapevano come tutto ciò sarebbe potuto avvenire. Ora

era venuta una persona con il favore del popolo e moltitudini di folla al seguito e quindi i Farisei

volevano attaccare il loro piccolo carro a questa stella.

Dal momento che Gesù proveniva dalla Galilea e loro ritenevano che non sapesse come trattare con i

politici come potevano fare loro, volevano unire le forze.

La prova alla quale Nicodemo si riferisce sono i miracoli compiuti da Gesù. Notiamo che nessuno in

quei tempi metteva in dubbio i miracoli del Signore, mentre oggi a distanza di duemila anni e di

migliaia di chilometri dal paese in cui avvennero, tanti professori dubitano dei miracoli.

Eppure allora nè gli amici e nemmeno gli avversari li avevano messi in dubbio.

Il Signore lo interrompe improvvisamente per cui ritengo che Nicodemo fosse venuto a parlare del

regno di Dio. Gesù gli dice che lui non avrebbe visto il regno di Dio se non fosse nato di nuovo. Ora

abbiamo un fariseo, religioso dalla testa ai piedi, e il Signore gli dice che non vedrà il regno di Dio

se non nasce di nuovo. Questa affermazione deve averlo quanto meno sconcertato, e quindi si toglie

la maschera da Fariseo, ma tiene ancora quella di capo dei Giudei.

La parola greca usata per “di nuovo” significa “dall’alto”.

Quest’uomo non riusciva a pensare a niente altro che a una nascita fisica e, togliendosi la maschera

sussiegosa del fariseo, chiede come questo potesse avvenire.

Il Signore non stava parlando di una nascita fisica, ma di una nascita spirituale, che Nicodemo non

era in grado di capire, perché non aveva nessuna capacità spirituale per farlo.

Che cosa significa nascere d’acqua e di Spirito? Alcuni pensano che nascere d’acqua si riferisca al

battesimo, ma se fosse vero si tratterebbe di una frase strana.

Altri pensano alla nascita fisica, in quanto il bambino nel grembo materno è immerso nel liquido, ma

anche questo non è vero. Gesù sta parlando di come un uomo può nascere dall’alto o di nuovo.

Come abbiamo visto nel capitolo 2, l’acqua è un simbolo della Parola di Dio, e alla fine di questo

libro Gesù dice Giovanni 17:17: “Santificali nella verità; la tua parola è verità” .

Nella Parola di Dio esiste una potenza purificatrice. Anche al cap.15:3 Gesù dice: “Voi siete già puri

a causa della parola che vi ho annunziata”. La Parola di Dio è associata a più riprese con l’acqua e

noi crediamo che nascere d’acqua e di Spirito significhi che una persona deve nascere di nuovo per

mezzo dello Spirito Santo con l’aiuto delle Scritture.

Infine crediamo che nessuno può nascere di nuovo senza la Parola di Dio applicata dallo Spirito

Santo; si nasce di nuovo usando la Parola di Dio e lo Spirito Santo la rende reale nel cuore.

Nel libro degli Atti ci sono tre conversioni importanti e ci sono state raccontate principalmente come

illustrazioni: la conversione dell’eunuco Etiope, la conversione di Cornelio e la conversione di Paolo.

Questi tre uomini rappresentano le tre discendenze di Noè: il figlio di Sem, di Cam e di Iafet. In

ciascuno di questi tre casi la Parola di Dio è stata usata dallo Spirito per la conversione.

Il metodo di Dio sembra essere la Parola usata dallo Spirito trasmesso da un uomo di Dio.

Io sono convinto che il Signore Gesù parlando della nascita d’acqua e di Spirito si riferiva allo

Spirito Santo che usa la Parola di Dio.Dio non ha intenzione di cambiare la carne, la vecchia natura

che noi abbiamo, perché non può essere cambiata.

3

La vecchia natura è in guerra contro Dio, come leggiamo in Romani 8:7-8:

“Infatti ciò che brama la carne è inimicizia contro Dio; perché non è sottomesso alla legge di Dio e

neppure può esserlo, e quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio”.

Dio non ha un progetto per la nostra vecchia natura, cioè non intende recuperarla, migliorarla,

svilupparla o salvarla. La vecchia natura scenderà nella tomba con noi, e se il Signore ritorna prima

della nostra morte, noi saremo trasformati in un batter di ciglia e ci libereremo della nostra vecchia

natura. Questa natura non riesce ad ubbidire a Dio e ciò che è nato dalla carne è carne.

Dio non ha intenzione di salvare la vecchia natura, ma la vuole sostituire con una nuova; la nascita

spirituale è necessaria dunque per ottenere una nuova natura. Notiamo che Nicodemo perde anche la

maschera di “capo dei Giudei” dietro la quale si era finora nascosto.

Il Signore sta dicendo che le correnti d’aria e i venti sono cose che l’uomo non può controllare; il

vento soffia dove vuole e noi non possiamo deviarlo o domarlo.

Anche se non possiamo controllare il vento, possiamo però sentirlo soffiare, perché vediamo agitarsi

le foglie degli alberi e i rami piegarsi.

Io non so come spiegare razionalmente la nascita spirituale, ma anche se non capiamo

completamente e non sappiamo dire come agisce esattamente lo Spirito di Dio, possiamo dire

sicuramente che lo Spirito agisce nella vita e nel cuore delle persone. Ecco che cosa voleva dire il

Signore quando diceva che il vento soffia dove vuole. Il miracolo della nuova nascita non può in

alcun caso essere frutto dell’ingegno e dello sforzo umano.

L’attività dello Spirito sfugge al controllo umano.

Il Signore ha tolto le due maschere a Nicodemo e l’uomo che gli sta davanti non è più l’uomo dei

Farisei e il capo dei Giudei. Chi è ora?

Nicodemo ritrova se stesso e con semplicità chiede a Gesù come possono accadere queste cose, e il

Signore gli risponderà altrettanto semplicemente.

A proposito, anche noi possiamo indossare delle maschere a seconda del posto in cui ci troviamo.

La maschera nasconde la nostra vera identità; ma quando siamo di fronte a Gesù dobbiamo togliere

tutte le maschere, dobbiamo presentare il nostro vero “io”, e anche il Signore tratterà con noi in

modo diretto. Gesù usa un tono gentilmente ironico con Nicodemo, dicendogli che lui come capo dei

Giudei agiva come se Gesù stesse dicendo qualcosa che non poteva essere vera, perché se lo fosse

stata, lui come dottore avrebbe dovuto conoscerla.

Gesù fa notare a Nicodemo che egli non ha ricevuto la sua testimonianza, anche se era rivolta a lui.

Poi gli mostra un grande movimento che viene riportato nel vangelo. Nell’introduzione avevamo già

parlato del fatto che Gesù era venuto dal Padre in questo mondo e che poi avrebbe lasciato il mondo

per ritornare al Padre. Ora egli dice: “Nessuno è salito in cielo”.

Questa è la risposta per coloro che oggi pensano che Elia ed Enoc siano andati in cielo al momento

del loro rapimento. Non credo che sia così perché fino a questo momento il Signore Gesù dice che

nessuno è mai salito in cielo se non colui che è disceso dal cielo, cioè il Figlio dell’Uomo che è in

cielo. In altre parole, egli dice che Gesù è l’unico che può parlare del cielo perché è l’unico che è

salito in cielo. Ora è vero che una folla di persone è andata in cielo dopo Cristo, ma nel Vecchio

Testamento quando un credente moriva, egli andava in un luogo chiamato Paradiso o seno

d’Abramo, come viene precisato in Luca 16:22.

Soltanto dopo che Cristo morì e ascese in cielo ed ebbe liberato i prigionieri dalla cattività, Gesù

prese coloro che si trovavano in Paradiso e li portò alla presenza di Dio. Da allora in poi il credente

che muore è sempre stato 2°Corinzi 5:8″… assente dal corpo… presente con il Signore”.

Ma quando Gesù era sulla terra nessun uomo era mai salito in cielo.

Quando Mosè mise il serpente di rame su un’asta dopo il giudizio di Dio per il peccato del popolo,

tutto quello che essi dovevano fare era di guardarlo e sarebbero stati guariti.

Così come Mosè alzò il serpente, anche Cristo doveva essere innalzato; il serpente rappresentava il

peccato del popolo e Cristo è stato fatto peccato per noi sulla croce perché ha portato su di sé i nostri

peccati.

Più avanti, nel vs.16 di Giovanni 3, Gesù ripete a Nicodemo le parole più note di tutta la Bibbia:

Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in

lui non perisca, ma abbia vita eterna.

Due cose sono fondamentali: la prima è che noi dobbiamo nascere di nuovo e la seconda che il

Figlio dell’Uomo deve essere innalzato; le due cose sono collegate.

Occorrono sia la morte che la resurrezione di Cristo; dal momento che egli è stato innalzato, ha

portato la nostra condanna, lo Spirito di Dio può rigenerarci, e noi dobbiamo nascere di nuovo e

questo è l’unico modo in cui Dio può riceverci.

La ragione di tutto questo è che Dio ha tanto amato il mondo. Oggi si pensa erroneamente che Dio ha

salvato il mondo per amore. Non ci viene detto che l’amore di Dio ha salvato il mondo, perché tale

amore non potrà mai salvare un peccatore. Dio non salva per amore, ma per grazia, come leggiamo

in Efesini 2:8-9: “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi:

è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti”.

Quindi Dio salva per grazia. Egli ha tanto amato il mondo, che ha dato il Suo unigenito Figlio perché

chiunque (e qui potete mettere il vostro nome) crede in lui, non perisca, ma abbia vita eterna.

Notiamo che accanto al verbo credere c’è una piccola preposizione “in”, che significa credere in

Cristo, cioè avere fede che lui è l’unico che ha portato la condanna per i nostri peccati. Questo è un

fatto personale; ognuno di noi deve credere che Gesù è morto al nostro posto.

Tu devi credere che Cristo è morto per te.

Giovanni prosegue dicendoci che, quando Gesù è venuto per la prima volta, non è venuto in veste di

giudice, ma come Salvatore. Sta dicendo che Dio non lo ha mandato sulla terra per condannare il

mondo, ma perché il mondo fosse salvato attraverso di lui, e chiunque non crede in lui è condannato.

Chi non crede è già condannato. Perché? Perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di

Dio, questo nome meraviglioso di Gesù, che significa Salvatore del mondo.

Chiunque crede in quel nome non è più sotto la giusta condanna divina, ma ha la vita eterna.

Ricordiamo che Gesù sta parlando a Nicodemo che è un Fariseo. I Farisei credevano che il Messia

sarebbe venuto come giudice. Il Vecchio Testamento presentava due aspetti del Messia, uno come

Salvatore che veniva per morire e pagare la condanna e l’altro che veniva come giudice. Così loro

pensavano che il Messia sarebbe venuto a giudicare.

Nel Salmo 2:9 leggiamo:”Tu le spezzerai con una verga di ferro…”

E Daniele 7:13-14 parla di lui come un giudice del mondo intero: “Io guardavo, nelle visioni

notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile ad un figlio d’uomo; egli giunse fino al

vegliardo e fu fatto avvicinare a Lui; gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni

popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo

regno è un regno che non sarà distrutto.”

Il Salmo 45 parla del suo regno del mondo con giustizia e Isaia 11 e 42 parla del suo giudizio con

giustizia. Il Signore Gesù chiarisce a Nicodemo che Dio non ha mandato suo Figlio in quel momento

per giudicare il mondo, ma per salvarlo. La parola “mondo” è la parola greca che vuol dire cosmo,

perché il progetto di redenzione divino abbraccia il mondo intero. In Cristo non c’è condanna, ma

quelli che non sono in Cristo sono già condannati. Ci sono molte persone che pensano che il mondo

oggi sia in prova. Questo non è vero perché il mondo è perduto, e non bisogna attendere il giudizio

finale per sapere che il mondo è perduto. La nostra posizione è simile a un uomo in prigione al quale

viene chiesto se vuole accettare il perdono. Questo è il vangelo. Non vuol dire che l’uomo è sotto

processo, è già condannato, è già in prigione in attesa dell’esecuzione. Ma il vangelo gli dice che gli

viene offerto il perdono e il problema è se lo vuole accettare.

Tutto questo è meravigliosamente chiaro. Il vangelo vuol salvare quelli che sono già perduti. Questo

è il giudizio del mondo. Il giorno che Cristo venne crocifisso, il mondo prese una decisione, ed ora

deve essere giudicato da Dio. La condanna o il giudizio è che la luce è venuta nel mondo, ma dal

momento che le azioni degli uomini erano malvagie, essi hanno amato le tenebre.

I ratti si precipitano negli angoli bui quando si accende la luce in una stanza.

In questo versetto il Signore tocca vari argomenti dal punto di vista negativo: chiunque fa cose

malvagie odia la luce e non viene alla luce, affinché le sue opere non siano scoperte.

Oggi si fa tanto parlare del pensiero positivo, ma credimi amico, c’è molta potenza nel pensiero e nel

parlare negativo. Ascoltiamo le altre cose che dice Gesù Marco 2:17: “…Io non sono venuto a

chiamare dei giusti, ma dei peccatori” e 10:45 “…Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere

servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” .

“Luce” e “verità” vengono usate nello stesso modo, mentre l’errore e le tenebre sono sempre in

contrasto con la luce e la verità. Con questo si chiude l’incontro con Nicodemo.

Leggiamo ora la seconda parte del capitolo 3 del Vangelo di Giovanni:

Dopo queste cose, Gesù andò con i suoi discepoli nelle campagne della Giudea; là si trattenne con

loro e battezzava. Anche Giovanni stava battezzando a Enon, presso Salim, perché là c’era molta

acqua; e la gente veniva a farsi battezzare. Giovanni, infatti, non era ancora stato messo in

prigione. Nacque dunque una discussione sulla purificazione, tra i discepoli di Giovanni e un

Giudeo. E andarono da Giovanni e gli dissero: “Rabbì, colui che era con te di là dal Giordano, e al

quale rendesti testimonianza, eccolo che battezza, e tutti vanno da lui”. Giovanni rispose: “L’uomo

non può ricever nulla se non gli è dato dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: “Io non

sono il Cristo, ma sono mandato davanti a lui”. Colui che ha la sposa è lo sposo; ma l’amico dello

sposo, che è presente e l’ascolta, si rallegra vivamente alla voce dello sposo; questa gioia, che è la

mia, è ora completa. Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca. Colui che viene dall’alto è sopra

tutti; colui che viene dalla terra è della terra e parla come uno che è della terra; colui che viene dal

cielo è sopra tutti. Egli rende testimonianza di quello che ha visto e udito, ma nessuno riceve la sua

testimonianza. Chi ha ricevuto la sua testimonianza ha confermato che Dio è veritiero. Perché colui

che Dio ha mandato dice le parole di Dio; Dio infatti non dà lo Spirito con misura. Il Padre ama il

Figlio, e gli ha dato ogni cosa in mano. Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di

credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui”.

Giovanni 3:22-36

Fino a questo momento Giovanni Battista poteva ancora predicare che il regno dei cieli era vicino

Matteo 3:2, dopo la tentazione di Gesù, come ci raccontano gli altri Vangeli, verrà gettato in

prigione. La testimonianza di Giovanni Battista intorno Gesù, scaturisce qui da una disputa, i

discepoli di Giovanni sembrano quasi gelosi e gli suggeriscono di non accennare al nome di Gesù, e

insinuano che non avrebbe dovuto rendergli testimonianza perché ora tutti vanno da Gesù, e temono

che Giovanni perda i suoi seguaci. Allora Giovanni fa una chiara affermazione, priva di qualsiasi

gelosia, leggiamo i versetti 27-28 del terzo capitolo di Giovanni: Giovanni rispose: “L’uomo non può

ricever nulla se non gli è dato dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: “Io non sono il

Cristo, ma sono mandato davanti a lui”. Non si può sfuggire alla tremenda forza di queste parole.

Giovanni Battista è l’ultimo profeta del Vecchio Testamento; in effetti egli non è nella chiesa perché

lo dice chiaramente quando parla della sposa che rappresenta la chiesa.

Egli è l’amico dello sposo, sarà presente al matrimonio dell’Agnello, ma non come parte della chiesa.

Egli è l’ultimo profeta del Vecchio Testamento che entra nelle prime pagine del Nuovo per

annunciare la venuta del Messia. Giovanni dice che l’uomo non può ricevere nulla se non gli è dato

dal cielo e Gesù al capitolo 6:65 dice: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non

gli è dato dal Padre”. Come sono straordinarie queste affermazioni!

E Giovanni dice che Cristo deve crescere e lui diminuire, e il suo ministero è giunto al termine.

Giovanni Battista dichiara anche che il Signore Gesù Cristo è superiore e rende una meravigliosa

testimonianza di lui: “Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non

vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui”.

Non esiste nessuna affermazione più chiara di questa; come vedete Giovanni Battista sta predicando

il vangelo, il messaggio che gli uomini sono perduti senza Cristo, ma hanno vita eterna con la fede in

lui. Questa è una straordinaria testimonianza per il Signore Gesù.

 

FUORI DALLA FOLLA ………

c’erano due persone disperate, come leggiamo nel brano che va dai versetti 41 a 48: “Ecco venire un uomo, di nome Iairo, che era capo della sinagoga; e, gettatosi ai piedi di Gesù, lo pregava di entrare in casa sua, perché aveva una figlia unica di circa dodici anni, che stava per morire. Or mentre Gesù vi andava, la folla faceva ressa intorno a lui. Una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva speso tutti i suoi beni con i medici senza poter essere guarita da nessuno, si avvicinò di dietro e gli toccò il lembo della veste; e in quell’istante il suo flusso ristagnò. E Gesù domandò: “Chi mi ha toccato?” E siccome tutti negavano, Pietro e quelli che erano con lui risposero: “Maestro, la folla ti stringe e ti preme”. Ma Gesù replicò: “Qualcuno mi ha toccato, perché ho sentito che una potenza è uscita da me”. La donna, vedendo che non era rimasta inosservata, venne tutta tremante e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò, in presenza di tutto il popolo, per quale motivo lo aveva toccato e come era stata guarita in un istante. Ma egli le disse: “Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace”. Luca 8:41-48 Iairo venne a prendere Gesù per guarire sua figlia, la situazione era disperata, la ragazza stava per morire e questo padre si rivolge fiducioso a Gesù. Probabilmente non pensava ad una possibile resurrezione ma ad una semplice guarigione, credeva che Gesù l’avrebbe toccata e che lei sarebbe guarita. Quando Gesù si appresta ad accontentare Iairo, viene interrotto da una donna che aveva un flusso di sangue. La donna aveva sofferto di questa malattia per 12 anni. La figlia di Iairo aveva 12 anni. I 12 anni di oscurità stavano finendo. Gesù non toccò la donna; lei toccò Lui e fu guarita istantaneamente. Ricordati che la folla era tutt’intorno a Gesù. I discepoli, vedendo la folla che lo spingeva si stupirono del fatto che Egli fosse riuscito a percepire il tocco della donna che fu guarita. “Mentre egli parlava ancora, venne uno dalla casa del capo della sinagoga, a dirgli: “Tua figlia è morta; non disturbare più il Maestro”. Ma Gesù, udito ciò, rispose a Iairo: “Non temere; solo abbi fede, e sarà salva”. Arrivato alla casa, non permise a nessuno di entrare con lui all’infuori di Pietro, Giovanni, Giacomo, il padre e la madre della bambina. Or tutti piangevano e facevano cordoglio per lei. Ma egli disse: “Non piangete, perché non è morta, ma dorme”. E ridevano di lui, sapendo che era morta. Ma egli, prendendole la mano, disse ad alta voce: “Bambina, alzati”. Lo spirito di lei ritornò ed ella si alzò subito; Gesù comandò che le dessero da mangiare. E i genitori di lei rimasero sbalorditi; ma egli ordinò loro di non dire a nessuno quello che era avvenuto. Luca 8:49-56 Quando raggiunsero la casa di Iairo, i pagati per piangere avevano già iniziato il loro lavoro. Smisero di piangere solo per deridere Gesù, essendo increduli. Il Signore prese con sé Pietro, Giovanni, Giacomo, il padre e la madre della ragazza e andò dove stava la bambina. Luca ci riporta le bellissime parole di Gesù: “Bambina, alzati!” Si potrebbe tradurlo “Piccola pecorella, svegliati”. La bambina si svegliò. Egli la riporto in un mondo di sofferenza per il bene dei suoi genitori, non per se stessa. Amico mio, nota ancora che il metodo di Gesù nel risuscitare i morti è sempre lo stesso. Egli li chiama e loro sentono la Sua voce! Ancora una volta il nostro Signore ha dimostrato che Egli è Dio.

 

1° PIETRO 2
Nel capitolo 2 Pietro continua il suo ragionamento e dice chiaramente ai suoi lettori che la
conseguenza naturale di una così meravigliosa nuova nascita è il desiderio di una altrettanto
meravigliosa crescita.
Prima di proseguire nel nostro commento leggiamo insieme i primi 10 versetti del capitolo 2 di 1
Pietro:
Sbarazzandovi di ogni cattiveria, di ogni frode, dell’ipocrisia, delle invidie e di ogni maldicenza,
come bambini appena nati, desiderate il puro latte spirituale, perché con esso cresciate per la
salvezza, se davvero avete gustato che il Signore è buono. Accostandovi a lui, pietra vivente,
rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete
edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi
a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Infatti si legge nella Scrittura: Ecco, io pongo in Sion una pietra
angolare, scelta, preziosa e chiunque crede in essa non resterà confuso. Per voi dunque che credete
essa è preziosa; ma per gli increduli la pietra che i costruttori hanno rigettata è diventata la pietra
angolare, pietra d’inciampo e sasso di ostacolo. Essi, essendo disubbidienti, inciampano nella
parola; e a questo sono stati anche destinati. Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale,
una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha
chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa; voi, che prima non eravate un popolo, ma ora
siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto
misericordia.
1° Pietro 2:1-10
Pietro ci dice in questi versetti che l’uomo che si è da poco convertito, che ha risposto alla chiamata
di Dio e ha accettato Cristo come suo personale Salvatore e Signore, dovrebbe desiderare di ricevere
il giusto e necessario nutrimento spirituale; dovrebbe desiderare ciò come un bambino appena nato
desidera, cioè il latte materno.
Il latte, un questo caso, non rappresenta l’insegnamento cristiano elementare, come nel paragone
usato da Paolo in 1°corinzi.3:2, che lo metteva in relazione alla carne, cioè al cibo solido, ma
rappresenta piuttosto qualcosa da desiderare per nutrirsi e conseguentemente crescere.
Questa crescita deve essere realizzata in due modi; innanzitutto è necessario sbarazzarsi di ogni
forma di male, in secondo luogo è necessario desiderare di ricevere il giusto alimento spirituale,
alimento che permette una crescita costante ed armoniosa, che condurrà il credente a ricevere alla
fine la piena e completa salvezza.
Certo, non possiamo desiderare di alimentarci e crescere spiritualmente, se prima non ci sbarazziamo
di certe cose che fanno parte della nostra natura peccaminosa, e che ci ostacolano in questo percorso.
Paolo, nella sua lettera ai credenti di Efeso.4:22 paragona questa attività allo spogliarsi di un
indumento:
“avete imparato per quanto concerne la vostra condotta di prima a spogliarvi del vecchio uomo che
si corrompe seguendo le passioni ingannatrici”;
Poi, ancora in Efesi, 4:25 aggiunge
“Perciò, bandita la menzogna, ognuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni
degli altri.”
Pietro usa invece un’immagine diversa per descrivere ciò in 1° Corinzi 5:7-8 :
‘Purificatevi del vecchio lievito, per essere una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché
anche la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata. Celebriamo dunque la festa, non con vecchio
lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità
2
Se l’Israelita osservava la pasqua e la Festa dei pani azzimi, non mangiava pane lievitato; cioè, non
continuava a condurre lo stesso tipo di vita che conduceva prima. Si nutriva in un luogo diverso con
un tipo di pane diverso. Ed era un mezzo di crescita per lui.
Allo stesso modo, Paolo dice ai credenti di Corinto, che quando vengono a Cristo, devono togliere il
vecchio lievito, che è simbolo di malizia e malvagità nella loro vita.
Ricordo però che l’obbedienza a Dio, la santità di vita, la crescita spirituale guidata dallo Spirito
Santo e dalla Parola di Dio, non sono la causa della salvezza dell’uomo; questa è frutto e
conseguenza solo della morte di Cristo sulla croce, e dell’accettazione da parte dell’uomo di questo
sacrificio, ma sono comunque la conseguenza logica ed inevitabile di una nuova nascita che porta
l’uomo ad un radicale cambiamento di vita e di valori.
Questo tipo di crescita dovrebbe essere un desiderio naturale del credente.
Dal versetto 4 inizia una nuova sezione, in cui Pietro usa alcune immagini tipiche del Vecchio
Testamento per dimostrare come i credenti del Nuovo Testamento siano un nuovo “popolo di Dio”
venuto in possesso, addirittura in misura maggiore, di tutte le benedizioni che erano state patrimonio
dell’Israele dell’Antico Testamento.
Pietro, nei versetti 4 e 5, ci dice che i credenti, andando continuamente a Cristo, nel momento della
fede iniziale, poi nell’adorazione e nella preghiera, sono edificati in una casa spirituale.
In altre parole, la devozione personale a Cristo, mediante la Parola, fa aumentare anche la comunione
e l’aggregazione dei credenti all’interno della chiesa.
Cristo viene chiamato da Pietro “Pietra vivente”, una metafora forse un po’ azzardata, visto che le
pietre non vivono, ma già usata da Gesù quando riferendosi ai versetti del Salmo 118 aveva detto di
se stesso:
“la pietra disprezzata dai costruttori è divenuta la pietra angolare”
Come abbiamo letto nel nostro testo, Pietro cita tre profezie dell’Antico Testamento riferite a Cristo;
in Isaia 28:16 leggiamo
Ecco, io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chiunque crede in essa non resterà
confuso.
la pietra che i costruttori hanno rigettata è diventata la pietra angolare, Salmo 118:22
pietra d’inciampo e sasso di ostacolo. Isaia 8:14
Quindi le immagini che egli evoca devono essere interpretate alla luce di questi versetti dei quali
vedremo in seguito il contesto ed il significato.
Cominciamo però col dire che il fatto che Cristo sia la “pietra vivente” mostra subito la sua
superiorità su un tempio dell’Antico Testamento, composto di pietre morte, e ricorda ai cristiani che
non devono desiderare quel vecchio modo di avvicinarsi a Dio, perché il nuovo è migliore.
Questa pietra vivente è, davanti a Dio, scelta e preziosa, anche se gli uomini in generale l’hanno
rifiutata; mettersi dalla parte di Dio, scegliere Cristo, significherà quindi trovare anche l’opposizione
degli uomini.
L’alta considerazione che Dio ha di Cristo, pietra vivente, suggerisce al lettore la stima che i credenti
devono sempre avere per il loro Signore.
Pietro però và al di là di quanto ha appena detto, e collega Cristo, la pietra vivente, ai credenti che,
grazie alla comunione con Lui, diventano a loro volta delle pietre viventi sulle quali viene costruita
ed edificata la chiesa.
Come Cristo è prezioso agli occhi di Dio, allo stesso modo anche i credenti sono per Lui preziosi.
Il pensiero che scaturisce dalle sue stesse riflessioni, è così eccitante che Pietro mescola le sue
metafore, i suoi paragoni.
In pratica Egli ci porta a riflettere sul fatto che la costante comunione con colui che è definito la
Pietra vivente, Gesù Cristo, porta i cristiani a diventare similmente a lui delle pietre viventi, pietre
scelte e preziose, che Dio utilizza per costruire la sua chiesa, per formarsi un popolo eletto; questa
costruzione è basata sul fondamento, sulla Pietra angolare che è Cristo.
3
Cristo Gesù è la pietra fondamento della chiesa. Vi rileggo i primi 5 versetti del 2° capitolo:
Sbarazzandovi di ogni cattiveria, di ogni frode, dell’ipocrisia, delle invidie e di ogni maldicenza,
come bambini appena nati, desiderate il puro latte spirituale, perché con esso cresciate per la
salvezza, se davvero avete gustato che il Signore è buono. Accostandovi a lui, pietra vivente,
rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete
edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi
a Dio per mezzo di Gesù Cristo.
Cristo Gesù è la pietra fondamento della chiesa.
A questo proposito Paolo scrisse:
‘Poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù” 1 Co.3:11
Poi aggiunge la stesso apostolo in Efesini.2:20-22
‘Così dunque non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della
famiglia di Dio. Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù
stesso la pietra angolare, sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per
essere un tempio santo nel Signore. In lui voi pure entrate a far parte dell’edificio che ha da servire
come dimora a Dio per mezzo dello Spirito.
Oggi Dio sta edificando un tempio, un tempio vivente.
Coloro di noi che vanno da lui come peccatori, che cadono su di lui, che si buttano su di lui per
ricevere misericordia, sono salvati.
E lui ci fa diventare una parte del tempio vivente che sta edificando sulla pietra fondamento, che è
Cristo stesso.
Quando ti accosti a Dio come peccatore e cadi su quella pietra, sei rotto, spezzato.
Però, nella tua rottura, quella pietra diventa per te un fondamento, il fondamento della tua salvezza.
Se però rifiuti quella pietra, sarai giudicato dalla stessa pietra vivente che hai disprezzata.
Come abbiamo visto, Pietro incoraggia i cristiani a ritenersi le pietre viventi del nuovo tempio del
Signore, un tempio che non è fatto di muri e con una struttura definita, così come erano i templi del
Vecchio Testamento, ma un edificio privo di struttura definita, che assume di continuo la forma e le
dimensioni del popolo di Dio riunito.
La bellezza di questo nuovo e vivente tempio costituito da persone, non è data più dall’oro, dai
gioielli o da altri materiali preziosi, ma dalla estrema bellezza della santità e della fede nella vita dei
cristiani, qualità che riflettono molto meglio delle ricchezze materiali la gloria di Dio.
Tutti i credenti sono delle pietre viventi, quindi tutti i credenti sono sacerdoti. Siamo un sacerdozio
santo, che Pietro chiamerà anche sacerdozio regale.
I credenti sono dunque un nuovo tempio del Signore, sotto l’influenza e il potere dello Spirito, e
come sacerdoti di questo nuovo tempio essi debbono offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio, per
mezzo di Gesù Cristo.
Il culto ed i sacrifici che queste pietre viventi, facenti parte del popolo di Dio, offrono al loro
Signore, non sono più quelli previsti dalla legge nell’Antico Patto, ma sono un culto e dei sacrifici
che hanno un carattere diverso, sono guidati ed influenzati dallo Spirito Santo; in questo senso Pietro
parla di sacerdozio santo e di sacrifici spirituali.
Questi sacrifici spirituali sono chiaramente identificati in altri passi del Nuovo Testamento e sono ad
esempio:
l’offerta del proprio corpo a Dio per il suo servizio; Romani 12:1
la distribuzione dei doni per rendere possibile la diffusione dell’evangelo; Filippesi.4:1
il canto di lode; Ebrei 13:15
la beneficenza e la condivisione dei propri beni, Ebrei 13 :16
Questi vari esempi ci portano a pensare che qualsiasi cosa si faccia per servire il Signore possa
essere ritenuta un sacrificio spirituale gradito a Dio, un dolce profumo che sale continuamente al suo
trono e gli reca gioia.
4
Questi sacrifici devono essere offerti, però, per mezzo di Gesù Cristo, perché solo per mezzo suo i
credenti sono qualificati ad essere sacerdoti di Dio, o a compiere quanto è gradito al Signore.
Il versetto 5 fornisce quindi una esplicita dichiarazione della dottrina riguardante il “sacerdozio dei
credenti”.
Poiché tutti quelli che vengono a Cristo sono ora un sacerdozio santo, in grado di avvicinarsi al
cospetto di Dio e di offrire sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo, non vi possono
più essere né un sacerdozio di élite, che pretende di avere un accesso speciale alla presenza di Dio,
né privilegi particolari nell’adorazione o nella comunione con Lui.
Cercare di mantenere vivo questo tipo di sacerdozio tenendolo separato dal resto dei credenti,
significa cercare di mantenere viva un’istituzione prevista nell’Antico Testamento e abolita una volta
per sempre da Cristo.
Ogni singolo credente può adesso “avvicinarsi con piena fiducia al trono della grazia” Ebrei 4:16,
e l’adorazione collettiva della chiesa dovrebbe essere sempre un meraviglioso accesso alla presenza
di Dio.
Veniamo ora alle citazioni fatte da Pietro e tratte dall’Antico Testamento.
Attraverso queste citazioni, egli sostiene e supporta le argomentazioni espresse nei versetti
precedenti; a riprova di questo è la frase: “ Infatti si legge nella scrittura”…..
Per mezzo di questa frase l’apostolo dà credibilità alle sue affermazioni, e indica che quanto detto
nell’Antico Testamento in proposito, è da considerarsi conclusivo e assolutamente degno di fiducia.
Nella prima citazione, tratta da Isaia 28:16, Dio promette di rifiutare i capi ribelli di Gerusalemme e
stabilire come “fondamento sicuro” una “pietra provata, una pietra angolare preziosa”.
Il fatto che questa pietra sia la prima pietra collocata come angolo del “fondamento”, indica che la
profezia originale era una predizione di una nuova opera da parte di Dio, un’opera che si sarebbe
contrapposta a quella predisposta dai capi da Lui rifiutati.
Con il porre la pietra come fondamento in Sion, la sede del tempio di Gerusalemme, Pietro accenna
all’idea che questa nuova opera di Dio avrebbe in realtà sostituito il tempio di Gerusalemme, cosa
per altro resa esplicita dall’apostolo nei versetti 4 e 5 che abbiamo appena commentato.
E’ importante però sottolineare anche il fatto che Pietro aggiunge a “chiunque crede” la
specificazione “in Lui” riferito a Gesù Cristo.
E’ opportuno a questo punto ricordare, che non è importante credere a qualche cosa o a qualcuno in
generale; c’è molta gente che crede in qualcuno o in qualcosa e fa di questo credo lo scopo della sua
vita.
L’unico mezzo però che ci è stato dato per essere salvati, entrare a far parte della famiglia di Dio e
diventare parte della nuova opera che Egli ha iniziato, è credere nella persona benedetta di Gesù
Cristo, credere nella Sua morte e nella Sua resurrezione, credere che Egli è il figlio di Dio e che si è
sacrificato sulla croce per pagare il prezzo del nostro riscatto.
Per Pietro, chi ha questa fede, chi confida nella Pietra angolare posta in Sion, chi crede in Gesù
Cristo, non resterà confuso, non ci sarà delusione o imbarazzo finale, perché la sua fede è basata
sulla parola di Dio e sulle Sue eterne promesse.
Pietro mette poi i suoi lettori nella categoria di coloro che credono in Lui, concludendo quindi che
essi non saranno svergognati, anzi condivideranno la condizione di eletta e preziosa della pietra
angolare in cui confidano; l’affermazione “per voi che credete”, non è quindi una vergogna ma un
onore.
Al contrario, per gli increduli, Cristo è, come predissero il Salmo 118 e Isaia 8:14, la pietra che i
costruttori hanno scartato, una pietra che farà inciampare gli uomini, una roccia che li farà cadere.
Ricordo che nel Vangelo di Matteo.21:42 i costruttori in questione erano i capi dei giudei che
rifiutarono Cristo, in questo caso specifico però Pietro fa riferimento a tutti coloro che negano
Cristo.
5
Costoro, precisa l’apostolo, sono disubbidienti, non accettano il messaggio dell’evangelo, quindi
inciampano inevitabilmente nella Pietra angolare posta da Dio quale fondamento della Sua chiesa.
In questo caso, Pietro cita Isaia 8:14, in cui si dice non solo che il Signore stesso diventerà un
santuario per quanti lo seguono, ma anche che Egli si dimostrerà una pietra di offesa ed una roccia
d’inciampo per i disobbedienti di entrambe le case d’Israele. Visto che Dio stesso è chiamato in
questo versetto di Isaia “ la pietra”, possiamo sottolineare come i primi cristiani fossero pronti ad
applicare a Cristo molti passi del Vecchio Testamento riguardanti Dio Padre ( Yahweh o Jehovah).
L’apostolo aggiunge poi, in riferimento a coloro che rifiutano Cristo: “come erano destinati a fare”.
Con questo commento egli vuole consolare i lettori, facendo vedere che il rifiuto di Cristo e l’ostile
incredulità che circondava i cristiani da ogni lato, erano già stati predetti da Dio molto tempo prima.
Ora egli aggiunge che furono non solo predett,i ma ordinati secondo un ben preciso piano di Dio, e
sono perciò nella sfera della Sua sovranità e del Suo saggio progetto per il mondo.
Questa incredulità diffusa ed ostilità non dovrebbe però spaventare i credenti contro cui è diretta,
perché Dio loro Padre la tiene sotto controllo, e vi porrà fine quando lo riterrà opportuno.
Per sorprendente che possa essere, anche l’inciampo e la disobbedienza dei non credenti sono stati
destinati da Dio.
Questo non vuol dire che l’uomo non possa pentirsi dei propri peccati, credere a Cristo ed essere di
conseguenza accettato da Dio come un figlio perdonato; vuol solo dire che Dio, nella Sua eterna
onniscienza conosce già chi farà questo tipo di scelta, e chi invece deciderà liberamente di rifiutare la
Sua grazia.
I credenti invece, sono indicati da Pietro come i beneficiari delle meravigliose benedizioni che Dio
elargisce in Cristo; rileggiamo i versetti 9 e 10:
“Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è
acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce
meravigliosa; voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non
avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia.”
1° Pietro 2:9-10
Dio, nella nuova opera che ha iniziato, ha scelto una nuova razza di persone, i cristiani, i quali hanno
ottenuto di far parte della “stirpe eletta” non per discendenza diretta da Abraamo, così come
accadeva per i componenti del popolo d’Israele nel Vecchio Testamento, ma solo in virtù della loro
fede in Cristo.
Non solo essi fanno ora parte del nuovo popolo che Dio si è scelto, ma sono anche un “sacerdozio
regale” e “una gente santa”, hanno ottenuto di fatto ciò che era stato promesso a tutti coloro che,
facendo parte del popolo di Israele, avrebbero rispettato il patto stipulato con loro da Dio.
Pietro aggiunge anche che i credenti, essendo ora una nuova stirpe e un sacerdozio spirituale, sono
diventati una nuova nazione spirituale, non fondata né sull’identità etnica, né sui confini geografici,
ma piuttosto sulla fedeltà a Gesù Cristo, il Re dei Re e il Signore dei Signori, come dice l’apostolo
Giovanni nell’Apocalisse al capitolo 19 vs. 16.
Prima della loro conversione non erano una nazione, non erano un popolo, appartenevano ad una
moltitudine di razze diverse, erano estranei a patti ed alle promesse fatte da Dio ad Israele, ora però,
grazie al sacrificio di Cristo ed alla loro fede in Lui, i cristiani sono diventati un popolo, il popolo di
Dio; prima erano sotto la maledizione derivante dalla loro condizione di peccato, ora sono oggetto e
frutto della misericordia di Dio.
Permettetemi di dire che tutto ciò è meraviglioso, ma anche che non è fine a se stesso; Pietro ci dice
infatti che esiste uno scopo in tutto questo, ci dice che Dio si è acquistato un popolo di questo tipo
con uno scopo preciso; qual è questo scopo?
Rileggiamo la seconda parte del versetto 9 di 1 Pietro 2:
“perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa”
6
Lo scopo è quindi quello di proclamare in mezzo all’incredulità e all’idolatria del mondo in cui
viviamo, le virtù di Dio, manifestate in un modo così meraviglioso in Cristo.
Proclamare le meraviglie di Dio significa parlare di tutto ciò che Lui è ed ha fatto per noi.
Riflettiamo su questo: sono la nostra vita e la nostra testimonianza dei manifesti che parlano al
mondo di Colui che ci ha tanto amato, e che ha fatto così tanto per noi?
Pietro inizia ora a trattare l’argomento che, sviluppato in più di tre capitoli, costituisce, dal punto di
vista strutturale, la seconda metà della lettera.
Mentre la prima parte, quella che abbiamo preso in considerazione fino ad ora, è essenzialmente
concentrata sulla teologia, con sporadiche applicazioni alla vita pratica, la seconda ha in genere un
carattere molto pratico con brevi affermazioni teologiche, racchiuse in molti punti chiave.
Mentre la prima parte contiene esortazioni generali alla santità, all’amore e alla fiducia in Dio basata
sulla speranza radicata sulle Sue promesse, la seconda da precisi insegnamenti su come i credenti
debbano praticare la santità e la fiducia in Dio, in situazioni della vita reale.
Semplificando al massimo, potremmo dire che la parte che va da 2:11 a 5:11 fornisce
un’applicazione pratica e specifica all’insegnamento generale che abbiamo trovato da 1:1 a 2:10.
Leggiamo a questo punto i versetti da 11 a 17 di 1 Pietro 2:
Carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervi dalle carnali concupiscenze che
danno l’assalto contro l’anima, avendo una buona condotta fra gli stranieri, affinché laddove
sparlano di voi, chiamandovi malfattori, osservino le vostre opere buone e diano gloria a Dio nel
giorno in cui li visiterà. Siate sottomessi, per amor del Signore, a ogni umana istituzione: al re,
come al sovrano; ai governatori, come mandati da lui per punire i malfattori per dar lode a quelli
che fanno il bene. Perché questa è la volontà di Dio: che, facendo il bene, turiate la bocca
all’ignoranza degli uomini stolti.Fate questo come uomini liberi, che non si servono della libertà
come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio. Onorate tutti. Amate i fratelli. Temete
Dio. Onorate il re.
1° Pietro 2:11-17
Avrete notato come Pietro inizi questa sezione usando la parola “carissimi”; egli voleva in questo
modo ricordare ai suoi lettori che, pur esortandoli in qualità di apostolo, si stava preoccupando per
loro in quanto cari fratelli e sorelle nella famiglia del Signore.
E’ come se stesse dicendo: “Vi supplico, in qualità di persone che io amo”.
Pietro parla loro come a “stranieri e pellegrini”, usando due vocaboli che sono già stati usati
insieme già in Genesi 23:4 e nel Salmo 39:12, e sempre per sottolineare la condizione del cristiano
come residente temporaneo in un mondo che non è la sua patria, poiché questa si trova in cielo.
Sapere che i credenti non hanno una vera patria sulla terra, è di conforto in special modo a quanti
passano anni, se non l’intera vita, lontano dalla loro patria terrena al servizio di Cristo, ed è di
conforto anche per coloro che a causa della loro fede in Cristo subiscono persecuzioni che li
portano lontano dalla loro terra.
Molti lettori di Pietro erano probabilmente in questa condizione, ed il pensiero di avere una patria
celeste che nessuno poteva togliere loro, era di sicuro conforto.
Pietro prosegue e invita i suoi lettori, proprio perché sono stranieri e pellegrini su questa terra, ad
astenersi, a tenersi lontano, ad evitare le passioni caratteristiche della natura umana, che è di per sé
peccaminosa.
Queste passioni non sono adatte alla patria celeste del credente, in essa non sono ben accette.
Esempi di tali desideri si trovano in Galati.5:19-21 e in I Giovanni2:15-16, leggiamo:
“Ora le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria,
stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, orge ed
altre simili cose; circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso; chi fa tali cose non erediterà il
regno di Dio.” Galati5:19-21
7
“Non amate il mondo né le cose del mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui.
Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la
superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo.” 1 Giovanni 2:15-16
Pietro ribadisce lo stesso concetto, e di fatto proibisce in questo contesto qualsiasi desiderio di cose
contrarie alla volontà di Dio. L’apostolo ha già invitato i lettori a non improntare la propria vita ai
desideri e passioni del tempo passato (cap.1- 14); ora aggiunge di non lasciarvi alcun posto.
Il comandamento sottintende che i desideri interiori non sono incontrollabili, ma possono essere
consapevolmente assecondati o controllati; un rimprovero necessario per la nostra società moderna,
la quale ritiene i sentimenti moralmente neutri, né buoni né cattivi in se, sostanzialmente naturali, e
disprezza chiunque affermi che alcuni di essi sono sbagliati.
Questi desideri peccaminosi, dice Pietro, guerreggiano, fanno guerra, danno continuamente l’assalto
alla vostra anima, alla vostra natura spirituale, e anche se nutrire tali desideri può sembrare invitante
e assolutamente innocuo, in un primo momento, in realtà essi sono nemici che fanno del male
all’anima del cristiano e lo rendono spiritualmente debole ed inefficace.
Non essere consapevoli del danno spirituale che essi provocano, è indice di uno scarso livello di
percezione e sensibilità spirituale.
L’apostolo continua dicendo che, non solo i cristiani devono astenersi dai desideri che inducono al
peccato, ma anche continuare ad avere una buona condotta tra i pagani. ( Vs.12)
Il vocabolo “condotta” si riferisce qui ad un modello di vita quotidiano, in grado di trasformare ogni
giorno, ogni attimo, ogni pensiero ed ogni azione.
Questo tipo di condotta sarà una testimonianza chiara ed efficace dell’opera dello Spirito in loro, e
metterà a tacere tutti coloro che sparlando li accusano; non solo, indurrà i non credenti ad
avvicinarsi a Dio e a convertirsi a loro volta.
Credo che questa strategia di evangelizzazione funzionerebbe ancora oggi.
Pietro riunisce tutti i non credenti sotto la parola “gentili”, “pagani”, non perché ritenga tutti i suoi
lettori dei giudei convertiti, ma piuttosto perché pensa ai cristiani come al nuovo popolo di Dio, al
nuovo Israele, quindi tutti gli altri sono, alla luce di questa visione, dei gentili, estranei al popolo di
Dio. Questo buona condotta dovrebbe essere espressa anche con la sottomissione alle autorità
costituite dall’uomo; esse sono l’espressione terrena dell’autorità di Dio.
E’ strano che Pietro dica ciò, proprio mentre Nerone si apprestava a regnare, o stava regnando da
poco; è strano che dica ciò mentre i cristiani stavano subendo persecuzioni ed ingiustizie, ed è strano
che egli li inviti a comportarsi così, ma lo fa perché questa è la volontà di Dio.
E’ necessario ricordare che la società era, nelle intenzioni del Signore, l’ambiente adatto e necessario
alla conservazione di quei valori morali che erano l’elemento distintivo del popolo di Dio, in questo
le autorità avevano un ruolo importante e decisivo.
E’ necessario ricordare anche, che il peccato ha portato questa visione a deteriorarsi sempre di più, e
le autorità costituite solo raramente sono l’espressione pratica della volontà di Dio, e lo strumento
che Egli usa per conservare sulla terra i valori etici e morali, tipici di una umanità a Lui sottomessa.
E’ necessario però sottolineare anche che “siate sottomessi” implica l’obbedienza. Numerosi sono i
passi che mettono in risalto questa verità, ma è altrettanto vero che vi sono alcune occasioni riportate
nella scrittura in cui il popolo di Dio, con la Sua approvazione, ha disobbedito ad un governo umano
come leggiamo in questi passi (Es.1/17; 6/10-24; Atti.5/27-29; Ebrei 11/23).
Leggiamo alcuni di questi passi. Iniziamo con Daniele 3:13-18:
“Allora Nabucodonosor, irritato e furioso, ordinò che gli portassero Sadrac, Mesac e Abed-Nego;
questi furono condotti alla presenza del re; Nabucodonosor disse loro: “Sadrac, Mesac, Abed-
Nego, è vero che non adorate i miei dei e non vi inchinate davanti alla statua d’oro che io ho fatto
erigere? Ora, appena udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del salterio, della
zampogna e di ogni specie di strumenti, siate pronti ad inchinarvi per adorare la statua che io o
fatta; ma se non la adorerete, sarete immediatamente gettati in una fornace ardente; e quale Dio
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potrà liberarvi dalla mia mano?” Sadrac, Mesac e Abed-Nego risposero al re: ”O Nabucodonosor,
noi non abbiamo bisogno di darti risposta a questo punto. Ma il nostro dio, che noi serviamo, ha il
potere di salvarci e ci libererà dal fuoco della fornace ardente e dalla tua mano, o re. Anche se
questo non accadesse, sappi o re, che comunque noi non serviremo i tuoi dei e non adoreremo la
statua d’oro che tu hai fatto erigere”.
Leggiamo anche Atti 4:18-20
“E, avendoli chiamati, imposero loro di non parlare né insegnare affatto nel nome di Gesù. Ma
Pietro e Giovanni risposero loro: “Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a
Dio. Quanto a noi, non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite”.
Di conseguenza, l’insegnamento che possiamo ricavare da tali versetti è: “obbedite, eccetto quando
vi ordinano di peccare”.
Questa è la responsabilità del credente verso ogni forma di corretto potere umano, a prescindere dal
fatto che il singolo cristiano sia d’accordo, oppure no, con il modo di agire di questa autorità.
Nel pensiero espresso qui da Pietro, questo comandamento è valido nei confronti di ogni autorità
umana, infatti dice: “a ogni umana istituzione”.
Di fatto, Pietro continua a spiegare l’affermazione generale dell’ubbidienza, applicandola non solo al
governo civile, ma incoraggiando anche i servi ad essere sottomessi ai loro padroni (cap.2 vs.18)
“Domestici, siate con ogni timore sottomessi ai vostri padroni; non solo ai buoni e ragionevoli, ma
anche a quelli che sono difficili.
e le mogli ai loro mariti (cap.3Vs 1 ) “Anche voi, mogli, siate sottomesse ai vostri mariti perché, se
anche ve ne sono che non ubbidiscono alla parola, siano guadagnati, senza parola, dalla condotta
delle loro mogli,”
In tutti e tre i casi impiega lo stesso verbo, per esprimere l’idea di essere sottomesso a qualcosa.
Perciò vede il rapporto padrone-servo e quello matrimoniale, come istituzioni umane in cui la
subordinazione ad un’autorità è richiesta per amore del Signore.
La globalità del termine “ogni” rende quindi appropriata l’applicazione di questa affermazione ad
altre autorità umane legittime (genitori-figli; strutture di autorità negli affari; istituzioni scolastiche;
ecc.).
Dio ha stabilito i modelli di autorità per il funzionamento ordinato della vita umana, e il nostro
assoggettamento a questi sistemi gli è gradito, e lo onora.
L’autorità, d’altronde, non è legata, come qualcuno può pensare, solo alla presenza del peccato che
la rende necessaria; esiste infatti autorità, ad esempio, anche tra gli angeli senza peccato.
Leggiamo a questo proposito Giuda Vs. 9:
“Invece l’arcangelo Michele, quando contendeva con il diavolo disputando per il corpo di Mosè,
non osò pronunziare contro di lui un giudizio ingiurioso, ma disse: “Ti sgridi il Signore!”.
Esiste inoltre autorità anche tra i redenti nel cielo come leggiamo ad esempio in I Corinzi 6:3: “Non
sapete che giudicheremo gli angeli?”
e persino tra i membri della Trinità per tutta l’eternità. Leggiamo in I Corinzi 15:28: “Quando ogni
cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha
sottoposto ogni cosa, affinché Dio, sia tutto in tutti.”
L’espressione “per amor del Signore” costituisce una base teologica alla sottomissione.
Essa dovrebbe essere praticata ad imitazione del Signore Gesù, ed in questo glorificarlo; Pietro
affronterà più dettagliatamente questo aspetto nei versetti d 21 a 23 di questo stesso capitolo; inoltre,
poiché Egli ha stabilito le strutture dell’autorità, si compiace della nostra sottomissione ad esse.
In quest’ottica va interpretato il versetto 15 di 1 Pietro 2:
“Perché questa è la volontà di Dio: che, facendo il bene, turiate la bocca all’ignoranza degli uomini
stolti”.
1° Pietro 2:15
9
Quando i non credenti accusano falsamente i cristiani di commettere delle trasgressioni, le loro
calunnie sono irrazionali, dettate dall’ignoranza di quanti si credono saggi, essendo in realtà uomini
stolti.Tuttavia queste calunnie dovrebbero poter essere soffocate sul nascere, perché disonorano il
Signore.
Il modo e la volontà di Dio per arrestarle, necessitano della condotta irreprensibile tenuta dai
cristiani; in questo senso è necessario che i cristiani facciano il bene.
Poiché questa frase spiega i versetti 13 e 14, la maniera specifica di fare il bene a cui Pietro pensa è
la sottomissione alle forme di autorità umana, comportamento che alla fine sarà usato da Dio per
porre termine alle false accuse. Pietro da molta importanza all’ubbidienza.
I lettori della lettera potrebbero ritenere troppo restrittiva e opprimente la totale subordinazione
all’autorità, quindi Pietro spiega loro che la vera libertà è coerente con l’obbedienza alla volontà di
Dio, e li assicura che potranno vivere come uomini liberi.
Rileggiamo il versetto 16 di 1 Pietro 2:
“Fate questo come uomini liberi, che non si servono della libertà come di un velo per coprire la
malizia, ma come servi di Dio.”
1° Pietro 2:16
Il tipo di libertà a cui si allude qui non viene specificato, ma di certo le grandi libertà della vita
cristiana sono:
la libertà dall’impossibile obbligo di guadagnarsi merito agli occhi di Dio con un’obbedienza
perfetta; (Galati.5:1-14; Atti.13:39, Romani 6:23)
Leggiamo ciò che dice a questo proposito in Atti 13:39:
“…e, per mezzo di lui, chiunque crede è giustificato di tutte le cose, delle quali voi non avete potuto
essere giustificati mediante la legge di Mosè”.
Poi vi è la libertà dalla colpa; Galati.3:13; Apocalisse 1:5
Leggiamo qui il versetto in Gal 3:13:
“Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi, poiché
sta scritto: Maledetto chiunque è appeso al legno”.
Ed infine esiste la libertà dalla potenza del peccato; Romani.6:6-7,14,17-18,20-23;
Giov.8:31-36.
Leggiamo ciò che dice in Romani 6:6-7: “Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato
crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato;
infatti colui che è morto, è libero dal peccato”.
Nonostante tutto questo i cristiani non hanno la libertà di compiere il male!
Anche se sono liberi in modo più grande di chiunque altro, eccetto Cristo, i credenti sono sempre
servi di Dio, schiavi di Dio, perché devono a Lui tutta la loro vita ed il loro intero essere.
La vera libertà, la vera capacità di scegliere e di fare ciò che veramente si vuole fare, si completa, in
modo forse che pare paradossale, nella completa sottomissione a Dio come suoi servi ubbidienti.
Perciò quali servi liberi del Signore, i cristiani non dovrebbero mai usare la loro libertà per
mascherare o nascondere i loro atti illeciti; la libertà deve portare alla grande gioia di fare il bene.
Le manifestazioni pratiche di questo, sono tratteggiate dall’apostolo nei quattro brevi comandi che
seguono al versetto 17 di 1 Pietro 2:
“Onorate tutti. Amate i fratelli. Temete Dio. Onorate il re.
1° Pietro 2:17
“Tutti”, cioè tutti gli uomini, debbono essere onorati, perché sono quelli per i quali Cristo è morto,
ed in cui può essere restaurata la divina somiglianza;
l’esortazione ad “amare i fratelli” in fede implica un sentimento più profondo di quello che è giusto
avere nei confronti di tutti gli uomini; non dobbiamo solo onorarli e rispettarli ma amarli di un
amore intenso e profondo.
10
“Temete Dio” rende un’imposizione ancora più forte. I cristiani non devono solo onorare ed amare il
Signore, ma anche temerLo, cosa da non fare nei confronti dei non credenti o degli altri credenti.
Temere Dio implica avere comunione con Lui, conoscerLo bene, rispettarlo e avere sempre la chiara
coscienza di chi Lui sia.
Ricordarsi che Dio è colui che ci ha elargito gratuitamente la sua grazia, ma anche che Egli è Colui
che giudica, ed ha il diritto di esercitare sui suoi figli anche la disciplina.
Il timore di Dio non contrasta con l’amore per Lui, o col fatto di sapere che Egli ci ama, al contrario,
il timore di non piacere a nostro Padre è l’altra faccia dell’amore per Lui.
“Onorate il Re”, richiama l’inizio del versetto in cui si raccomandava di onorar tutti; di fatto Pietro
ha messo l’imperatore allo stesso livello di tutti gli altri; se da un lato l’apostolo afferma la necessità
di onorare l’imperatore, egli velatamente si oppone alle pretese degli imperatori romani di essere
divini, essi non erano affatto equivalenti a Dio, e l’onore a loro dovuto era ben diverso da quello
dovuto a Lui.
I cristiani hanno dunque obblighi verso lo Stato, ma i loro doveri verso Dio e verso i fratelli credenti
sono più importanti.
Pietro fa seguire a questi principi istruzioni dettagliate per due gruppi di persone, la cui posizione
inferiore nel mondo antico poteva rendere la vita, specialmente in quanto cristiani, assai difficile per
loro.
Vedremo in questa sede quello che viene detto dall’apostolo in relazione ai domestici e, nel
commento al capitolo 3, quello che Pietro dirà in relazione alla condizione delle donne.
Leggiamo quindi i versetti da 18 a 25 di 1 Pietro 2:
“Domestici, siate con ogni timore sottomessi ai vostri padroni; non solo ai buoni e ragionevoli, ma
anche a quelli che sono difficili. Perché è una grazia se qualcuno sopporta, per motivo di coscienza
dinanzi a Dio, sofferenze che si subiscono ingiustamente. Infatti, che vanto c’è se voi sopportate
pazientemente quando siete malmenati per le vostre mancanze? Ma se soffrite perché avete agito
bene, e lo sopportate pazientemente, questa è una grazia davanti a Dio. Infatti a questo siete stati
chiamati, poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, perché seguiate le sue
orme. Egli non commise peccato e nella sua bocca non si è trovato inganno. Oltraggiato, non
rendeva gli oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva a colui che giudica giustamente;
egli ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce, affinché, morti al peccato,
vivessimo per la giustizia, e mediante le sue lividure siete stati sanati. Poiché eravate erranti come
pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime.
1° Pietro 2:18-25
Pietro si rivolge ai “domestici”, usando un termine greco meno comune, un termine che sottintende
il servizio in una casa.
Questo vocabolo è stato tradotto anche con “schiavo”, ma questo termine che viene naturalmente
messo in relazione all’orribile degradazione degli schiavi d’America del XIX secolo, non da il giusto
senso a ciò che Pietro voleva dire.
Sebbene i maltrattamenti degli schiavi avessero luogo anche allora, bisogna ricordare che, nel primo
secolo, essi venivano in genere trattati bene, e non erano soltanto dei lavoratori manuali, ma spesso
amministratori, supervisori e membri specializzati di varie professioni, (dottori, infermieri,
insegnanti, musicisti, abili artigiani).
Esisteva un’ampia legislazione romana che regolava la condizione degli schiavi.
Di norma venivano pagati, e potevano sperare alla fine di essere affrancati, resi uomini liberi.
Il loro servizio non era però volontario, anche se nel primo secolo la maggior parte di loro era
schiavo solo perché nato da famiglie che erano in schiavitù.
La loro posizione legale o sociale, e l’opportunità di essere indipendenti da un punto di vista
economico, erano chiaramente inferiori a quelli di altri membri della società romana.
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E’ di conseguenza necessario, nella traduzione, usare un termine più forte di “servo” ma più debole
di “schiavo”. “Servo” è però al momento il vocabolo più appropriato, anche se non esiste un
termine adeguato a rendere chiara la situazione di queste persone, soprattutto in relazione alla
moderna civiltà occidentale.
Le indicazioni che Pietro dà, sono pertinenti ed applicabili oggi a coloro che svolgono un’attività
subordinata, i cosiddetti lavoratori dipendenti.
Il monito di Pietro, incoraggia i servi ad avere un continuo atteggiamento mentale di accettazione
dell’autorità legale ed economica sopra di loro, e a voler obbedire alle direttive date dai loro
proprietari o padroni.
Il verbo utilizzato è lo stesso del versetto 13 per ordinare la sottomissione, ma con una sfumatura
leggermente diversa. Pietro vuol indicare ai servi che devono essere sottomessi, ma non per timore,
per paura, piuttosto col desiderio di non dispiacere al proprio “datore di lavoro”, per usare un
termine a noi più vicino.
Se è più facile assoggettarsi, anche se non è per nulla automatico, ai padroni buoni e ragionevoli; è
molto meno naturale assoggettarsi a quelli che Pietro chiama “difficili”, disonesti, moralmente
cattivi.
Anche nei confronti di costoro viene richiesta sottomissione, obbedienza, “per amore del Signore”.
Tuttavia,il servo non deve obbedire se gli viene ordinato di peccare. Ne abbiamo parlato analizzando
il versetto 13.
Sebbene gli individui che esercitano l’autorità in un mondo caduto siano necessariamente dei
peccatori, tali canali di autorità sono stati stabiliti da Dio, e vanno rispettati.
Questa perseveranza nel fare il bene, e pazienza nella sofferenza, sono appunto la vocazione del
cristiano, perché fanno parte della comunione con le sofferenze di Cristo.
Pietro dice addirittura che se il cristiano soffre, perchè maltrattato ingiustamente e sopporta
pazientemente questa situazione confidando in Dio, ottiene grazia davanti a Lui, è nel suo favore.
Certo possiamo soffrire per le nostre scelte sbagliate o per i nostri errori; se sopportiamo
pazientemente le conseguenze di ciò che abbiamo fatto, non abbiamo nessun merito particolare
davanti a Dio, ma se sopportiamo con pazienza la sofferenza ingiusta e le afflizioni che ne
conseguono, faremo piacere a Dio stesso.
Il cristiano è invitato ad avere la fiduciosa consapevolezza che la presenza e la cura del Signore non
vengono mai meno; è questa consapevolezza a permettere al credente di sottomettersi ad un padrone
ingiusto senza risentimento, ribellione, autocommiserazione o disperazione.
Pietro continua in questo suo ragionamento, e sebbene si concentri soprattutto sui “servi”, i principi
generali riguardanti la sofferenza nei versetti da 19 a 25 si applicano facilmente a quanti sono
soggetti ad un’autorità superiore, negli affari, nel matrimonio, nella famiglia, nella scuola o nei
confronti del governo.
In special modo qui, nei versetti da 19 a 25, gli insegnamenti sono spiegati in termini applicabili a
tutti i cristiani.
Altrove l’apostolo dice che essi sono stati chiamati da Dio “dalle tenebre alla sua luce
meravigliosa”, chiamati a rendere il bene per il male, chiamati alla gloria eterna in Cristo, ma qui
egli afferma che sono stati chiamati a soffrire ingiustamente.
Ma perché siamo chiamati a soffrire? Perché tale sofferenza è stata parte della vita di Cristo, che
siamo chiamati ad imitare, come ci dice il versetto 21:
“poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, per seguire le sue orme”.
Pietro usa il verbo “ha sofferto” invece di “morì” per incentrare l’attenzione del lettore sulla vita di
patimenti del Cristo, specialmente le sofferenze che lo hanno condotto alla morte; questo è il
modello che egli propone a tutti i credenti.
Nel versetto 24, l’apostolo metterà l’accento sull’obbedienza di Cristo in relazione alla punizione
che egli ha accettato in nostra vece, per il pagamento dei nostri peccati; qui nel versetto 21 Pietro ci
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porta a riflettere sull’obbedienza di Cristo a Dio, anche nei momenti di più dura opposizione da parte
dei suoi contemporanei, anche nei momenti di più pesante difficoltà.
Pietro vuol sottolineare in quest’occasione, che l’obbedienza di Cristo mediante la sofferenza
ingiusta ha lasciato un esempio da emulare, un modello del tipo di vita perfettamente gradito a Dio.
Quando si soffre ingiustamente, la fiducia nel Signore e l’obbedienza Lui non sono facili, ma proprio
in queste situazioni esse diventano più profonde, e portano di conseguenza maggiore gloria a Lui.
Pietro spiega poi, con molta precisione, al versetto 22, il modello di vita che Cristo ci ha lasciato;
inizia col ricordarci che:
”Egli non commise peccato e nella sua bocca non si è trovato inganno.”
Questo è un importante testimonianza della completa assenza di peccato in Gesù, una testimonianza
che, ricordiamolo, arriva direttamente da Pietro, che era stato con Lui per ben tre anni, ed era un
suo intimo amico.
Dobbiamo anche riflettere sul fatto che Dio esige da tutti di essere perfettamente senza peccato,
anche quando l’attrazione verso di esso è la più intensa; Cristo lo ha fatto, ed in questo ci è di
esempio e di incoraggiamento.
I quattro versetti, da 22 a 25, di questa sezione, derivano da Isaia 53, capitolo ben conosciuto da tutti
i credenti, nel quale il profeta descrive, alcuni secoli prima, le sofferenze ed i patimenti di Cristo; il
linguaggio usato è molto efficace, e ci porta a meditare sul comportamento che Cristo ha mantenuto
anche nella sofferenza.
La sofferenza di Cristo, vi ricordo, era assolutamente ingiusta ed immeritata.
Rileggiamoli:
Egli non commise peccato e nella sua bocca non si è trovato inganno. Oltraggiato, non rendeva gli
oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva a colui che giudica giustamente; egli ha
portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce, affinché, morti al peccato, vivessimo
per la giustizia, e mediante le sue lividure siete stati sanati. Poiché eravate erranti come pecore, ma
ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime.
1° Pietro 2:18-25
Ma, anche se questo tipo di reazione può sembrare innaturale e illogica, essa è naturale in chi nella
sofferenza ha piena fiducia in Dio, e lo crede davvero padrone assoluto di ogni evento. Pietro, ancora
una volta, ci indica l’esempio di Cristo:
“Oltraggiato, non rendeva gli oltraggi; soffrendo, non minacciava, ma si rimetteva a Colui che
giudica giustamente”
Egli affidava a Dio non solo se stesso, ma anche chi faceva il male, i suoi seguaci, nonché l’intera
situazione.
Come possiamo vedere, ancora una volta la fede è l’atteggiamento necessario nella sofferenza dei
giusti.
Invece di basarsi sulle sue forze e sulle sue abilità, Gesù, quando soffriva, continuava ad affidare la
situazione a Dio Padre, sapendolo giusto e retto, poiché Lui è Colui che giudica rettamente.
E’ questo che Pietro ci vuole insegnare: ad affidare ogni cosa a Dio.
Il fatto che Cristo abbia portato i nostri peccati, significa che Dio Padre ha fatto scontare le nostre
colpe al figlio e, in un modo a noi non pienamente comprensibile, ha fatto ricadere su di Lui
l’iniquità di tutti noi.
Il Padre ha visto i nostri peccati come appartenenti a Cristo e “colui che non ha conosciuto peccato,
Egli lo ha fatto diventare peccato”, e poi lo ha punito con la separazione da Dio, e la morte che noi
avevamo meritato. Così Cristo è stato un sostituto del suo popolo, Colui che ha preso il suo posto.
Pietro spiega anche lo scopo per cui Cristo ha portato il nostro peccato:
“perché morti al peccato, vivessimo per la giustizia.”
Questa importante affermazione è simile all’insegnamento di Paolo in Romani 6:1-23.
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Al momento della conversione, i cristiani sono morti al peccato, al potere dominante del peccato, e
sono in grado di progredire nella santificazione della loro vita.
Leggiamo solo la conclusione di questo passaggio di Paolo ai Romani 6:17, 18:
“Ma sia ringraziato Dio perché eravate schiavi del peccato ma avete ubbidito di cuore a quella
forma d’insegnamento che vi è stata trasmessa, e liberati dal peccato siete diventati servi della
giustizia…..” “Ma ora liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra
santificazione e per fine la vita eterna;”
La nostra condizione prima della conversione, è descritta da Pietro come quella di pecore che vagano
senza pastore, pecore che non sapendo dove andare e seguivano ognuna la propria via, sbandate e
senza speranza; ora però la nostra condizione non è più questa, abbiamo cambiato direzione e ci
siamo rivolti a Cristo, il nostro Pastore, Colui che ci conduce, Colui che ci protegge, Colui al quale
dobbiamo essere sottomessi, come al nostro Pastore e al nostro Guardiano.
Le anime nostre sono protette e guidate da Lui ad una vita di giustizia, lontana dal peccato.

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